Marco Buticchi - L'anello dei re

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Un attentato a New York semina il panico tra la popolazione, ma si tratta solo di un primo caso di una serie di agguati verso la popolazione musulmana. Il rivendicatore si firma “Giusto in nome di Dio” e imprime sulle sue lettere il sigillo a 6 punte del re Salomone. Si alternano quindi le vicende dei possessori dell’anello. Dalla Venezia del 1300 si passa al fronte carsico della Grande Guerra e poi fino alla dittatura di Ceausescu in Romania.Questi flash-back si alternano alla ricerca del “Giusto” da parte di Oswald Breil e Cassandra Ziegler. Dopo numerosi colpi di scena , intrighi di potere, di cui sono protagonisti anche personaggi realmente esistiti, i protagonisti riescono a scoprire la vera identità del “Giusto” e evitare l’ennesimo massacro.

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Il doge annuiva con aria stanca e distratta, mentre Campagnola terminava di formulare la sua richiesta: «A suo tempo ho armato a mie spese una piccola flotta per catturare il pirata Muqatil e liberare il Mediterraneo dalla sua presenza. Adesso, ti chiedo, doge di Venezia, di aiutarmi a sconfiggere quella che potrebbe diventare una nuova minaccia per la nostra città. I due orientali, un tempo al soldo dei veneziani, che hanno contribuito alla sconfitta del Muqatil, ora si sono rivoltati contro le istituzioni e costituiscono un grave pericolo: dobbiamo intervenire subito. Sono qui per chiederti di armare una galea e di assegnarmi degli uomini per dare la caccia ai nemici. La pestilenza ha quasi prosciugato le mie casse e non posso più affrontare da solo una simile impresa».

«Mi rendo conto che c’è del vero nelle tue affermazioni, nobile Campagnola. Ma è anche vero che per te liberarti del Muqatil era una questione personale. Non era forse tua figlia quella che ha dato un erede al pirata?»

«È così, signore, e anche di figli vorrei parlarvi. Figli del Demonio: sono convinto che i due orientali conducano con loro un giovinetto dagli occhi malefici, un giovane arabo che chiamano Adil: da quando è comparso a Venezia pare che il Cielo si sia accanito contro la città. Non avevamo ancora finito di sotterrare i morti del terremoto che ci siamo trovati a dover fronteggiare la peste.»

Andrea Dandolo, cinquantaquattresimo doge di Venezia, pur essendo uomo di lettere e di grande cultura era sensibile alla superstizione e temeva le forze oscure del Maligno.

«Non credo che le tue casse siano molto più asciutte di quelle di noi tutti in città: il morbo ci ha messo in ginocchio, quindi ciò che posso fare è contribuire alle spese di armamento di una caracca e dare la caccia a questi orientali e a colui che tu dici essere il figlio di Satana.»

Con queste parole e con un gesto della mano, il doge pose fine all’udienza privata che Campagnola aveva ottenuto.

Data l’inattività commerciale dovuta al divampare della pestilenza, pochi se non nulli erano i traffici svolti in quel periodo dalla marineria veneziana.

L’imbarcazione fu disponibile in pochi giorni, con tanto di equipaggio bramoso di allontanarsi dalla città lagunare e dall’epidemia.

«Anche se mi dovrò accontentare di questa bagnarola, non mi sfuggiranno», disse Campagnola non appena la caracca, una nave alta di bordo e tozza, ben diversa dalla galea richiesta, prese a solcare il mare calmo. «Ovunque vadano devono sapere che io ho orecchie e occhi pronti a seguire ogni loro mossa. Non avrò pace sino a che non avrò raggiunto il mio scopo. Ma non sarà facile con la ciurma di cui dispongo.»

Le caracche erano navi dotate di due alberi, uno a vela quadra e il trinchetto a vela latina. Erano in grado di navigare in mare aperto. Note per la loro resistenza e per le loro capacità di carico, non brillavano per la velocità e non erano attrezzate per il combattimento.

Campagnola, in piedi sul castello di poppa, osservò l’equipaggio, composto da una trentina di uomini in tutto. Si trattava di semplici marinai, abituati a caricare le stive a forza di braccia, ma quasi completamente inesperti nell’uso di armi. Il veneziano conosceva il valore dei suoi avversari: in due avevano appena annientato dieci dei suoi migliori uomini.

«Non possiamo contare molto sul nostro vantaggio, se Campagnola dovesse essersi messo di nuovo al nostro inseguimento: la cocca è lenta e due uomini, una donna e un ragazzo non costituiscono certo l’equipaggio ideale per governarla come si dovrebbe», disse Humarawa rivolto ai suoi compagni di viaggio. «Se il veneziano è sulle nostre tracce dobbiamo raggiungere una terra sicura prima che ci sia addosso. Già, ma quali terre possono considerarsi zone franche di fronte alle ire di un potente veneziano?»

«L’Ungheria!» esclamò Rhoda dando voce al suo pensiero. «I viandanti che avevano il coraggio di fermarsi nella casa della strega erano spesso portatori di notizie e confidenze. Da uno di loro ho appreso che il re d’Ungheria, Luigi I, è un nemico giurato della Repubblica veneziana. Soltanto due anni or sono è stata soffocata nel sangue la rivolta della città di Zara: uno dei tanti moti di popolo che gli ungheresi avevano fomentato ai danni di Venezia. Forse la mano di Campagnola non oserà raggiungere quelle terre.»

«Hai ragione, Rhoda: dirigere verso Costantinopoli sarebbe una mossa troppo prevedibile. Senza tenere conto che, nell’attesa che si formi un convoglio per l’Oriente, potremmo aspettare giorni, forse mesi nella città: e un quartetto come il nostro non passerebbe inosservato. Se ci staranno ancora inseguendo, una volta giunti anche loro a Costantinopoli li avremmo addosso in poche ore. Il nostro piano sarà quello di sviarli e di far loro credere che la nostra rotta sia Costantinopoli: dovremo lasciare delle false tracce nei porti del Peloponneso mentre, una volta giunti a Tessalonica, abbandoneremo la cocca e continueremo il nostro viaggio per l’Ungheria via terra.»

«Se fossi al loro posto… se fossi al loro posto… non metterei piede in nessuno degli Stati amici di Venezia.» Campagnola seguiva a voce alta il filo dei suoi pensieri. «Humarawa conosce bene la rete di informatori su cui posso contare e non è uno sprovveduto. La logica imporrebbe che Humarawa e il suo servo si dirigessero a Oriente, facendo tappa a Costantinopoli: sanno bene che, nel mondo occidentale, due guerrieri dagli occhi a mandorla e un ragazzino sarebbero presto braccati. Ma devo stare all’erta: ho la netta sensazione che non seguiranno la rotta che potrebbe sembrare la più prevedibile.»

La taverna di Zacinto odorava di birra e del fumo acre del camino. Wu sedette su una delle panche e ordinò da bere. La sua aria poco raccomandabile era stranamente capace di attirarsi le simpatie della gente.

Zacinto era un possedimento della famiglia dei Tocco, molto vicina a Venezia. Per questo c’era chi diceva che presto l’intera isola sarebbe stata ceduta alla repubblica marinara e che da tempo erano in corso delle trattative.

«Dove siete diretti?» chiese con fare amichevole un marinaio seduto poco distante.

«A Costantinopoli, da lì proseguiremo il nostro viaggio verso Oriente», rispose Wu senza esitazione.

All’alba del giorno seguente la cocca aveva abbandonato la rada di Zacinto.

«Questi denari per bere alla mia salute!» disse il Campagnola rivolto alla ciurma. «E ricordate, i marinai trasportano le notizie, e le taverne frequentate da uomini di mare sono dei magazzini di informazioni.»

Soltanto poche ore più tardi, Campagnola compensava il marinaio che aveva raccolto la confidenza.

«Dunque… hai detto che il tuo informatore è partito l’altro ieri da Zacinto e che la cocca aveva lasciato il porto all’alba del giorno prima», disse il veneziano. «Significa che hanno soltanto tre giorni di vantaggio su di noi. Non appena doppieremo il Peloponneso dobbiamo abbandonare la rotta per Costantinopoli e dirigere verso la terraferma. Sembra che stiano marcando il territorio come una volpe che vuol tenere i predatori lontano dai piccoli.»

Un’isola era apparsa all’orizzonte: la sua sagoma indicava che si trattava di un cono vulcanico che solo da un lato digradava verso una piccola zona pianeggiante e sabbiosa. Lo sguardo di Humarawa era fisso su quella.

«Vedi, Adil, quanto è strana la vita: su quell’isola ho combattuto contro tuo padre e la sua gente; oggi sto fuggendo, assieme a te, da quello stesso padrone che mi aveva armato contro il tuo popolo.»

Gli occhi blu di Adil si persero all’orizzonte. «Conosco la storia, me ne ha parlato mia madre. E so anche che, se non fosse stato per avvertire mio padre del tuo attacco, mia madre non sarebbe tornata indietro e il loro amore non sarebbe forse mai nato…»

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