Marco Buticchi - L'anello dei re

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Un attentato a New York semina il panico tra la popolazione, ma si tratta solo di un primo caso di una serie di agguati verso la popolazione musulmana. Il rivendicatore si firma “Giusto in nome di Dio” e imprime sulle sue lettere il sigillo a 6 punte del re Salomone. Si alternano quindi le vicende dei possessori dell’anello. Dalla Venezia del 1300 si passa al fronte carsico della Grande Guerra e poi fino alla dittatura di Ceausescu in Romania.Questi flash-back si alternano alla ricerca del “Giusto” da parte di Oswald Breil e Cassandra Ziegler. Dopo numerosi colpi di scena , intrighi di potere, di cui sono protagonisti anche personaggi realmente esistiti, i protagonisti riescono a scoprire la vera identità del “Giusto” e evitare l’ennesimo massacro.

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Dagli appunti raccolti da Asher Breil

a Cortina d’Ampezzo, 1967

Il vento si alzò all’improvviso, formando mulinelli di carte e polvere nella piazzetta antistante l’hotel Posta, lungo il centrale corso Italia, a Cortina. Asher Breil, seduto davanti a Sciarra della Volta sulla terrazza esterna, poteva sembrare un giornalista intento a intervistare uno dei tanti magnati della finanza che sceglievano la perla ampezzana per le loro vacanze. L’agente del Mossad ascoltava attentamente l’anziano generale e contemporaneamente prendeva appunti.

«Dove eravamo rimasti?» chiese Sciarra, tentando di fare ordine nei suoi pensieri.

«Al colonnello Lawrence…» suggerì Asher, ormai avvinto dal racconto.

«Già, il colonnello Lawrence…» Sciarra citò a memoria una frase di Lawrence che era divenuta celebre: «Tutti gli uomini sognano, ma non allo stesso modo».

Con queste parole il colonnello inglese aveva commentato, entrambi seduti al tavolo, lo scopo della missione illustratagli dall’italiano. Gli altri avventori del locale assediato dal fumo dei narghilè osservavano con curiosità l’occidentale intento a discutere fittamente con quello che pareva essere un beduino. Qualcuno aveva però riconosciuto Lawrence, e alle occhiate più o meno furtive erano seguiti fitti commenti a voce bassa.

«Se non fosse stato per un sogno, oggi non sarei qui», continuò l’ufficiale nato trent’anni prima a Tremadoc, nel Galles. «Il mio sogno è quello di contribuire a creare una nazione unita. Una nazione che superi le rivalità fra le tribù del fiero popolo d’Arabia. Vedrete, Alberto, avrete modo di convenire con le mie tesi, combattendo al fianco di questi valorosi guerrieri.»

Così dicendo Lawrence indicò tre facce poco raccomandabili sedute poco distanti. «Non lasciatevi ingannare dalle apparenze: ognuno di quegli uomini darebbe la vita per me. Mi seguono ovunque e mi proteggono da chiunque potrebbe rappresentare un pericolo. So bene che i miei connazionali, gli stessi che mi gratificano con onorificenze e promozioni sul campo, mi reputano un personaggio scomodo. Il fatto è che la propaganda occidentale ha mistificato la realtà: per gli arabi questa guerra è motivata dalle loro legittime aspirazioni di indipendenza. Ben diverse, invece, sono le motivazioni degli occidentali, ma hanno bisogno degli uomini che rispondono agli ordini miei e del principe Feisal: per questo motivo mi coprono di riconoscimenti. Tuttavia, non appena i giochi saranno fatti, ho il timore che il destino del popolo arabo non interesserà più a nessuno e che anche io verrò messo brutalmente da parte…

«Il fatto che la vostra missione in queste terre abbia finalità simili al mio grande sogno mi riempie di felicità, Alberto. Per lungo tempo ho cercato di convincere le tribù di queste regioni che l’unico modo per ottenere l’indipendenza sta nella loro alleanza con le nazioni della Triplice intesa e non con le armate germanico-turche. Le recenti missioni in zone operative mi hanno però distolto dal cercare nuovi proseliti: e invece c’è sempre un gran bisogno di truppe fresche quando si combatte una guerra. Sono convinto che siano ancora molte le tribù incerte sul da farsi, per non parlare dei potenti califfati che mantengono una precaria imparzialità dettata dall’ignoranza dei fatti e da null’altro. Per esempio, molte delle popolazioni della Siria orientale potrebbero sposare la nostra causa, ma sembra che le mie parole si siano perse nel kamsin , il vento del deserto, quando ho espresso le mie convinzioni ai nostri capi. Mi fa piacere che una persona come voi sia d’accordo con me. Se mi permettete, vorrei che trascorreste qualche tempo con noi: gli arabi hanno una mentalità che va conosciuta e valutata per essere apprezzata. So che voi avete vissuto per qualche anno a Port Said con la vostra famiglia e che lì avete appreso alla perfezione la lingua, ma altra cosa è vivere da soldato tra i soldati. Senza contare che un ufficiale della vostra esperienza potrebbe esserci di grande aiuto.»

«Sono lusingato dalla vostra proposta, colonnello Lawrence. È esattamente quello che avrei voluto chiedervi. La mia autonomia operativa al momento è illimitata e lasciata al mio arbitrio: non devo rispondere a nessun superiore diretto nel corso di questa missione. È quindi con grande piacere che entrerò a far parte dei vostri ranghi.»

Uscirono dalla taverna dopo aver gustato una ful mudammas , una zuppa di fave secche molto piccante, arricchita con cipolla, aglio e uova. Decisero di passeggiare un poco per continuare la loro conversazione.

Un convoglio di navi stava sfilando davanti alla banchina del porto: alcune unità militari scortavano bastimenti passeggeri e da trasporto. Thomas Lawrence e Alberto Sciarra rimasero a osservare le navi.

«Quella era la mia occupazione prima della guerra, Thomas», disse Sciarra indicando il convoglio. «Ottimizzare il carico, riscuotere i noli, approvvigionare le navi e il loro equipaggio di tutto ciò di cui potessero avere bisogno: questi e molti altri sono i compiti dell’agente marittimo.»

«Io, invece, quando vidi per la prima volta il deserto e me ne innamorai, vi ero stato inviato per le mie conoscenze di archeologia.»

Il rumore sordo del galoppo di alcuni cammelli sulla sabbia indusse entrambi ad alzare lo sguardo: nel vicolo angusto tre uomini spronavano gli animali verso di loro. Sciarra ebbe appena il tempo di rendersi conto che uno di loro impugnava una grossa pistola a tamburo.

«A terra!» gridò l’italiano anticipando di un soffio il rumore dello sparo.

Gli assalitori portavano la kefiyyah e buona parte del loro volto era coperto: ciò li rendeva irriconoscibili.

I misteriosi individui fecero fuoco in rapida successione ma, grazie alla prontezza di Sciarra, i due ufficiali avevano trovato riparo dietro a un carretto di legno e da lì stavano preparandosi a rispondere al fuoco.

Lawrence prese la mira ed esplose un colpo con la sua pistola. Uno degli uomini emise un grido soffocato e cadde a terra.

Fu allora che altre tre figure presero corpo nel buio: si trattava delle guardie che coprivano le spalle a El Lawrence. Due dei tre si scagliarono contro uno dei cavalieri. Ponendosi uno da un lato e uno dall’altro del cammello, i due spiccarono un salto quasi simultaneamente, ruotando nel frattempo il busto per imprimere maggior forza alla loro scimitarra. L’assalitore cadde ferito a morte.

L’unico superstite fece girare il suo cammello e fuggì nella direzione da cui era venuto. Le tre guardie del corpo di Lawrence si assicurarono che i due ufficiali fossero incolumi e quindi se ne andarono nella notte.

«Grazie, Alberto. Vi conosco da poche ore e già vi sono debitore della vita.»

«Sono io che vi devo la mia gratitudine: siamo salvi grazie alla vostra mira e al valore dei vostri uomini, Thomas.»

Quattro giorni più tardi il colonnello Sciarra raggiunse Aqaba: qui attese il ritorno di Lawrence, che era stato chiamato al Cairo per alcuni colloqui con i suoi superiori.

Non appena l’ufficiale inglese arrivò ad Aqaba, si mise in contatto con l’italiano. «Ho avuto modo di incontrare i comandanti in capo al Cairo. Tutti hanno in comune uno strano approccio nei miei confronti: sembrano non capire quanto io sia sincero o quanto ciarlatano. A ogni modo Allenby mi ha assicurato il suo appoggio. Staremo a vedere.»

Gli occhi di Lawrence si persero nella baia. Nel centro del golfo troneggiava l’ammiraglia inglese Euryalus.

«È una vera fortuna che l’ammiragliato abbia deciso di far restare qui quella cannoniera.»

Al cenno interrogativo di Sciarra, Lawrence riprese: «Gli arabi giudicano le navi dal numero delle loro ciminiere: l’ Euryalus ne ha quattro. Quindi per i popoli di questa regione è considerata pressoché invincibile. Ed è la dimostrazione evidente di quanto sia stata schiacciante la nostra superiorità nella battaglia di Aqaba».

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