Marco Buticchi - L'anello dei re

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Un attentato a New York semina il panico tra la popolazione, ma si tratta solo di un primo caso di una serie di agguati verso la popolazione musulmana. Il rivendicatore si firma “Giusto in nome di Dio” e imprime sulle sue lettere il sigillo a 6 punte del re Salomone. Si alternano quindi le vicende dei possessori dell’anello. Dalla Venezia del 1300 si passa al fronte carsico della Grande Guerra e poi fino alla dittatura di Ceausescu in Romania.Questi flash-back si alternano alla ricerca del “Giusto” da parte di Oswald Breil e Cassandra Ziegler. Dopo numerosi colpi di scena , intrighi di potere, di cui sono protagonisti anche personaggi realmente esistiti, i protagonisti riescono a scoprire la vera identità del “Giusto” e evitare l’ennesimo massacro.

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Stava ingannando il tempo sistemando cime e bozzelli e pulendo sommariamente il ponte della nave con secchiate d’acqua salata.

Non si accorse del gigante fino a che non se lo trovò davanti.

Anni e anni passati ad assaltare navi con ogni mare e ogni vento gli avevano insegnato qualcosa. Wu aveva tirato in secco la barca da pesca in una spiaggetta isolata. Aveva chiesto a Adil di nascondere il piccolo peschereccio con delle frasche ed era scivolato in mare, con l’agilità dei grandi mammiferi marini.

Come una balena aveva nuotato a pelo d’acqua sino alla murata della cocca, quindi, impugnando la spada, aveva oltrepassato il parapetto strisciando sul ponte come un serpente in caccia.

«Chi sei?» aveva urlato l’uomo di Campagnola, impaurito dall’apparizione del cinese come se si fosse trovato davanti uno spettro degli inferi.

«Sai bene chi sono, dato che mi stai dando la caccia da tempo», rispose Wu, passando il filo della spada sul pollice calloso. «Adesso la mia lama assaggerà il tuo collo.»

«No, ti prego… ti dirò tutto… non farlo…»

«E di quali informazioni tanto importanti da salvarti la vita saresti in possesso?»

«Vi sta cercando, Campagnola vi sta cercando. È un uomo potente e malvagio. Non desisterà sino a quando non vi avrà catturato.»

«Non mi dici niente di nuovo. Piuttosto, dove si trovano adesso i tuoi compari?»

«Sono scesi a terra: Campagnola è con loro e vuole perquisire di persona la casa di una mefitica fattucchiera proprio dietro allo sperone di roccia.»

Wu ebbe giusto il tempo di soppesare il significato di quelle parole, quando una sensazione di disagio si impadronì di lui: un uomo solo non sarebbe stato in grado di manovrare la nave nel caso di un brusco cambiamento del tempo.

Adil aveva ricoperto con cura il peschereccio. Si era quindi diretto verso la baia dove la cocca stava all’ancora. Aveva seguito, attento a non farsi vedere, i movimenti di Wu, e aveva gioito quando il veneziano aveva alzato le mani in segno di resa. Dal luogo in cui era nascosto, Adil godeva di una visuale quasi completa del ponte della barca. Gli era preclusa la vista di una sola zona, in corrispondenza del boma, al quale ancora era assicurata la vela latina. Il secondo uomo sbucò fuori proprio da quella parte del ponte, cogliendo Wu alle spalle.

Adil non ebbe nemmeno il tempo di gridare: brandendo una clava di legno, il secondo marinaio si era scagliato contro il gigante. Il rumore secco del colpo di mazza, assestato alla base del cranio di Wu, fu perfettamente percettibile anche dalla distanza a cui Adil si trovava.

«Presto, non abbiamo tempo da perdere. Ricorda bene quello che ti ho detto ed esegui alla lettera le mie istruzioni. Tra pochi minuti li avremo addosso, ma noi venderemo cara la pelle», disse Humarawa rivolto a Rhoda.

La casa di Rhoda era a pianta circolare, del diametro di una quindicina di passi; era costituita da una sola stanza, al centro della quale ardeva il fuoco. Il tetto, in travi di legno, era coperto di paglia. Al centro della copertura, un foro, situato proprio sopra al braciere, fungeva da camino.

C’era una sola finestra sul lato che dava verso il mare; dall’altro la casa era addossata alla montagna. Nascosto alla vista, Humarawa osservava le manovre di avvicinamento dei veneziani: dovevano essere nove, forse dieci, e si muovevano con grande circospezione.

I veneziani si erano sparpagliati a ventaglio, e avanzavano verso la casa della strega cercando di tenersi al riparo: così aveva ordinato loro Campagnola.

«Dentro quella catapecchia potrebbero trovarsi due tra i più feroci ed esperti guerrieri che io abbia mai conosciuto.»

Tommaso girò guardingo attorno alla casa, quindi fece cenno ai suoi di fare irruzione. Tre sfondarono l’uscio con un calcio ed entrarono.

La stanza era vuota e silenziosa.

Soltanto il fuoco crepitava al centro del locale. Sopra questo era sistemata una pentola.

Agli uomini parve una scena domestica e tranquillizzante. Ma fu un attimo.

La gabbia di tronchi brandeggiò, staccandosi dalle travi del tetto. La pesante trappola sibilò nell’aria, quindi si abbatté con la violenza dell’onda sui tre in piedi al centro della stanza.

Le punte acuminate, assicurate perpendicolarmente all’incrocio di ogni quadrato di tronchi, fecero scempio, penetrando nelle carni degli sgherri di Campagnola. La gabbia proseguì nel suo movimento oscillatorio, tenendo saldo il suo carico di morte: i corpi dei tre assalitori furono trascinati, sino a che il moto si fermò e all’interno della casa non tornò il silenzio.

«Che succede, là dentro?» chiese Tommaso preoccupato dai rumori sordi che aveva sentito. «Rispondete!»

Nel frattempo un altro degli uomini di Campagnola — un pluriomicida che solo la protezione del membro del Consiglio dei Dieci aveva rimesso in libertà — stava avanzando verso l’uscio. Parve sul punto di cadere quando la sua gamba destra inciampò nella corda tesa attraverso il passaggio che portava alla casa. Il meccanismo, tanto semplice quanto micidiale, fece cadere a terra il ramo che fungeva da fermo alla corda dell’arco. Lo yumi era un arco alto un paio di metri, usato dai samurai. Era un’arma potente e precisa e, come tale, si comportò anche in quella occasione, sebbene non vi fosse la mano di Humarawa a indirizzare la freccia. L’arco era stato infatti assicurato a una trave di legno, in modo che fosse puntato su colui che avesse inciampato nella corda.

L’uomo strabuzzò gli occhi, mentre la freccia gli si conficcava nei polmoni per poi fuoriuscire tra le scapole. Forse non si accorse nemmeno di morire.

«Fermi, non vi muovete», gridò Tommaso rivolto ai suoi. «Quei maledetti hanno riempito la zona di trappole.»

«Vieni fuori, Humarawa!» La voce di Campagnola si alzò perentoria. «Non è te che voglio. Consegnami il bambino e potrete tornare a Venezia e vivere in pace.»

Gli rispose solo il silenzio.

«Ti ho detto di venire fuori. So che sei lì: queste trappole recano la tua firma. Lo ripeto: non voglio te o gli altri. Soltanto il bambino. Siamo più numerosi di voi e mi risulta che sia tu che il mercante non siate in buona salute. Consegnati e avrai salva la vita.»

Così dicendo Campagnola fece cenno a due dei suoi di seguire le orme del primo terzetto e fare irruzione nella casa.

La coppia di tagliagole avanzava con prudenza e molto lentamente. Nella casa regnava l’oscurità, ravvivata solamente dal baluginare del fuoco.

Le malconce travi di legno del pavimento scricchiolavano a ogni passo. I due uomini si guardavano l’un l’altro, quasi a volersi infondere reciprocamente coraggio. Nell’oscurità nessuno dei due riuscì a vedere la mano di Rhoda che tagliava una corda tesa all’inverosimile. Uno dei bracci che formavano il treppiede a cui era assicurata la grossa pentola si mosse come una molla. La pentola volò in aria, diffondendo tutto intorno spruzzi incandescenti di acqua mista a olio ed erbe orticanti.

I due, colpiti dalla pioggia rovente e velenosa, si portarono le mani agli occhi e, urlando di dolore, uscirono correndo dalla casa della strega. Se avessero avuto salva la vita non avrebbero mai più potuto vedere la luce del sole.

Dall’interno della casa si udì un tonfo sordo e ovattato.

Humarawa si era lasciato cadere dal suo nascondiglio, posto sopra una trave del tetto, ed era in piedi al centro della stanza.

Indossava l’armatura in lamelle d’acciaio laccate, tenute insieme da sottili fettucce di seta. Sul volto portava una maschera da guerra da samurai, realizzata in legno di gelso, che riproduceva una terribile divinità.

«Sono qui, Campagnola. Vieni a prendermi.»

Quando Wu riprese i sensi era legato come un pesce nella rete, sdraiato sul ponte della cocca. I due uomini che lo avevano fatto prigioniero discutevano sul sistema con cui toglierlo di mezzo: «Tagliamogli la gola subito, poi aspettiamo che ritorni Campagnola: avremo la gratitudine del nostro signore per aver eliminato uno dei nemici ai quali stiamo dando la caccia. Ci meriteremo una bella ricompensa».

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