«Faccia in modo che le squadre scendano nuovamente in campo, generale Sukru!» disse Breil rivolto al comandante dell’intelligence cipriota.
Se esisteva un modo per calmare i tifosi, era che le squadre riprendessero il gioco. In una delle curve gli animi si stavano scaldando e alcuni facinorosi erano intenti a scardinare un cancello che separava il campo dalle gradinate.
Per placarli fu necessario fare intervenire gli agenti addetti al servizio d’ordine. Ancora una volta l’altoparlante rassicurò il pubblico, e diffuse la notizia che le due squadre sarebbero ricomparse in campo entro pochi minuti per disputare una partita amichevole.
Breil stava osservando la scena con attenzione. Le parole del versetto contenuto nel messaggio del Giusto gli tornarono alla mente: « I miscredenti sono come bestiame di fronte al quale si urla, ma che non ode che un indistinto richiamo. Sordi, muti, ciechi, non comprendono nulla » .
Gli occhi del piccolo uomo si spostarono su uno dei quattro piloni posti agli angoli del campo, sulla cui sommità si trovavano i riflettori per l’illuminazione. Lo sguardo si fermò a circa un terzo del palo nel punto dove erano montati gli altoparlanti.
«Forse ci sono!» esclamò Oswald rivolto all’ufficiale dei marine.
Oswald e gli uomini che lo seguivano ci misero più del previsto a inerpicarsi lungo la scaletta che serviva per la manutenzione degli impianti.
Le quattro casse acustiche di colore nero, sovrapposte due a due, erano circondate da una piazzola per agevolare il lavoro dei tecnici.
Oswald, aiutato dal sergente Kingston e dai militari di Sukru, aveva rimosso il materiale fonoassorbente disposto sul fronte di una delle quattro casse.
Fu quando tolsero il frontale della seconda cassa che rinvennero l’ordigno.
Si trattava di un timer dal quale uscivano dei fili di diverso colore, che si collegavano alla bomba vera e propria. Uno dei woofer era stato sostituito con una miscela di chiodi, viti e bulloni: se la bomba fosse esplosa avrebbe causato ferite gravissime al pubblico assiepato proprio davanti al pilone.
«Pensa di riuscirci, colonnello?» chiese Oswald rivolto alla Blasey.
«Non mi sembra un sistema eccessivamente sofisticato: bisogna cercare di neutralizzare i detonatori», rispose Deidra che già stava armeggiando con i fili. «L’unico problema è il tempo. Quanto ci rimane, Breil?»
«Un’ora e quattro minuti», rispose Oswald.
«Se, come credo, l’attentatore ha montato un ordigno su ogni pilone, significa che abbiamo poco più di quindici minuti per disinnescare ciascuna bomba. Faccia togliere il fronte a ognuna delle casse: in questo modo riusciremo a guadagnare un pugno di minuti.»
Le dita di Deidra maneggiavano con sicurezza il cacciavite, ma il sudore che le imperlava la fronte non aveva niente a che vedere con il caldo.
Le squadre nel frattempo erano tornate a giocare. Il pubblico era composto: dopo gli isolati casi di intemperanza, ora sembrava che la partita avesse di nuovo catturato l’attenzione dei tifosi. Nessuno prestava attenzione a coloro che stavano armeggiando sui piloni intorno all’impianto audio.
Deidra strinse nel morso della piccola cesoia il filo di colore rosso. Alzò gli occhi al cielo e recise il cavo di netto.
Un sospiro di sollievo uscì dalle labbra della donna, mentre osservava le lancette dell’orologio. La prima e più difficile operazione di disinnesco aveva richiesto ventisei minuti, nel corso dei quali aveva però reso inoffensiva anche la trappola elettronica che il Giusto aveva teso: chiunque avesse cercato di manipolare il sistema di innesco senza prima aver neutralizzato quel circuito sarebbe saltato in aria.
Dovevano fare in fretta, molto in fretta, se volevano evitare una strage, pensò Breil, mentre si avviava assieme a Deidra e al sergente Kingston verso il secondo dei quattro piloni minati.
Nel laboratorio di Roma, Sara Terracini non riusciva a staccarsi da entrambi i documenti che Oswald le aveva fatto pervenire. Passava dalla decrittazione del quaderno dove Asher Breil aveva raccolto gli appunti all’agenda personale del padre di Oswald, quasi senza soluzione di continuità.
Sara aveva momentaneamente sospeso gran parte del suo lavoro per potersi dedicare anima e corpo alle vicende che Asher aveva ricostruito con cura prima di rimanere vittima di un incidente automobilistico. Da quando Oswald le aveva affidato questo nuovo compito, la ricercatrice aveva dormito pochissimo: cosa che le capitava ogni volta che lavorava con lui.
All’inizio aveva giustificato il suo accanimento con la necessità di liberarsi al più presto dell’impegno affidatogli da Breil, ma alla fine era stata lei stessa ad ammettere che non era quello il motivo. Sara Terracini aveva dovuto confessare che la curiosità di conoscere tutta la storia riguardante l’antico Anello di Re Salomone la divorava.
«Forza, Sara! Avanti, avanti!»
Dal diario di Asher Breil, Bucarest, 1968.
Sapevo molte più cose di quanto la gente poteva supporre. In questo Nicolae Ceausescu aveva ragione.
Pur essendone certo, non avrei mai potuto provare con documenti alla mano che i conti cifrati svizzeri appartenessero alla famiglia del conducator : i miei contatti erano sempre rappresentati da intermediari e prestanome il cui silenzio era stato comprato a caro prezzo e che sarebbero stati sacrificati nel caso in cui qualche curioso si fosse messo a indagare. Ceausescu era scaltro: sapeva bene quanto la sua figura e il suo ruolo fossero necessari per i delicati equilibri del mondo. Sino a che io fossi stato benevolo con lui e con il suo governo, egli sarebbe stato altrettanto benevolo con me e con il governo del mio paese. Ero certo che la mia copertura gli serviva per i suoi affari privati. Non so sino a che punto lui si rendesse conto in che modo, oltre all’appoggio pubblico nei confronti d’Israele, lui era utile a me.
In tutto ciò, colei che sempre più sembrava voler rompere l’equilibrio dei nostri mutui interessi era la moglie, Elena Petrescu. Ero convinto che la first lady tramasse per allontanarmi dal marito.
Se mai un giorno leggerai questo mio diario, che spero di consegnarti al compimento della tua maggiore età, figlio mio, voglio che tu sappia che le mie convinzioni non sono sorte in me ora, mentre sto scrivendo e mentre i miei rapporti con i Ceausescu stanno attraversando un momento difficile. Sono da sempre sicuro che la diffidenza di Elena Petrescu sia stata il solo motivo per cui io mi sono venuto a trovare nella sgradevole situazione in cui sono adesso.
Sono passati pochi mesi da quando tua madre mi ha raggiunto a Bucarest. Maledico il giorno in cui ho insistito perché lo facesse: sarebbe stato meglio se fosse rimasta a casa in Israele…
Mancava ormai una manciata di secondi allo scadere del tempo, quando Deidra Blasey recise il cavo dell’ultimo ordigno. Il sudore le rigava le guance simile a un fiume di lacrime. Un grido di gioia uscì dalle bocche dei presenti, ma fu coperto dall’urlo dei tifosi che protestavano per un’azione fallosa non rilevata dall’arbitro.
«Ho proprio bisogno di una rinfrescata», disse Deidra, allontanandosi verso le più vicine toilette.
«Speriamo che non ce ne siano altri. Ma lo sapremo presto», disse Breil dando via al conto alla rovescia.
«Venti… quindici… dieci… cinque… quattro… tre… due… uno…»
«Il signor Breil è pregato di contattare urgentemente il centralino», gracchiarono gli altoparlanti.
«Deve festeggiare la sua prima vittoria nei miei confronti, Breil», disse la voce metallica e contraffatta.
«Lei è un assassino spietato, Giusto. Si immagina che cosa sarebbe successo se alcuni chilogrammi di T4 fossero saltati in aria con tutto il corredo di ferramenta…»
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