Marco Buticchi - L'anello dei re

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Un attentato a New York semina il panico tra la popolazione, ma si tratta solo di un primo caso di una serie di agguati verso la popolazione musulmana. Il rivendicatore si firma “Giusto in nome di Dio” e imprime sulle sue lettere il sigillo a 6 punte del re Salomone. Si alternano quindi le vicende dei possessori dell’anello. Dalla Venezia del 1300 si passa al fronte carsico della Grande Guerra e poi fino alla dittatura di Ceausescu in Romania.Questi flash-back si alternano alla ricerca del “Giusto” da parte di Oswald Breil e Cassandra Ziegler. Dopo numerosi colpi di scena , intrighi di potere, di cui sono protagonisti anche personaggi realmente esistiti, i protagonisti riescono a scoprire la vera identità del “Giusto” e evitare l’ennesimo massacro.

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«Ora basta con questi atteggiamenti da… ehm… ragazza…» Humarawa sorrise. «Prendi la spada e facciamo un po’ d’esercizio.»

«Quali esercizi?» intervenne Rhoda stringendo il manico di una pentola fumante avvolto in uno straccio. «Ho faticato parecchio per tenere sul fuoco la pentola con questo rollio e ho sempre paura che qualche scheggia della brace provochi un incendio. Ora a tavola, si mangia!»

Stavano seguendo ancora la rotta per Costantinopoli: l’ultima tappa sarebbe stata l’isola di Chios, quindi avrebbero cambiato direzione e puntato verso Tessalonica, con la speranza di ingannare Campagnola. Humarawa sapeva che, così facendo, avrebbero perso almeno un paio di giorni, ma era un rischio che doveva correre se voleva portare tutti in salvo.

L’uomo camminava lentamente lungo la spiaggia dell’isola. Sul corpo possente del guerriero erano evidenti i segni di una non lontana sofferenza. Si fermò a guardare la nave che passava al largo. Non gli ci volle molto per riconoscere una cocca veneziana anche da quella distanza. L’uomo continuò a camminare. Sopra di lui incombeva l’enorme cratere spento da secoli. Il tempo aveva cancellato i segni della battaglia, ma negli occhi color del mare dell’uomo non si erano spenti i ricordi. Il grido amico del falco ammaestrato gli risuonava ancora nelle orecchie. Aveva fatto bene a lasciare ciò che gli era rimasto di più caro nelle mani del suo peggior nemico? Adesso temeva di aver commesso un errore irreparabile. Doveva abbandonare l’isola e mettersi sulle tracce del suo unico bene. Era stato un pirata, sapeva come raggiungere il ponte di una nave in navigazione per impadronirsi di vestiti, denari e di ogni cosa necessaria per ritornare nel mondo civile. Però era solo e non avrebbe certo potuto arrembare una galea o una nave da guerra. Il caso gli era venuto incontro: l’equipaggio della cocca poteva essere di cinque o sei membri e non era detto che tutti fossero abili nel maneggiar la spada. L’uomo si sentiva in grado di poterli combattere sfruttando la sorpresa e la sua scaltrezza. Spinse in mare il veloce badan e si mise all’inseguimento della piccola nave.

La notte era scesa velocemente e si era alzato un vento forte e pericoloso. L’uomo aveva perso di vista la preda, quando il mare aveva incominciato a montare: quella non sarebbe stata la notte ideale per tentare l’arrembaggio. Il mattino seguente scrutò l’orizzonte in ogni direzione: della cocca non c’era più traccia. Quando la rivide era trascorsa un’altra notte, l’isola di Chios era ormai in vista e la barca stava dirigendo in porto. L’uomo pose il badan al vento: un’occasione così ghiotta non andava sprecata. Sarebbe rimasto nei pressi del porto sino al mattino seguente per vedere se la nave fosse nuovamente salpata.

Wu aveva scorto la vela all’orizzonte. Doveva trattarsi di una imbarcazione piccola, destinata al trasporto di merci tra le isole dell’Egeo. Quasi certamente era diretta verso il porto di Chios, dove tra breve il cinese sarebbe sbarcato per recitare la solita parte. Per fortuna sarebbe stata la sua ultima rappresentazione. Del resto quello era l’unico sistema per tentare di confondere le loro tracce: Campagnola era un segugio pericoloso e Humarawa lo sapeva bene.

Erano le prime luci dell’alba, quando l’uomo vide la cocca che doppiava il molo del porto di Chios e si dirigeva con andatura lenta verso i Dardanelli e Costantinopoli. Decise che avrebbe aspettato la notte prima di agire.

A sera accadde però una cosa inspiegabile: là barca cambiò improvvisamente rotta, virò di quasi centottanta gradi e prese a navigare verso settentrione.

«Speriamo che, se Campagnola è sulle nostre tracce, cada nel tranello. In pochi giorni, con questo vento dovremmo giungere a Tessalonica. E se siamo fortunati, tra una settimana potremmo essere in Ungheria, al riparo dagli artigli del veneziano», disse Humarawa timonando verso la nuova destinazione.

L’uomo sul badan mantenne invece la rotta. Avrebbe virato dopo il tramonto per non allarmare le sue prede: la sorpresa era la freccia più potente del suo arco.

E la notte giunse, con una falce di luna che non sarebbe bastata a illuminare il mare scuro, battuto da un vento teso e costante.

L’uomo lasciò che le vele si gonfiassero e che il badan cominciasse a navigare sfruttando al massimo le sue doti di velocità.

La lanterna di poppa era adesso visibile. Gli occupanti della cocca sembrava non avessero il minimo sospetto del pericolo.

Rhoda stringeva la barra del timone: aveva imparato in fretta a riconoscere il comportamento della nave e le sue reazioni al vento. Ogni tanto controllava che la stella che doveva seguire per mantenere la rotta notturna fosse sempre nella stessa posizione.

Gli uomini avrebbero voluto che lei non si alternasse a loro durante i turni di notte, ma Rhoda si era imposta: le sole persone in grado di timonare erano i tre adulti. Alla fine anche i due orientali avevano ceduto e avevano suddiviso in parti uguali i tempi delle guardie.

Wu era rimasto con lei sino a poco prima: tra la donna e il gigante stava nascendo un sentimento nuovo, ben più profondo di una semplice amicizia.

L’uomo teneva la scotta nella mano destra, navigando sicuro nella notte, mantenendosi nella scia della cocca. Si preparò all’arrembaggio: avrebbe assicurato i rampini alla battagliola, quindi si sarebbe issato a bordo, sperando che, con il favore delle tenebre, nessuno si fosse accorto di lui.

L’ombra sfiorò quasi il badan , passandolo sopravento. Nessuno a bordo della nave apparsa dal nulla si era accorto della piccola imbarcazione araba.

Passato il primo momento di sorpresa, l’uomo pose l’agile badan sulla scia di quella nuova nave sbucata dal buio della notte e lanciata anch’essa all’inseguimento della cocca.

Angelo Campagnola era a prua con i piedi ben piantati sul ponte. Gli occhi, persi nel buio della notte, sembravano voler ghermire quell’unica luce davanti a lui che brillava nel nero quasi assoluto.

Wu le aveva raccomandato di controllare spesso che la vela fosse sempre gonfia di vento. Rhoda aveva imparato presto ad assecondare con piccoli colpi di timone la direzione del vento, in modo che la vela ne catturasse ogni refolo. I due uomini e il ragazzo erano stesi sul ponte e stavano dormendo. L’urlo uscì dalla bocca della donna quando ormai era troppo tardi. L’ombra minacciosa di una grossa nave sovrastò il parapetto. Gli uomini di Campagnola saltarono a bordo ancor prima che le due imbarcazioni venissero a contatto. Quando i due orientali si svegliarono di soprassalto avevano già le lame delle spade degli assalitori puntate alla gola. Ogni tentativo di reazione sarebbe stato inutile.

La voce di Campagnola si levò minacciosa. «Sono indeciso se portarvi a Venezia e farvi giustiziare con tutti gli onori», le torce che gli assalitori avevano acceso conferivano un aspetto ancor più inquietante al nobile veneziano, «oppure… oppure potrei staccare le vostre teste qui in mezzo al mare… Credo che sia più conveniente per il mio onore, dinanzi alla città e al doge, che voi veniate impiccati in piazza San Marco, anche se non so se la città approverà la condanna a morte di un adolescente.»

Così dicendo lo sguardo di Campagnola si posò su Adil: «Avrò modo di occuparmi di te, figlio del Demonio. Molte miglia di mare ci separano da Venezia… e in mare possono sempre succedere delle disgrazie…»

L’uomo aveva seguito ogni fase dell’arrembaggio ed era trasalito quando, alla luce delle torce, gli era parso di distinguere sul ponte della cocca figure a lui familiari.

Udì distintamente gli ordini che Campagnola stava impartendo ai suoi uomini: «Cinque di voi resteranno su questa nave e la ricondurranno a Venezia. Trasbordate i prigionieri e, se qualcuno di loro cerca di ribellarsi, uccidetelo».

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