Marco Buticchi - L'anello dei re

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Un attentato a New York semina il panico tra la popolazione, ma si tratta solo di un primo caso di una serie di agguati verso la popolazione musulmana. Il rivendicatore si firma “Giusto in nome di Dio” e imprime sulle sue lettere il sigillo a 6 punte del re Salomone. Si alternano quindi le vicende dei possessori dell’anello. Dalla Venezia del 1300 si passa al fronte carsico della Grande Guerra e poi fino alla dittatura di Ceausescu in Romania.Questi flash-back si alternano alla ricerca del “Giusto” da parte di Oswald Breil e Cassandra Ziegler. Dopo numerosi colpi di scena , intrighi di potere, di cui sono protagonisti anche personaggi realmente esistiti, i protagonisti riescono a scoprire la vera identità del “Giusto” e evitare l’ennesimo massacro.

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«Speriamo che Rocco non sia stato colpito. E io che pensavo fosse una specie di imboscato. Invece si è rivelato un soldato coraggioso e intraprendente.» L’ufficiale italiano raccolse la pistola che era caduta a terra nella lotta. Alcuni militari inglesi, che avevano assistito alla scena dalla carrozza, gli facevano ampi cenni affinché risalisse sul treno: i ribelli si stavano preparando a un’altra carica.

Una volta rientrato, Sciarra si diede da fare per organizzare la difesa da quello che si annunciava come un assedio senza possibilità di salvezza per gli assediati.

Si erano ormai susseguite quattro cariche da parte dei beduini e in ognuna di queste le perdite tra i ranghi inglesi si facevano sempre più pesanti.

«Dobbiamo riuscire a liberare i binari», pensò Sciarra. «Potrebbe essere l’unico modo per salvare la pelle.»

Nel corso della precedente escursione verso la testa del treno, il colonnello italiano aveva avuto conferma alle sue supposizioni sul motivo per cui il convoglio si era bruscamente arrestato: un grosso masso ostruiva i binari. Doveva riuscire a trasportare fino all’ostacolo un paio di casse dell’esplosivo che aveva visto caricare al Cairo. Se fossero riusciti a farlo brillare, il masso sarebbe saltato in aria e il treno avrebbe potuto ripartire e forse seminare i suoi inseguitori.

Sciarra si era diretto verso la coda del convoglio, seguito da quattro militari inglesi. Aveva oltrepassato le carrozze passeggeri e si era bloccato sul predellino della seconda: davanti ai suoi occhi stava infuriando una cruenta battaglia. Le due mitragliatrici continuavano a sputare fuoco e pallottole. Ma la cosa non sembrava preoccupare per nulla gli assalitori.

Sciarra si gettò sul bilico, acquattandosi il più possibile tra le casse che il vagone trasportava. Ma sembrava che i beduini si guardassero bene dal colpire il vagone che trasportava gli esplosivi: era come se conoscessero l’esatta ubicazione delle munizioni e cercassero di preservare l’integrità del loro potenziale bottino.

Sciarra recise con la baionetta la corda che assicurava il carico e scelse con cura le due casse in base alla scritta che ne indicava il contenuto. Le sollevò una per volta e le passò ai quattro che l’avevano seguito. Quindi il piccolo gruppo raggiunse la fine della carrozza collegata al carro bestiame, trasportando l’esplosivo.

Sciarra della Volta fece cenno ai suoi di passare sotto al carro bestiame e di avanzare carponi sulle traversine dei binari. I quattro lo seguirono in silenzio. Erano a un passo dalla locomotiva quando uscirono allo scoperto e si portarono nei pressi del masso che i beduini avevano collocato sulle rotaie. Non c’era tempo per disporre i candelotti di dinamite: Sciarra posò le casse ai piedi del masso. Quindi ne aprì una, estrasse alcuni candelotti e li portò con sé, mentre tornava verso il locomotore.

Fu a quel punto che la situazione parve precipitare a causa di una nuova carica dei beduini. Le mitragliatrici tacquero e le scariche di fucileria provenienti dai militari asserragliati nei vagoni si fecero sempre più sporadiche e meno incisive.

Il colonnello italiano diede fuoco alla miccia dei tre candelotti che aveva in mano. Attese che le scintille sprizzassero dalla polvere dello stoppino, quindi scagliò la dinamite in direzione delle casse.

L’esplosione provocò un’onda d’urto tale che anche il pesante locomotore vibrò come se fosse stato scosso dal vento. Attesero che il fumo si diradasse e allora Sciarra e i quattro militari inglesi si accorsero che sette arabi con le armi puntate erano immobili davanti a loro.

Ma proprio mentre i soldati stavano alzando le mani in segno di resa, una raffica di fucileria esplose dalla sommità dell’altura che dominava la scena. Cinque dei sette beduini caddero a terra senza un lamento. I due sopravvissuti se la diedero a gambe.

Rocco cavalcava il suo stallone arabo e, al suo fianco, si trovava un giovane ufficiale dei bersaglieri.

Una sessantina di «uomini gallina», così gli inglesi chiamavano gli oltre trecentoquaranta bersaglieri di stanza in Palestina, piombarono sui nomadi come falchi in caccia. Fu sufficiente una sola carica di cavalleria perché i nemici si ritirassero al galoppo nel deserto dal quale erano venuti. Sul terreno erano rimasti una ventina di soldati inglesi e più di cinquanta beduini.

Rocco andò in cerca del suo superiore.

«Colonnello!» gridò il soldato siciliano non appena lo vide. «Spero di non essere arrivato troppo tardi.»

«Grazie a voi, Rocco, siamo riusciti a sventare una gravissima minaccia. Pensate a quali sarebbero state le conseguenze per gli alleati se il nemico fosse riuscito a impadronirsi del carico d’armi ed esplosivi che trasportiamo. E grazie anche a voi e ai vostri uomini, maggiore», disse Sciarra, osservando i gradi dell’ufficiale dei bersaglieri accorso in loro aiuto, «un solo secondo più tardi e quei beduini ci avrebbero passato per le armi.»

«Maggiore Francesco d’Agostino, ai vostri ordini, signore. Attacchi come questo sono abbastanza frequenti lungo la rete ferroviaria, e per lo più sono opera di tribù di predoni fedeli ai turchi. Se foste capitolati nessuno sarebbe sopravvissuto: i nomadi del deserto non fanno prigionieri. È già successo altre volte. Purtroppo non sempre siamo riusciti a intervenire tempestivamente come in questo caso. Il guaio è che i miei uomini e io non abbiamo il dono dell’ubiquità e il tratto di linea che dobbiamo sorvegliare è sconfinato. In ogni caso sono doppiamente felice: per aver tirato fuori dai guai gli occupanti del convoglio e per aver incontrato un mio connazionale. Se ci diamo da fare per sgombrare quello che rimane del masso che ostruiva i binari, credo che questa sera voi e il vostro attendente potrete riposare in un albergo di Suez, signor colonnello.»

Poco dopo la locomotiva riprendeva a sbuffare nel deserto.

La cittadina di Suez occupava un triangolo di terra posto tra la sponda orientale del mar Rosso e l’imboccatura meridionale dell’omonimo canale, costruito dai francesi mezzo secolo prima e inaugurato il 17 novembre del 1869. La Compagnia universale del canale di Suez di «universale» aveva soltanto undicimila delle quattrocentomila azioni: il rimanente capitale era suddiviso tra la Francia — maggiore azionista — e l’Egitto. Quest’ultimo, sull’orlo della bancarotta, aveva poi ceduto le sue azioni all’Inghilterra nel 1876, aprendo agli inglesi la porta del loro grande sogno commerciale: la via diretta per le Indie.

Negli anni successivi quel taglio nella terra desertica riempito dell’acqua di due mari sarebbe diventato un nodo nevralgico per lo sviluppo economico di molte nazioni. In Persia si cominciavano a effettuare le prime trivellazioni petrolifere industriali. Ogni potenza, di fronte alla tecnologia che galoppava, intuiva che l’importanza del petrolio sarebbe aumentata sempre più e le regioni desertiche dell’Arabia sembravano essere uno sconfinato giacimento della preziosa materia prima.

A fronte di queste considerazioni, era evidente che il possesso delle poche case di Suez e il controllo del serpente d’acqua che si spingeva sino al Mediterraneo erano stati lo stimolo principale dell’istituzione del fronte mediorientale: agli Stati occidentali importava poco o nulla delle rivendicazioni indipendentiste di arabi e palestinesi. I loro interessi erano molto più materiali! Ma ben diverse furono le motivazioni ufficiali addotte: ingigantire l’importanza degli ideali era il primo punto di ogni propaganda a favore della guerra. Minor credito presso l’opinione pubblica avrebbe riscosso la verità: il fronte era stato aperto perché il petrolio avrebbe cambiato le sorti della storia, dell’economia e dello sviluppo del mondo. Senza contare che il canale di Suez rappresentava la via più breve per l’Oriente e per i possedimenti d’oltremare dell’Occidente.

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