E lui altrove stava guardando, quando la lama gli trafisse la carotide.
L’assalitore abbandonò il corpo della sua vittima sulla barra del timone. Quindi, con l’agilità di un felino, l’uomo raggiunse il ponte, tenendosi radente al parapetto per venire protetto dall’oscurità.
«Tirate!» ordinò Campagnola ai suoi.
I tre marinai strinsero le mani callose attorno alla corda, puntarono i piedi sul legno del ponte e si prepararono allo strappo mortale.
Adil aveva seguito ogni operazione come se non fosse stato lui la vittima di quella ingiusta esecuzione. Non voleva dare ai suoi aguzzini la soddisfazione di mostrare paura. I suoi occhi color del cobalto si piantarono in quelli di Campagnola e lì rimasero sino a che il primo strattone al nodo scorsoio non li fece chiudere.
«Vengo da voi, padre e madre», ebbe modo di dire, mentre la voce si faceva roca.
La lama si abbatté con forza sulle braccia protese dei marinai intenti a issare il condannato. Uno degli uomini emise un grido di raccapriccio, osservando i due moncherini grondanti di sangue al posto degli avambracci. Quindi l’assalitore gli fu addosso per finirlo.
Fu poi la volta del secondo dei tre: l’uomo lo caricò frontalmente, brandendo la sciabola e oltrepassandolo con la lama come un sacco pieno di paglia secca.
Il terzo, sconvolto da quell’apparizione infernale, si gettò in mare, preferendo una morte pressoché certa alla furia del demonio che era piombato loro addosso.
Fu allora che l’assalitore puntò la lama al volto di Campagnola.
«Tu?!» disse l’unico rimasto sul ponte della nave, oltre a Adil. «Non è possibile! Tu sei un fantasma mandato qui da Satana, che protegge quel bambino.»
Il misterioso pirata ruotò la lama, colpendo con l’elsa Campagnola alla tempia. Il veneziano si accasciò senza un lamento.
Quindi si affrettò a liberare Adil dal cappio, lo scosse leggermente per fargli riprendere i sensi e si diresse verso il boccaporto dove, dalla sua imbarcazione, aveva visto condurre i prigionieri legati.
La stiva era buia, ma l’uomo riuscì ugualmente a liberare i due orientali e la donna, tornò sul ponte, seguito dal terzetto e si diresse verso la paratia ove Adil stava appoggiato, in preda a una tosse convulsa.
«Il cofanetto… l’anello», riuscì a dire Adil, indicando il forziere di Crespi che era ancora vicino a Campagnola e l’anello che il veneziano aveva al dito.
Il loro salvatore raccolse il forziere, quindi tentò di sfilare l’anello dall’indice del suo nemico. Dalla stiva salivano dei rumori: la ciurma si stava destando. Dovevano fare presto.
«Un dito in cambio della tua misera vita. Spero ti ricorderai un giorno che ti ho graziato: non riuscirei ad accoppare a sangue freddo un uomo inerme», sussurrò, mentre la lama si abbatteva sull’indice di Campagnola recidendolo di netto.
«Presto, prendete il bambino e salite sul badan legato a dritta. È un’imbarcazione piccola, ma molto più veloce di questa caracca. Entro poche ore li avremo seminati.»
Il vento era calato non appena Wu aveva reciso le cime che assicuravano il badan al fianco della nave. L’oscurità stava lasciando il posto ai primi bagliori dell’alba. Gli occupanti dell’imbarcazione araba remavano con tutte le loro forze per allontanarsi il più possibile dalla nave: sapevano che, non appena Campagnola fosse rinvenuto, avrebbe dato l’allarme e si sarebbe lanciato al loro inseguimento.
Adil osservò l’uomo che gli aveva salvato la vita. Gli occhi azzurri della misteriosa figura che l’aveva strappata alla morte brillavano di una strana luce.
«Sono morta», disse Adil, «e ti ho finalmente raggiunto, padre mio.»
Il Muqatil, per la prima volta dopo molti mesi, sorrise.
«No, bimba mia. Sei sana e salva. Ho riconosciuto te e gli uomini a cui ti avevo affidata sin dal momento in cui Campagnola ha abbordato la cocca, nonostante l’oscurità e gli abiti maschili che porti. Ho agito appena sono stato in grado di farlo.»
Le urla provenienti dalla nave veneziana riuscivano a superare il breve braccio di mare che separava le due imbarcazioni. Wu stava remando con poderose vogate, aumentando la distanza fra loro e i veneziani. La caracca poteva essere mossa solo dalla forza del vento e questo costituiva un ulteriore vantaggio per i fuggitivi.
Campagnola e i suoi sembravano cani rabbiosi legati a una catena. Gridavano ingiurie alla volta della piccola imbarcazione e, impotenti, la vedevano allontanarsi sempre più.
«Non avrò pace sino a che non sarete tutti sotto terra, creature di Satana!» urlò il nobile veneziano, il volto contratto dall’odio. Quindi si rivolse a uno dei suoi: «Passami una balestra».
Come molti suoi concittadini, anch’egli si dilettava nell’uso di quella potente arma e partecipava ai frequenti tornei, molto popolari nella città lagunare.
Campagnola premette il moncherino dell’indice contro un brandello di stoffa, impugnò l’arma e prese la mira. Quindi poggiò le tre dita sane sulla manetta e fece una leggera pressione.
Il dardo partì con uno schiocco violento, accompagnato dalla maledizione del veneziano: «Muori, figlio del Demonio».
Il Muqatil era raggiante di felicità: aveva ritrovato sua figlia, la ragione della sua vita. Si alzò per cingere la bambina, mentre un sibilo sinistro seguito da un colpo sordo tagliava il silenzio.
Il dardo penetrò tra le scapole del guerriero saraceno. Il Muqatil si rese conto che la traiettoria della freccia avrebbe colpito Celeste al volto, se il caso non avesse voluto che il suo corpo si frapponesse tra lei e l’inesorabile appuntamento con la morte. Il sorriso non abbandonò le sue labbra, nemmeno quando scivolò a terra.
Un primo alito di vento soffiò assieme al sole che sorgeva dal mare. Le vele del badan si gonfiarono, portando gli occupanti sempre più lontano dalla minaccia.
«Spostati, Adil, o come ti chiami», disse Rhoda chinandosi sul ferito, «prendimi dell’acqua di mare e guarda sotto quella tela se ci sono dei panni puliti. Temo che ci sia poco da fare.»
Il Muqatil parve riprendere conoscenza. «Mi dispiace non essere arrivato prima, piccola mia. Avrei voluto godere più a lungo della tua meravigliosa compagnia.»
«No, padre, no, ti prego, non dire così, proprio adesso che ci siamo ritrovati.»
«È stato il caso che ci ha voluto dare questa ultima opportunità di salutarci. Non pensavo che ti avrei rivisto ancora quando, contratta la peste, mi sono ritirato sull’isola che ha visto nascere l’amore tra me e tua madre. Ma la malattia mi ha risparmiato, così come mi aveva risparmiato la katana di Humarawa quando, invece di cimentarsi con i superstiti di Tabarqa, aveva facilitato la nostra fuga. Una volta guarito, dall’isola mi sono messo all’inseguimento della vostra cocca, sperando che trasportasse un ricco bottino. Non avevo idea che vi avrei trovato il mio più grande tesoro.» Il Muqatil riprese fiato per qualche istante, quindi si rivolse al giapponese. «Abbi cura di lei, Humarawa. Amala come se fosse figlia tua, mio onorevole nemico.» Il volto del guerriero era ormai terreo. «Addio, piccola mia.»
Questa volta gli occhi color cobalto del Muqatil, il pirata che non conosceva lacrime o paura, si chiusero per sempre.
Tutti gli uomini sognano, ma non allo stesso modo.
Thomas Edward Lawrence
Giugno 2004
« Figlio mio », Sara Terracini trasalì quando decrittò le parole con cui si apriva il documento che un funzionario dell’ambasciata israeliana a Roma aveva insistito per consegnarle personalmente. E, in effetti, sembrava che il diplomatico avesse avuto tutte le ragioni per considerare importante il diario. Sara si rese conto che si trattava della lunga lettera di un padre a un figlio. Quel figlio si chiamava Oswald Breil. E la lettera era scritta in forma di diario, in quel linguaggio familiare che ormai aveva imparato a conoscere.
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