Marco Buticchi - L'anello dei re

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Un attentato a New York semina il panico tra la popolazione, ma si tratta solo di un primo caso di una serie di agguati verso la popolazione musulmana. Il rivendicatore si firma “Giusto in nome di Dio” e imprime sulle sue lettere il sigillo a 6 punte del re Salomone. Si alternano quindi le vicende dei possessori dell’anello. Dalla Venezia del 1300 si passa al fronte carsico della Grande Guerra e poi fino alla dittatura di Ceausescu in Romania.Questi flash-back si alternano alla ricerca del “Giusto” da parte di Oswald Breil e Cassandra Ziegler. Dopo numerosi colpi di scena , intrighi di potere, di cui sono protagonisti anche personaggi realmente esistiti, i protagonisti riescono a scoprire la vera identità del “Giusto” e evitare l’ennesimo massacro.

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Per i primi cinque anni di vita il figlio del principe, chiamato Vlad III Dracula, venne educato e accudito senza che potesse mai uscire dal maniero di Sighisoara. Ma la storia di Dracula non si sarebbe esaurita tra le mura di un castello ai confini del ducato transilvano del Fargas. Sin dalla più tenera età Dracula dimostrò le doti di un condottiero senza paura: egli sarebbe divenuto uno spietato guardiano della Cristianità con cui gli invasori infedeli avrebbero dovuto fare i conti.

Con essi, però, Vlad II aveva stretto una strana alleanza, venendo meno al giuramento prestato all’Ordine del Drago: un incomprensibile patto legava il principe di Valacchia col sultano turco Murad.

Quando le armate del voivoda valacco, affiancate da quelle turche, avevano compiuto scorribande e saccheggi nella stessa Transilvania, la clemenza usata dal principe nei confronti dei prigionieri aveva insospettito i turchi: nessuno doveva essere risparmiato dai vincitori.

Dracul stava attraversando il ponte sul Danubio. Sulla sponda era convenuto quello che il voivoda avrebbe creduto fosse un comitato di accoglienza. Il sultano Murad aveva espresso la volontà di incontrarlo, assieme ad alcuni membri della sua famiglia.

Vlad III Dracula aveva appena otto anni; suo fratello minore, Radu, non aveva che pochi mesi. Entrambi erano al seguito del padre in quella visita di cortesia. Dracula cavalcava fiero.

Non appena Vlad raggiunse i turchi, questi lo circondarono e gli puntarono contro le spade e le picche.

«Che cosa state facendo?» chiese il voivoda.

«Eseguiamo gli ordini del nostro sultano», rispose il comandante del drappello. «E ti esortiamo a non opporre resistenza, Vlad di Valacchia.»

«Una vile trappola, io vi maledico.» Così dicendo Vlad spronò il cavallo, travolgendo il soldato che voleva disarmarlo.

«Ti conviene stare calmo», disse il comandante, indicando il giovane Dracula e il carro su cui si trovava Radu, circondato dai turchi, «se ti preme la vita dei tuoi figli.»

Vlad si inchinò al cospetto del sultano.

Murad ostentava i modi insinuanti delle genti d’Oriente quando hanno in mano il bandolo della trattativa.

«Io ti ho appoggiato in ogni tua spedizione militare. Perché mi hai riservato questo trattamento, Murad?»

«Non temere, mio fedele Vlad. Non ho nulla contro di te… avevo soltanto necessità di assicurarmi la tua… devozione.»

«Che cosa significa? Perché questa trappola?»

«I miei informatori mi hanno riferito che hai risparmiato gli abitanti di Sebes…»

«Mi sembrava inutile infierire contro di loro: erano ridotti allo stremo e la città era stata razziata.»

«Sai che questo non fa parte delle nostre abitudini: un nemico lasciato in vita resterà per sempre un uomo in armi contro di noi. Mi hanno detto che non hai nemmeno voluto fare schiavi.»

«Erano rimasti soltanto alcuni vecchi e dei feriti: quasi tutta la popolazione valida di Sebes, comprese le donne e i bambini, era perita in battaglia.»

«Non mi risulta che sia andata proprio così, mio buon Vlad. Ho anche appreso che tu fai parte di un ordine cavalleresco che si prefigge di sconfiggere i figli del Profeta ovunque essi si trovino. Non è vero?»

«No, Murad. Ti hanno riferito il falso», provò a mentire Vlad, ormai alle strette.

«Comunque, ho deciso: dato che sei un fedele servitore della nostra causa, dovresti essere felice che i tuoi figli più giovani vengano educati nella devozione del Corano e del Profeta.»

«Che cosa vuoi dire, Murad?»

«Voglio dire che il giovane Vlad Dracula e il piccolo Radu verranno con me… così da suggellare in maniera indissolubile il nostro patto.»

Il regime a cui Dracula e Radu furono sottoposti era simile alla prigionia: i due bambini erano liberi di scorrazzare ovunque, all’interno del palazzo di Murad a Gelibolu, sui Dardanelli, ma non potevano uscire senza permesso del sultano e senza essere accompagnati da guardie armate.

Dracula cresceva sano, forte e abile con le armi. Il suo carattere chiuso e fiero ne faceva un allievo non facile da addomesticare: spesso gli insegnanti si dichiaravano impotenti dinanzi alla difficoltà di comunicare con lui.

Dracula non avrebbe mai scordato che il mondo dorato intorno a sé era solo una prigione lussuosamente mascherata.

Radu si era invece mostrato ben più remissivo del fratello: sin dall’adolescenza si erano manifestate le sue inclinazioni poco virili. Tali tendenze incontravano l’incondizionato favore del sultano: pareva che Murad non fosse insensibile alle attenzioni dei membri del suo stesso sesso, specie se in tenera età.

Dracula si era quindi trovato a combattere da solo un mondo che disprezzava: questo lo aveva reso ribelle, violento e molto crudele.

A uno dei suoi insegnanti, che gli chiese perché avesse ucciso un piccolo uccello impalandolo sino a fare uscire dal becco la punta acuminata del paletto, Dracula rispose che si era annoiato di quella compagnia e aveva punito il passero con il metodo che usava Murad contro coloro che gli venivano a noia.

La sua spiegazione non era del tutto incoerente: quello era il mondo nel quale Dracula stava crescendo.

Fu così che il giovane si temprò e imparò quanto scarso fosse il valore della vita del singolo di fronte alla sopravvivenza di una nazione o di un’intera civiltà. Negli anni della sua educazione, Dracula apprese a diffidare di chiunque e a conoscere e apprezzare il piacere della più feroce vendetta.

51

Agosto 2004

L’elicottero dell’ONU atterrò al centro del campo di calcio quando la partita era terminata da una decina di minuti. Gli annunci agli altoparlanti si erano ripetuti senza sosta, invitando il pubblico a rimanere al proprio posto per questioni di sicurezza. Gli spettatori, con l’eccezione di alcuni che avevano vibratamente protestato, erano rimasti seduti sulle tribune.

Il passaparola nel catino di uno stadio si diffonde sempre in maniera incontrollabile. La notizia del pericolo di un attentato era rimbalzata sulle prime bocche quasi in sordina, poi si era diffusa ovunque: non c’erano state scene di panico, ma l’apprensione che aleggiava palpabile aveva prodotto un irreale silenzio di attesa sulle gradinate.

La donna scese dall’elicottero mentre le pale erano ancora in moto. Era vestita come una delle tante turiste che si attardavano davanti ai negozi di souvenir dell’isola. Dietro di lei veniva un corpulento militare americano che indossava la divisa da sottufficiale dei marine.

«Colonnello Blasey», disse Cassandra tendendo la mano all’ufficiale. «Mi chiamo Cassandra Ziegler e sono un dirigente del Federal Bureau of Investigation. Credo che il dottor Oswald Breil le potrà illustrare la drammatica situazione nella quale ci troviamo.»

Oswald non si perse in convenevoli, parlò in modo conciso e inequivocabile.

«Che cosa avete già ispezionato, dottor Breil?» chiese il colonnello dei marine.

«Nelle ultime venti ore, praticamente ogni angolo dello stadio.»

«Esistono tunnel sotterranei, percorsi fognari, tombini e simili?» chiese Deidra.

«C’è un tunnel di servizio accessibile, ed è già stato esaminato palmo a palmo.»

Oswald guardò l’orologio: aveva ruotato la ghiera del Rolex Submariner in modo da far combaciare la tacca con l’ora indicata dal Giusto per l’esplosione.

La partita era incominciata alle 16.00 e terminata alle 17.50.

Il Giusto aveva chiamato alle 16.15. L’ordigno avrebbe dovuto detonare esattamente tre ore dopo.

Avevano a disposizione poco meno di un’ora e dieci minuti per individuare la bomba e renderla inoffensiva.

Nel frattempo il pubblico aveva cominciato a rumoreggiare. Gli altoparlanti diffusero immediati appelli alla calma.

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