Marco Buticchi - L'anello dei re

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Un attentato a New York semina il panico tra la popolazione, ma si tratta solo di un primo caso di una serie di agguati verso la popolazione musulmana. Il rivendicatore si firma “Giusto in nome di Dio” e imprime sulle sue lettere il sigillo a 6 punte del re Salomone. Si alternano quindi le vicende dei possessori dell’anello. Dalla Venezia del 1300 si passa al fronte carsico della Grande Guerra e poi fino alla dittatura di Ceausescu in Romania.Questi flash-back si alternano alla ricerca del “Giusto” da parte di Oswald Breil e Cassandra Ziegler. Dopo numerosi colpi di scena , intrighi di potere, di cui sono protagonisti anche personaggi realmente esistiti, i protagonisti riescono a scoprire la vera identità del “Giusto” e evitare l’ennesimo massacro.

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Campagnola si fece incontro all’alto prelato. Devotamente si inchinò e sfiorò l’anello vescovile con le labbra sottili. «A nome del Consiglio dei Dieci, organo del quale sono onorato di essere il consigliere anziano», disse Campagnola, «sarei lieto di avervi come ospite, vostra eminenza, durante il vostro soggiorno nella nostra città.» Quindi proseguì chinandosi verso l’interlocutore e abbassando il tono di voce. «Capisco che l’incontro con il doge vi abbia lasciato l’amaro in bocca, ma dove non arriva un solo uomo, molti uomini possono arrivare.»

Nell’udire quella voce, Adil si era irrigidito, il corpo percorso da un fremito. Il giovane si fece più vicino al vescovo e al consigliere per carpire le loro parole. Il cappuccio da benedettino gli copriva il capo, rendendolo irriconoscibile.

Quanto detto da Campagnola corrispondeva a verità: il Consiglio dei Dieci era presieduto dal doge e composto da dieci consiglieri e da sei membri scelti dal doge stesso. I compiti istituzionali dell’organo collegiale sarebbero stati quelli di garantire l’ordine pubblico a Venezia: forte di questo mandato, il Consiglio, in realtà, entrava nel merito di tutte le decisioni importanti che riguardavano la Repubblica.

Il vescovo ricambiò i convenevoli con frasi lusinghiere: la fama e il potere di Campagnola erano giunti sino a lui. «Nella giornata di sabato, se per voi sta bene, nobile Campagnola.»

«Certo, preparerò ogni cosa perché voi riceviate degna accoglienza.»

I due si congedarono e il vescovo si diresse verso la scalinata del palazzo.

Adil si fece vicino al prelato. «Posso parlarvi, eminenza?»

«Finalmente il più silenzioso dei miei accompagnatori si è deciso a proferire verbo. Sai che ho creduto tu fossi muto? Orsù, parla.»

«Non fidatevi di lui, mio signore.»

«Certo, lo farò, ma che cosa vuoi che succeda a un uomo di chiesa? Chi può avere interesse a far del male a un ambasciatore di pace?»

«Campagnola è un uomo infido, eminenza. Cercate di non restare mai solo con lui. Naturalmente sarete costretto a congedarvi dalle guardie all’ingresso del palazzo… ma nessuno vi può imporre di abbandonare i vostri fedeli monaci. Portatemi con voi. Potrei esservi di grande aiuto.»

«Chi sei tu, che dici di chiamarti fratello Giovanni? E come fai a conoscere così bene il nobile veneziano?»

«Egli fa parte di un periodo della mia vita che sto cercando di dimenticare, eminenza.»

«Come vuoi, fratello Giovanni. Ti condurrò con me, assieme a due altri monaci, in modo che tu possa alfine convincerti delle buone intenzioni di Campagnola e del Consiglio.»

Campagnola era seduto a capotavola nel salone del suo palazzo veneziano. Con lui vi erano cinque influenti membri del Consiglio.

«Questa è la nostra ultima occasione», disse Campagnola. «Mai riusciremo a creare un’altra opportunità a noi così favorevole: dinanzi al Palazzo del Broglio siamo riusciti a comprare i voti di due barnabotti , riuscendo a fare eleggere Dolfin doge di Venezia. Egli adesso disattende i patti e non se la sente di marciare contro l’Ungheria. La sua titubanza farà capitolare la nostra città. Io ritengo invece che si debba attaccare immediatamente e cogliere i nemici di sorpresa. Quelli del doge sono inutili tentennamenti che servono soltanto a far rafforzare i nostri rivali: c’è bisogno di un’azione dalla quale nemmeno il carattere timoroso di Dolfin possa più tornare indietro… state a sentire me…»

42

Agosto 2004

Dal diario di Asher Breil, Bucarest, 1968.

già, l’Anello dei Re… Il talismano che soltanto un uomo giusto può possedere, pena la sventura su di lui. Non sai, figlio mio, quanti uomini reputino giuste, a torto, le proprie azioni.

Non nego che i modi di condurre la nazione adottati da Nicolae Ceausescu fossero in grado di affascinare chiunque. Era un politico capace e attento, sapeva controbilanciare le disobbedienze al governo sovietico con slanci di dedizione degni del più fedele tra i servitori.

Spesso venivo convocato da lui senza alcun motivo specifico, solo per parlare del più e del meno. Teneva sempre in considerazione le mie opinioni. Fu nel corso di uno di questi nostri incontri informali che parlammo dell’Anello dei Re.

«Vedo che l’argomento le sta a cuore», disse il conducator. «Mi dica con sincerità quanto sa di quell’antico talismano.»

«In verità ne so molto poco», mentii. «Mi pare di aver sentito dire che a quell’anello vengano conferiti grandi poteri. Ma non è questo tipo di leggende che suscita la mia curiosità.»

«Non sa quanto si sbaglia, dottor Breil», ribatté Ceausescu, mentre le sue dita si stringevano attorno all’anello che aveva estratto da una piccola cassaforte a muro. «Questo oggetto è passato di mano in mano nel corso dei secoli e, in chiunque lo ha posseduto, ha lasciato un segno indelebile. Guai se ora dovesse cadere nelle mani sbagliate: il potere dell’Anello potrebbe far precipitare nella sventura il suo possessore, oppure farlo prosperare nella malvagità, sino a poi chiedergli conto del suo operato.»

«Davvero crede a questa leggenda?» chiesi, guardando negli occhi il leader rumeno.

«È qualche cosa di più che una leggenda, Asher: è il destino di chi ha posseduto l’Anello a parlare. Da Salomone in poi, chiunque lo abbia infilato al dito è divenuto protagonista di un’esistenza fuori dal normale. Guardi questo antico papiro», disse ancora Ceausescu srotolando con cura un documento scritto in greco, «qui si dice che l’Anello sia appartenuto anche a Nerone. L’imperatore che ebbe come precettori Seneca, Cheremone, Afranio Burro e che regnò sul più grande impero di ogni tempo. La sua fu una vita finita in tragedia, ma vissuta intensamente.»

«Lei crede che la sorte di Nerone sia stata determinata dall’antico talismano? Non si potrebbe essere trattato, più semplicemente, del concatenarsi di cause ed effetti che la vita riserva a ognuno di noi?»

«Non è così, mio buon amico. Non è così. Un giorno le racconterò di un antico ordine cavalleresco a cui hanno aderito molti eroi della mia patria. L’Anello dei Re veniva tramandato di padre in figlio, assieme all’appartenenza all’ordine…»

«L’Ordine del Drago?» chiesi io.

«Non mi stupisce constatare che lei conosce più cose di quanto lascia intendere, dottor Breil. Sì, sto parlando dell’Ordine del Drago.»

L’ultimo attentato del Giusto aveva provocato ripercussioni gravissime in ogni angolo del pianeta. Alle classi dirigenti dei paesi occidentali veniva contestata l’assoluta indifferenza nei confronti di un pazzo che andava in giro per il mondo ad accoppare innocenti di religione musulmana. Problema si andava a sommare a problema: gli episodi di ritorsione e di vendetta a opera di estremisti scalmanati nei confronti di cittadini occidentali si erano fatti sempre più frequenti. Accanto alle proteste espresse in maniera pacifica, il terrorismo islamico, col pretesto delle azioni del Giusto, si era scatenato contro obiettivi civili in una escalation senza precedenti.

I governi erano tutti sotto pressione, a partire dai vertici degli Stati Uniti — che sarebbero andati incontro a un serrato duello elettorale entro pochi mesi — sino all’ultimo degli agenti che, con l’angoscia nel cuore, presidiava il crocevia di una qualsiasi città occidentale.

«Ti ho lasciato un mese per pensarci, Glakas. Sei arrivato a una conclusione?»

Il dirigente della CIA non aveva fatto parola con nessuno del contatto avuto con il Giusto. Si era convinto che quel segreto gli sarebbe forse tornato utile.

«Ci ho pensato, Giusto», rispose Glakas con voce ferma. «Credo sia opportuno incontrarci.»

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