Marco Buticchi - L'anello dei re

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Un attentato a New York semina il panico tra la popolazione, ma si tratta solo di un primo caso di una serie di agguati verso la popolazione musulmana. Il rivendicatore si firma “Giusto in nome di Dio” e imprime sulle sue lettere il sigillo a 6 punte del re Salomone. Si alternano quindi le vicende dei possessori dell’anello. Dalla Venezia del 1300 si passa al fronte carsico della Grande Guerra e poi fino alla dittatura di Ceausescu in Romania.Questi flash-back si alternano alla ricerca del “Giusto” da parte di Oswald Breil e Cassandra Ziegler. Dopo numerosi colpi di scena , intrighi di potere, di cui sono protagonisti anche personaggi realmente esistiti, i protagonisti riescono a scoprire la vera identità del “Giusto” e evitare l’ennesimo massacro.

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«Credo sia meglio, soprattutto per motivi di riservatezza, che inizialmente il signor Kaczynski riceva una mia visita. Vedrò di capire se ha voglia di raccontarci che cosa si prova quando si sta dall’altra parte della barricata. Qualora la mia ambasciata fallisca, potrei sempre dire che è stata una mia iniziativa personale, senza tirare in ballo voi e l’FBI. Mi sembra che dalle vostre parti siano abbastanza severi quando si verificano ingerenze negli affari e nei servizi altrui. Un’altra cosa», disse ancora Breil prima che la riunione volgesse al termine. «Se dobbiamo lavorare assieme, vi chiedo di abbandonare inutili formalismi: credo che un semplice Oswald sia meno impegnativo e più diretto. Niente dottor Breil, dunque.»

Mentre uscivano dalla stanza, tutti i partecipanti alla riunione avevano maturato la convinzione che Oswald Breil fosse la persona più adatta a dichiarare guerra al pericoloso terrorista.

‹COME PREFERISCI LEGGERE IL ROMANZO DELLA TUA FAMIGLIA? A PUNTATE O IN UNICA SOLUZIONE?› Questo era il testo del messaggio inviato di primo mattino da Sara Terracini.

Quando il sole stava per toccare lo zenith sulla capitale, uno scampanellio la avvertì che era arrivata la risposta.

Come sempre le accadeva quando c’era nell’aria un contatto con il piccolo uomo, si sentì pervadere da un’eccitazione quasi infantile. Non era questa che le dava fastidio, ma piuttosto la sensazione di non riuscire a controllare i suoi stati d’animo ogni volta che la vita di Oswald Breil si incrociava con la sua.

«Sara Terracini, la donna tutta studi e archeologia, non riesce a fare a meno di scodinzolare felice quando in giro c’è Breil», si disse scuotendo la testa, prima di aprire la casella di posta e leggere il messaggio che Oswald le aveva mandato.

‹A CHE PUNTO SEI ARRIVATA? NON SONO MAI STATO COSÌ IMPAZIENTE. D’ALTRONDE SI TRATTA DELLA MIA FAMIGLIA. APPENA HAI QUALCHE COSA ME LA MANDI?? DALLE TUE PARTI DOVREBBE ESSERE CIRCA MEZZOGIORNO, CHIAMAMI SE HAI TEMPO, GRAZIE.›

«Va bene, Oswald, va bene… Ti chiamerò durante l’orario di pranzo, così non potrai rimproverarmi per aver sottratto tempo al mio lavoro. Tanto tu non dormi mai… Agli ordini, capo…» Sara mimò un saluto militare, quindi scosse la testa… «Se non ci fossi tu, Breil… se non ci fossi tu… mi sentirei davvero sola.»

Lo sguardo della donna si fece malinconico, mentre il volto di Henry Vittard le riaffiorava alla mente. La sua storia con il celebre navigatore oceanico era durata pochi mesi: intensi, carichi di passione e d’amore. Poi tutto era finito. Si erano progressivamente allontanati l’uno dall’altra senza che nessuno dei due facesse niente per impedirlo, come se tra loro non ci fosse stato altro che indifferenza. Ma Sara sapeva che non era così e che Henry avrebbe occupato per sempre una parte del suo cuore, così come lei sarebbe rimasta per lui qualcosa di più di una piacevole parentesi sentimentale.

Mentre i pensieri si perdevano nei ricordi, le mani della donna si muovevano rapide sulla tastiera del computer.

«Sì, sì, criptato, accidenti!» Sara si riscosse e si dedicò a un dialogo con il computer che le chiedeva se avesse dovuto procedere a rendere intellegibile il messaggio al solo destinatario.

«Breil mi ha chiesto di crittografare memorie di antichi romani o pittori settecenteschi», continuò Sara, intenta a scambiare due chiacchiere con un monitor. «Figuriamoci con la storia che riguarda i suoi genitori! Comunque ho capito da chi ha preso il vizio degli alfabeti segreti: da suo padre, Asher. Buon sangue non mente! Inizia pure da qui, mio caro Oswald.»

Le dita di Sara impartirono i comandi per allegare il primo tra i file che avrebbe spedito a Oswald. Nemmeno lei conosceva il finale di quella storia che stava mettendo in chiaro per Oswald. «Mettere in chiaro» significava rendere in prosa moderna e leggibile quanto custodito da un antico alfabeto o da un linguaggio segreto. La traduzione ottenuta doveva essere la più letterale possibile, come le raccomandava spesso Oswald, senza perdersi in errori di interpretazione, voli pindarici o teorie fuorvianti. Ciò che lei avrebbe scritto, sempre nella logica di Breil, doveva aiutare a «capire».

Ma per fare ciò avrebbe dovuto compiere uno sforzo: avrebbe trasformato quegli appunti in un racconto compiuto, cercando di non perdere la sua obiettività.

«Meglio di così…» si disse Sara premendo sul tasto di invio.

Da ora in poi la ricercatrice si sarebbe trasformata nel narratore di una cronaca affascinante come un romanzo.

34

Dagli appuntì raccolti da Asher Breil

a Cortina d’Ampezzo, 1967

«Le dispiace se prendo appunti, generale?» chiese Asher Breil prendendo un quaderno e una matita.

«Niente affatto, anche perché credo che alcune delle cose che le racconterò saranno talmente intricate che non sarà male se lei aiuterà questa mia testa ormai stanca a fare un po’ d’ordine.»

«Vorrei arrivare io alla sua età e possedere la sua lucidità.» L’affermazione di Asher non era dettata dall’adulazione: Sciarra della Volta era un anziano signore dalla distinzione innata, con la pelle increspata dagli anni come la superficie di un mare agitato. Nonostante l’età il suo sguardo bonario era vivo e intelligente. Vestiva in maniera sobria ed elegante e gli abiti sportivi che preferiva gli conferivano un aspetto più giovanile. Aveva modi garbati e cordiali che mettevano a proprio agio le persone con cui si trovava. Sciarra della Volta apparteneva alla classe 1888…

«Grazie Kimber», disse Sciarra, appena la moglie ebbe posato il vassoio con le tazzine di caffè. Lo sguardo dell’anziano generale parve accarezzare il volto della moglie come una mano invisibile carica di affetto.

Asher pensava a quanto forte doveva essere il legame che li univa se anche lui, un estraneo, lo percepiva tanto nitidamente.

«Come le dicevo, tutto è cominciato il giorno in cui ho incontrato per la seconda volta la donna che sarebbe poi diventata mia moglie… Anche se, in realtà, l’inizio risale al momento in cui Minhea Petru venne distaccato presso la mia compagnia di alpini sul fronte dolomitico. Ma i fatti hanno assunto una piega diversa quando io sono giunto a Port Said, in Egitto, nel luglio del 1917…»

A Sciarra capitava spesso di confondere le gocce di sudore che gli rigavano il collo con il tocco di uno dei tanti insetti che si aggiravano attorno alla sua divisa estiva da colonnello del Regio esercito italiano.

Si volse a guardare il piroscafo Città di Tripoli che prendeva nuovamente il mare, con un senso di gratitudine per averlo condotto a destinazione. Anche se sapeva bene che passare dalle fresche brezze delle Dolomiti a quel deserto di fuoco sarebbe stato come arrivare nelle profondità degli inferi dopo una passeggiata al polo nord.

«Comandi, signor colonnello. Ditemi dove trovo il vostro bagaglio.» Il colore della pelle del giovane nulla aveva da invidiare a quello dei tanti indigeni che si aggiravano nei pressi del porto. Era solo la divisa da fante italiano che ne provava le origini.

Dietro le spalle del soldato che gli si era appena rivolto in una lingua molto più vicina al dialetto siciliano che all’italiano, Sciarra vide un’auto scoperta di colore verde militare. Il colonnello pensò che la testardaggine dei muli sarebbe diventata presto un lontano ricordo e che l’accoglienza che l’Egitto gli aveva riservato non gli dispiaceva affatto. Era dall’inizio della guerra che non metteva piede su un’auto e quella Ford T Touring gli apparve come un miraggio.

«No, signore, non è quello il nostro mezzo, ma questo. Scusatemi, signore, ho dimenticato di presentarmi… soldato scelto Rocco Cadrici, vostro attendente in terra d’Egitto», disse il giovane, indicando nel contempo un carro militare trainato da due cavalli che sembravano sfiancati dal caldo.

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