Marco Buticchi - L'anello dei re

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Un attentato a New York semina il panico tra la popolazione, ma si tratta solo di un primo caso di una serie di agguati verso la popolazione musulmana. Il rivendicatore si firma “Giusto in nome di Dio” e imprime sulle sue lettere il sigillo a 6 punte del re Salomone. Si alternano quindi le vicende dei possessori dell’anello. Dalla Venezia del 1300 si passa al fronte carsico della Grande Guerra e poi fino alla dittatura di Ceausescu in Romania.Questi flash-back si alternano alla ricerca del “Giusto” da parte di Oswald Breil e Cassandra Ziegler. Dopo numerosi colpi di scena , intrighi di potere, di cui sono protagonisti anche personaggi realmente esistiti, i protagonisti riescono a scoprire la vera identità del “Giusto” e evitare l’ennesimo massacro.

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Sukru si trovava nella tribuna d’onore a fianco del presidente. Spostava in continuazione il binocolo, nella speranza che tra le file del pubblico gli apparisse il volto di Breil. Quel maledetto nano non poteva essere uscito dallo stadio: i poliziotti l’avrebbero immediatamente bloccato. Doveva per forza trovarsi ancora lì dentro. Quando il raccattapalle si era appropriato del pallone, Sukru non aveva perso tempo: aveva sceso le scale di corsa e, pochi secondi più tardi, si trovava sul terreno di gioco.

«Dottor Breil, io la…» provò a dire il generale.

«Lei la deve smettere, Sukru, e darmi ascolto, malgrado io sia israeliano e tutto il resto. Sa che cosa è quest’oggetto che ho appena estratto dall’interno del pallone?»

Sukru scosse la testa e Oswald continuò: «Si tratta di un sensore. Quasi certamente ne troveremo un altro in ciascuna delle due porte: dovevano servire a far detonare la carica nel momento in cui la palla fosse terminata in rete».

Un urlo assordante invase lo stadio: un attaccante del Çetinkaya aveva infilato la palla nella porta avversaria.

«Appena in tempo, generale. Se non avessi fatto sostituire il pallone, in questo momento staremmo contando un gran numero di morti. Si è convinto, adesso?»

Sukru prese tra le mani il sensore e il suo indiscusso acume investigativo parve vacillare.

Mentre le grida dei tifosi si andavano smorzando e il gioco riprendeva, gli altoparlanti diffusero la chiamata: «Il signor Breil… il signor Breil è pregato di contattare il centralino con la massima urgenza».

Oswald scese nel tunnel che conduceva agli spogliatoi e sollevò la cornetta di un apparecchio telefonico appeso alla parete di un corridoio.

«Le passiamo una chiamata della massima urgenza da parte di un suo familiare, signor Breil», disse la centralinista, non appena Oswald si fu presentato.

Una voce contraffatta dal timbro metallico rispose dall’altro capo della linea. «Pensare che mi sono dovuto spacciare per un suo parente per riuscire a rintracciarla, dottor Breil.»

«Che cosa vuole?»

«Non le conviene scaldarsi: siamo ancora in agosto e il caldo può giocare brutti scherzi. Quanto a me, mi sto godendo un’avvincente partita di calcio alla televisione. Il problema è che non c’è stata quella vera e propria esplosione di tifo al momento del goal. Non trova, Breil?»

«Le ripeto la domanda. Che cosa vuole da me?»

«E io la accontento, Breil: le cariche sono ancora innescate e io posso far saltare in aria lo stadio quando voglio. Data la mia magnanimità e alla luce dei suoi meritevoli risultati, ho deciso di concederle un’altra chance: spingerò il bottone fra tre ore esatte. Se non sarà riuscito a disinnescare le cariche l’intera struttura salterà in aria. Ma stia bene attento: lo stadio non dovrà essere evacuato. Inventatevi una scusa per gli spettatori, ma nessuno potrà abbandonare le gradinate, pena una mia azione anticipata! Si dia da fare, Breil. Le rimane poco tempo.»

Sukru aveva condiviso la cornetta con Breil. Ormai non aveva più dubbi: l’israeliano aveva ragione e loro erano nelle mani di un pazzo. L’angoscia paralizzò la mente del generale.

«Ci sono almeno diecimila persone sugli spalti in questo momento. Come possiamo metterli in salvo senza che quello se ne accorga?»

«L’unico modo per farlo è disinnescare la carica.»

«Ha qualche idea, Breil?»

«Nessuna. L’unica cosa che mi viene in mente è che avremo comunque bisogno di una persona esperta in esplosivi: un artificiere che sia in grado di disinnescare l’ordigno quando l’avremo trovato. Nel frattempo facciamo in modo che nessuno sospetti nulla: mi sembra inutile diffondere l’allarme tra il pubblico.»

«Sono d’accordo. La partita deve proseguire. Per quanto riguarda invece l’artificiere, mi sembra di ricordare che gli uomini del contingente delle Nazioni Unite di stanza a Cipro stiano seguendo un corso sulle mine proprio in questi giorni. Il seminario è tenuto da un ufficiale dei marine, una vera e propria autorità in materia di esplosivi e campi minati.»

Deidra Blasey aveva preso alloggio in una villetta all’interno della base dei Baschi Blu delle Nazioni Unite. Era comodamente seduta su una poltrona da giardino e si godeva la breve pausa dal lavoro. Quel lunedì 30 agosto 2004 era il primo giorno di licenza da tempi immemorabili, se si faceva eccezione per il periodo di convalescenza seguito al suo ferimento. Il ciclo di lezioni sui campi minati e le trappole esplosive era in anticipo rispetto alla tabella di marcia. Forse sarebbe riuscita a tornare a casa prima del previsto. Si era da poco sistemata orientando la sdraio verso il caldo sole cipriota, quando l’elicottero militare atterrò a pochi passi da lei.

Il sergente Kingston si sporse dal portello, facendole segno di salire a bordo. Gli anni trascorsi nei corpi speciali l’avevano abituata a ogni emergenza. Deidra raccolse velocemente le poche cose che aveva sparpagliato nei pressi della sedia e la borsa nella quale aveva piegato una T-shirt. Si avviò di corsa in direzione del velivolo, cercando di proteggersi dal turbinare del vento sollevato dalle pale. Salì a bordo che ancora indossava la parte alta del bikini, un paio di bermuda e le ciabatte infradito.

Non appena fu seduta sulla panca dietro al pilota, Kingston la mise al corrente della grave situazione per la quale si era resa necessaria la sua presenza.

PARTE QUINTA

Se fossi io il pascià, sareste impalati da tempo.

W.A. Mozart, Il ratto dal serraglio
49 Dicembre 1921 Blasko camminava sul ponte respirando a pieni polmoni - фото 5

49

Dicembre 1921

Blasko camminava sul ponte respirando a pieni polmoni l’aria salmastra: era cosa rara per un addetto alle macchine riuscire a vedere la luce del sole. Quella mattina il cielo era coperto da una spessa coltre di nuvole e le prime gocce di pioggia annunciavano un imminente acquazzone.

«Si avvicina una tempesta, marinaio?» chiese in inglese un passeggero che sembrava avere rinunciato all’idea di scattare alcune foto alla donna che era con lui.

Blasko non aveva mai studiato le lingue, ma aveva molto orecchio: l’unica che conosceva, oltre al magiaro, era il tedesco. Aveva recitato qualche tempo nei teatri di Berlino, finita la guerra: l’ungherese riusciva a mandare a memoria l’intero copione e recitare poi la parte senza alcuna inflessione dialettale.

«Il tempo non promette nulla di buono», rispose Blasko in un inglese zoppicante.

«Il vostro accento mi fa pensare… Credo che voi e io proveniamo dalla stessa terra», disse il passeggero esprimendosi in lingua magiara.

«Sì, sono ungherese. Se mi volete scusare, il mio turno di riposo è terminato e devo ritornare nella sala macchine. Buona traversata, signore.»

Blasko scese nella cabina che divideva con altri tre marinai: i suoi compagni erano impegnati nei turni di macchina. Si chiuse la porta alle spalle, aprì il suo armadietto e tirò fuori uno zaino. L’antico cofanetto era nascosto sul fondo del sacco, sotto alcuni vestiti. Blasko fece scattare la piccola serratura: le gemme rifletterono le luci della cabina. Sollevò il doppiofondo e prese l’Anello dei Re. Si era riproposto di non attingere mai a quella favolosa ricchezza: l’avrebbe lasciata ai suoi eredi, se mai li avesse avuti. Blasko aveva saputo che Minhea Petru era vivo e temeva che lo stesse cercando. Per questo non si sarebbe fatto tentare dal tesoro in suo possesso. Doveva vivere nell’ombra il più possibile: se si fosse dato alla bella vita, o se solo avesse tentato di vendere una di quelle preziose gemme, avrebbe corso il rischio di farsi scoprire. Era fiero di essere riuscito a mantenere la sua promessa anche quando aveva dovuto affrontare periodi di grandi ristrettezze: per un attore alle prime armi, che lavora in un paese che ha appena perduto la guerra, la vita può essere molto difficile. Blasko era convinto di essere un grande attore: aveva interpretato molti ruoli, sia a teatro sia al cinema, lavorando negli studi appena approntati alla periferia di Berlino, ma in Europa non era riuscito a sfondare.

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