I due andarono a chiamare Firenall. Pochi minuti più tardi uscivano di corsa dalla porta dell’hotel. La sera stava calando sulla città. Non appena fu seduto sul sedile anteriore della Passat, Oswald guardò l’orologio: avevano sempre meno tempo per sventare la minaccia.
La cittadina rivierasca di Kyrenia dista una trentina di chilometri dalla capitale cipriota. Una lingua di terra racchiude un piccolo porto naturale di forma circolare. Quando l’automobile giunse dinanzi allo stadio, situato nella parte occidentale della cittadina, era ormai notte.
«Adesso dobbiamo trovare qualcuno disposto ad aprirci e ad accendere un po’ di luci», disse Breil indicando il cancello principale dell’impianto sportivo.
Poco più tardi un assonnato guardiano faceva ciondolare un mazzo di chiavi nella mano destra, mentre nella sinistra stringeva la banconota da cento dollari che Firenall gli aveva dato.
Sino al momento in cui non vennero accesi i fari, disposti sui quattro tralicci ai lati del campo, nessuno di loro si era reso conto delle dimensioni dello stadio. Cercare un ordigno in quel luogo equivaleva a trovare il classico ago nel pagliaio.
«Da dove incominciamo?» chiese Carl Firenall, provando a non farsi vincere dallo scoramento.
L’alba li trovò intenti a sollevare a uno a uno i sedili delle tribune e a ispezionare gli spogliatoi, i servizi igienici e i punti di ristoro.
Cassandra stava quasi per arrendersi: non c’era alcuna traccia dell’ordigno collocato dal Giusto.
«Ai sensi della legge sull’immigrazione», la voce del generale Ihsan Sukru echeggiò nella struttura deserta illuminata dal primo sole del mattino, «siete perseguibili per i reati di…»
«Non ci interessa molto dei suoi reati, generale», rispose Breil, distogliendosi per un attimo dalla sua affannosa ricerca. «Anzi ci serve la sua collaborazione: ognuno degli uomini di cui può disporre deve aiutarci a individuare la bomba che crediamo sia stata collocata nello stadio. Chiami dei rinforzi e lo faccia subito.»
«Quali prove ha per essere tanto certo di ciò che sta dicendo, Breil?» chiese il generale con aria di sfida.
«Semplici deduzioni, generale.»
«E lei pensa che le semplici deduzioni di un israeliano possano riuscire a far cambiare programma a qualche decina di migliaia di persone, incluso il nostro presidente? Le ricordo che tra qualche ora verrà disputata su questo campo una partita di calcio attesa da mesi e nessuno avrà il potere di interromperla. Non c’è bisogno di alcun rinforzo: i tre uomini che sono con me sono più che sufficienti per fare quello che ho intenzione di fare.»
«Se fossi in lei, generale, non mi soffermerei molto sul problema dei tifosi privati del loro spettacolo: tutti quelli che saranno all’interno di questo stadio correranno il rischio di saltare in aria», ribadì Oswald.
«La stessa cosa potrebbe accadere in ogni impianto sportivo del mondo e in ogni momento: il pericolo di attentati è ovunque. Ma non mi sognerei mai di far perdere tempo a una squadra di miei uomini o, peggio, di far sospendere la partita dell’anno senza nemmeno un indizio. Dichiaro lei, Oswald Breil, lei Cassandra Ziegler e lei Carl Firenall in arresto per immigrazione clandestina all’interno del territorio turco-cipriota. Vi invito a seguirmi e vi assicuro che questa volta non sarà un comodo albergo ad accogliervi.» Tre uomini di Sukru si misero alle loro spalle. Senza una parola il corteo uscì dall’impianto sportivo.
Il sole, ormai alto nel cielo, annunciava un’altra giornata limpida e calda.
Sukru chiese a Oswald e a Cassandra di salire sulla sua auto, e collocò un suo uomo di guardia a Firenall che guidava la Passat.
Firenall mise in moto, quindi si accorse che l’interruttore dell’aria condizionata era sulla posizione di off.
«Strano», fu l’ultima parola che mormorò, mentre ruotava il comando di accensione.
Dall’auto di Sukru, Oswald e Cassandra osservarono sbigottiti la Passat che veniva avvolta da un cerchio di fuoco, quindi la macchina fu sollevata dalla violenza dell’esplosione, mentre pezzi di carrozzeria arroventata furono scagliati nel raggio di molte decine di metri.
Oswald fu il primo a scendere: corse in direzione del relitto dell’auto di Firenall. Si accorse subito che sia per Carl sia per l’agente non c’era più nulla da fare.
Breil non aveva voglia di parlare. I suoi occhi passarono dai due corpi straziati alla figura del generale. «Ritiene questo un indizio sufficiente, Sukru?»
L’ufficiale gli restituì un’occhiata carica di diffidenza. «No, dottor Breil. Non mi è sufficiente», disse Sukru con aria supponente. «Mi chiedo per quale motivo un terrorista che tiene in scacco il mondo intero da un paio d’anni con la sua abilità si dovrebbe mettere a preavvertire le vittime del suo prossimo attentato.»
«Che cosa intende dire, Sukru?»
«Esattamente quello che ho detto: il Giusto non avrebbe avuto alcun interesse a far saltare in aria una vettura nel luogo da lui prescelto per un’azione terroristica.»
«La bomba nell’auto è stata collocata per uccidere noi, generale», intervenne Cassandra, tenendo d’occhio Oswald che sembrava sul punto di perdere il controllo dei propri nervi.
«Vedo che sta arrivando alle mie conclusioni, dottoressa Ziegler.» Sukru stava sfoggiando modi da investigatore infallibile. «Lei e il suo amico ebreo avete scelto il mio paese per praticare il gioco che più vi piace: quello della guerra tra spie. Sono convinto che questa sera, quando vi avrò fatto salire a bordo di un aereo in partenza per l’Europa, non sentirò più parlare né di bombe né di terrorismo.»
Breil si mosse con la rapidità di un felino. Affibbiò un pugno ai genitali dell’uomo che gli stava vicino e sgattaiolò all’interno della zona riservata agli adeti.
«Presto, prendetelo!» esclamò Sukru.
Ma l’uomo che Oswald aveva colpito era rimasto a terra dolorante, mentre l’altro era impegnato a sorvegliare Cassandra.
La dirigente dell’FBI fece il tifo per Breil mentre lo guardava muovere velocemente le sue gambine e correre verso la salvezza. Inutili furono le ricerche dei due uomini di Sukru e degli agenti che accorsero in massa, chiamati dal generale dei servizi di sicurezza.
Dieci ragazzini, vestiti con una tuta di colore blu e un cappellino con visiera, si disposero ai lati del rettangolo di gioco: il loro compito sarebbe stato quello di restituire ai giocatori i palloni terminati fuori campo. Nessuno, nel caos della partita che stava per incominciare, prestò attenzione all’undicesimo raccattapalle, che si era andato a disporre a lato del campo.
Oswald era rimasto diverse ore in un’intercapedine tra il locale docce e il muro portante. Quindi era riuscito a impossessarsi di una tuta e di un cappellino e si era intrufolato sul terreno di gioco.
Le tribune erano gremite di tifosi festanti.
La mente di Oswald lavorava freneticamente in cerca di una soluzione mentre, con fare distratto, rimaneva a guardare i giocatori impegnati a piazzare il pallone in una delle due porte.
Oswald si drizzò come una tigre pronta ad attaccare. Le parole del messaggio del Giusto gli comparvero davanti agli occhi come se fossero state scritte sul grande tabellone dello stadio: « Entrate dalla porta; quando sarete dentro, conoscerete la Vittoria ».
Fu allora che il pallone rotolò tra i piedi di Breil. Oswald lo sollevò da terra e scosse il capo, rifiutando di renderlo al giocatore che ne chiedeva insistentemente la restituzione.
Tra i fischi del pubblico un altro raccattapalle consegnò una nuova sfera. Nel trambusto quasi nessuno si era accorto che Oswald aveva praticato un taglio nel pallone lungo il suo diametro. Aveva quindi infilato le mani tra la camera d’aria e le cuciture interne. Gli furono sufficienti pochi istanti per estrarre il minuscolo sensore alimentato da una batteria al litio.
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