Marco Buticchi - L'anello dei re

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Un attentato a New York semina il panico tra la popolazione, ma si tratta solo di un primo caso di una serie di agguati verso la popolazione musulmana. Il rivendicatore si firma “Giusto in nome di Dio” e imprime sulle sue lettere il sigillo a 6 punte del re Salomone. Si alternano quindi le vicende dei possessori dell’anello. Dalla Venezia del 1300 si passa al fronte carsico della Grande Guerra e poi fino alla dittatura di Ceausescu in Romania.Questi flash-back si alternano alla ricerca del “Giusto” da parte di Oswald Breil e Cassandra Ziegler. Dopo numerosi colpi di scena , intrighi di potere, di cui sono protagonisti anche personaggi realmente esistiti, i protagonisti riescono a scoprire la vera identità del “Giusto” e evitare l’ennesimo massacro.

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La cittadina di Suez non si differenziava molto dalle altre che Sciarra aveva visto nella regione.

Le case erano bianche, costruite in materiale corallifero, alte dai tre ai cinque piani. Non c’erano vetri alle finestre, ma grate e pannelli di legno mirabilmente intarsiati.

Le strade erano strette: nella maggior parte dei casi insufficienti a far passare un carro. Sciarra si guardava attorno circospetto: aveva la sensazione che dietro a ogni grata ci fossero occhi intenti a spiare ogni sua mossa. Il rumore dei passi tra i vicoli veniva soffocato dallo strato di sabbia pressata che lastricava ogni strada.

L’albergo non sembrava un granché, ma Sciarra non si sarebbe certo lamentato con la direzione per il servizio insufficiente: aveva bisogno solo di un letto e di un bagno caldo, come un neonato necessita del latte materno.

Entrando nell’atrio, l’ufficiale notò un uomo magro, seduto su un divano nella sala comune. L’uomo vestiva alla maniera degli arabi, con un ricco abaya , il mantello di lana bianca, ricamato con fili d’oro; portava il classico copricapo costituito da un grande triangolo di stoffa avvolto a più spire attorno al capo e tenuto insieme da un cordone di colore scuro. Sebbene bruciata dal sole e dal vento del deserto, aveva carnagione chiara, cosa del resto non inusuale in quelle regioni.

Quando Sciarra gli passò vicino questi gli sorrise e si rivolse all’italiano nel dialetto di Aleppo: una variazione del ceppo siriano, probabilmente imbastardita dai mille idiomi parlati dai carovanieri che, sin dai tempi di Babilonia, avevano scelto quella città come crocevia dei loro traffici.

«Vedo che il colonnello italiano ha conosciuto il deserto», disse l’arabo indicando la divisa impolverata indossata da Sciarra. Non c’era ironia nella sua voce, piuttosto una sorta di ammirazione, dettata dal senso di fratellanza che solo chi ha navigato sugli oceani, siano essi d’acqua o di sabbia, riesce a trasmettere.

«Sì, il deserto e i suoi abitanti, signore», rispose l’italiano.

«Io provengo da un’esperienza simile, colonnello», disse l’arabo passando improvvisamente a un inglese perfetto. «Dopo giorni di aspra battaglia, ho cavalcato un cammello per cinquanta ore consecutive per giungere qui dalla città di Aqaba. Nella mia agenda avevo annotato che avrei avuto un appuntamento con voi qui a Suez. Ma innanzitutto vorrei darvi la possibilità di rinfrescarvi. Che ne dite se ci vediamo per cena, tra un paio d’ore, colonnello Sciarra?»

«Voi siete il colonnello Lawrence, signore?»

«In carne e ossa, amico mio… anzi più ossa che carne, dato che ho appena constatato che il mio peso è di poco superiore ai quaranta chilogrammi.»

«Sono onorato di conoscervi, colonnello. Le vostre gesta sono diventate leggendarie in tutta Europa, dove vi chiamano Lawrence d’Arabia.»

«Mi pare che tra noi due l’unico a essere famoso siate voi, colonnello Sciarra. Il credito di cui godete vi ha preceduto e i miei uomini dicono che vi siete comportato da eroe nel corso dell’attacco al treno sul quale viaggiavate. Ma adesso smettiamola con i convenevoli: mi chiamo Thomas, solo se mi è permesso di chiamarvi Alberto.» Così dicendo l’ufficiale inglese, vestito come i nomadi del deserto, gli tese la lunga e ossuta mano destra.

Quando Sciarra raggiunse la sua stanza, Rocco era intento a riporre in un armadio i pochi effetti personali contenuti nella sacca da viaggio dell’ufficiale: «Vorreste dire… vorreste dire, signore… che quell’arabo… quel beduino, era Lawrence d’Arabia?»

Al cenno di assenso di Sciarra, il siciliano si lasciò andare a una colorita affermazione di soddisfazione. «Vi ho fatto preparare un bagno caldo con aromi speziati e tonificanti, signore. Qui sul letto vi lascio la divisa pulita. Se non avete bisogno di me, vorrei riposare per qualche ora, signore», disse ancora Rocco abbandonando la stanza, mentre il colonnello cominciava a spogliarsi.

«Ritenetevi in libertà sino a domani mattina, soldato.» Il fisico stremato dell’ufficiale godette a fondo degli effetti del bagno caldo. I muscoli si distesero al contatto dell’acqua con la pelle, sembravano assorbirla, berla a sazietà per trovare un nuovo vigore. Lo sguardo di Sciarra, mentre si trovava immerso nella tinozza di rame, si posò sulla grata di legno grigio che separava la sua stanza dall’esterno. Di nuovo ebbe la sensazione di essere spiato da migliaia di occhi. Se invece fossero stati i suoi occhi a guardare oltre la grata, avrebbero solo visto Rocco che si allontanava dall’albergo.

38

Mare Egeo, 1348

«Adesso il nostro giovane amico Adil ci mostrerà che cosa custodisce con tale amore in quel cofanetto, tanto da non separarsene mai, nemmeno di fronte alle armi spianate.» Così dicendo, le mani avide di Campagnola si avventarono sul piccolo forziere che Adil aveva ricevuto da Crespi in punto di morte.

Il giovane non riuscì a opporre alcuna resistenza mentre il veneziano afferrava il prezioso scrigno.

«Qui c’è una fortuna degna di un sultano d’Oriente», esclamò Campagnola estasiato alla vista delle pietre preziose e dei gioielli. Quindi si accorse del doppiofondo, lo sollevò e prese l’Anello dei Re: «Sembra di pregio inferiore rispetto ai brillanti e ai rubini contenuti nella cassetta, ma anche questo anello deve essere di valore, per venire custodito assieme a tanta ricchezza. Mi pare proprio della misura esatta del mio dito». Così dicendo Campagnola infilò all’indice l’anello d’oro antico recante il sigillo del Re Salomone.

«Quanto a te, Adil figlio di Satana, non credo che i tuoi occhi di demonio vedranno il sorgere del sole», concluse Campagnola, chiamando uno dei suoi e ordinandogli di legare e di condurre il giovane nella stiva.

«Stanno preparando una forca», si disse l’uomo sul badan , osservando alla luce di una lanterna due membri dell’equipaggio della caracca veneziana che, dopo avere fatto passare una cima in un rinvio dell’albero, si stavano esibendo nella macabra mimica di un’impiccagione.

L’oscurità non sarebbe durata più di un’ora, poi gli occupanti della nave si sarebbero accorti della piccola imbarcazione che aveva navigato al loro fianco protetta dalle tenebre. Era tempo di agire.

Campagnola non voleva che molti testimoni assistessero all’esecuzione di un bambino: figlio o no di Satana, sapeva bene che non sarebbe spettato a lui il giudizio e tantomeno decretare l’esecuzione di una sentenza.

Sul ponte si trovavano soltanto i due uomini di guardia e il timoniere, oltre a quello che si era calato nella stiva per prelevare il giovane condannato.

Gli altri membri dell’equipaggio dormivano sottocoperta, come usavano fare quando la stiva non era occupata dal carico.

Adil precedeva la punta della spada del suo carceriere. Avanzava a capo chino: nonostante la giovane età conosceva bene quel sapore, misto di incredulità e paura, che lascia in bocca l’avvicinarsi della morte.

«Tu, figlio del Demonio», stava dicendo in un sussurro Campagnola, «avrai presto quello che ti meriti.» Gli occhi erano lo specchio di una lucida follia.

«Sono la figlia di tua figlia, colei che hai condannato a morte. Di quella figlia colpevole soltanto di amare un uomo retto e valoroso come il Muqatil, mio padre», avrebbe voluto urlare Adil, ma si trattenne.

Intanto, uno degli uomini gli passava il cappio attorno al collo.

«Devo morire con onore», si disse con aria risoluta. Allungò il collo, offrendolo con fierezza ai suoi aguzzini. Chiuse gli occhi, aspettando il dolore che avrebbe preceduto la pace.

Il timoniere eseguiva alla lettera gli ordini che Campagnola gli aveva impartito. «Guarda altrove», gli aveva detto, «e non ti accorgerai di nulla.»

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