Marco Buticchi - L'anello dei re

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Un attentato a New York semina il panico tra la popolazione, ma si tratta solo di un primo caso di una serie di agguati verso la popolazione musulmana. Il rivendicatore si firma “Giusto in nome di Dio” e imprime sulle sue lettere il sigillo a 6 punte del re Salomone. Si alternano quindi le vicende dei possessori dell’anello. Dalla Venezia del 1300 si passa al fronte carsico della Grande Guerra e poi fino alla dittatura di Ceausescu in Romania.Questi flash-back si alternano alla ricerca del “Giusto” da parte di Oswald Breil e Cassandra Ziegler. Dopo numerosi colpi di scena , intrighi di potere, di cui sono protagonisti anche personaggi realmente esistiti, i protagonisti riescono a scoprire la vera identità del “Giusto” e evitare l’ennesimo massacro.

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Se il colonnello Sciarra avesse espresso i suoi pensieri dinanzi al capo di stato maggiore, quasi certamente non si sarebbe trovato a bordo del piroscafo in rotta verso l’Africa, ma in una cella di rigore in attesa di un processo per alto tradimento. Invece, incontrando il generale Cadorna, Sciarra aveva mantenuto un rigido atteggiamento marziale, accettando con aria apparentemente compiaciuta il suo prossimo incarico.

«Ho avuto modo…» aveva detto Cadorna, mentre Alberto Sciarra assumeva la posizione di attenti nell’ufficio del capo di stato maggiore presso il ministero della Guerra a Roma, «… mettetevi pur comodo, colonnello… ho avuto modo, dicevo, di seguire le vostre azioni da tempo: il colonnello Cantini mi ha tenuto costantemente informato su ogni vostra impresa degna di nota. Ho così maturato la convinzione che voi, colonnello Sciarra, siate il più adatto per portare a termine una missione della massima importanza.» Il capo di stato maggiore si alzò in piedi e cominciò a misurare lo spazio dell’ufficio con passi lenti e studiati. «Lo scorso 10 aprile, il marchese Imperiali, ambasciatore italiano a Londra, ci ha inoltrato ufficialmente una richiesta da parte dei nostri alleati britannici: un contingente militare, dotato di cavalleria, artiglieria e appoggiato da una forza aerea di almeno una dozzina di aerei da caccia, avrebbe dovuto arricchire le fila dell’armata britannica nel Sinai, sotto il comando del generale Archibald Murray. In subordine, gli alleati chiedevano, dopo aver esaltato il valore delle nostre truppe, che venisse comandato in Palestina almeno un battaglione, indispensabile, ancora cito le parole degli inglesi, per l’offensiva finale sulle roccaforti austro-turco-tedesche di Gaza e Bersheeba. Voi capirete bene, colonnello Sciarra, che l’impegno ai confini settentrionali del nostro paese non ci consente di distogliere truppe dal fronte dolomitico o dall’Isonzo senza aprire pericolosi varchi all’avanzata del nemico. Nello stesso tempo non vi nascondo che disattendere alle aspettative dei nostri alleati mi lasciava alquanto perplesso: il territorio mediorientale rappresenta un interessante sbocco coloniale per un paese come il nostro, soprattutto in vista di una verosimile spartizione alla fine del conflitto. Ho quindi comandato un battaglione misto per l’occasione: il 6 maggio sono partiti via mare da Napoli un centinaio di carabinieri, agli ordini di sei ufficiali. A Tripoli si sono aggiunti al contingente trecentoquarantasei bersaglieri, guidati dal maggiore Francesco d’Agostino. Il battaglione così formato è giunto a Port Said il 20 maggio. Pochi giorni più tardi il generale Murray ha passato in rassegna le nostre truppe, estendendo, attraverso i canali diplomatici, i suoi personali ringraziamenti al nostro governo. A metà giugno il nostro distaccamento ha preso posizione nei pressi della città di Rafa, presidiando un’importante strada ferrata, spesso oggetto di attacchi da parte di fucilieri turchi e guastatori beduini. Ma gli appetiti degli alleati non si sono certo spenti: quasi contemporaneamente al dispiegamento delle nostre forze, il governo di Londra ha reclamato un maggiore impegno italiano sui fronti del Sinai e della Palestina. La richiesta ufficiale parla di sei-settemila uomini e io davvero non so dove andare a reperire una forza così consistente… a meno che… a meno che qualcuno non approfitti delle divisioni interne e dell’instabilità che caratterizza il mondo arabo e riesca a mettere in piedi un esercito, in parte autoctono, che fronteggi la comune minaccia turco-austro-germanica. Anche gli inglesi stanno muovendosi in questo senso e le nostre azioni dovranno svolgersi in stretto contatto con il loro comando. Pochi giorni or sono Murray è stato sostituito dal generale Edmund Allenby. Ho conosciuto personalmente l’alto ufficiale inglese e sono convinto che si troverà bene sotto il suo comando, colonnello Sciarra. Avete domande?»

«No, signore.»

«Bene, buona fortuna, colonnello. La vostra nave dovrebbe partire dal porto di Napoli tra pochi giorni…»

Quei «pochi giorni» erano volati in una Roma che sembrava sentire la guerra come un temporale che tuona in lontananza: non si sapeva se la tempesta si sarebbe tenuta alla larga o no.

C’erano belle donne, vestite in maniera elegante, che vagavano tra i giardini capitolini riparandosi dal sole con vezzosi ombrellini ricamati. C’erano bambini che giocavano sotto l’occhio vigile delle madri. C’erano anziani che commentavano le notizie di guerra riportate dai quotidiani… Tutto sembrava normale, l’unica nota dissonante era data dal fatto che non si vedevano uomini che non indossassero una divisa; molti camminavano con l’ausilio di stampelle di legno. Gli altri, giovani e in forze, si trovavano al fronte a combattere la più cruenta delle guerre.

Sciarra osservò estasiato il mare azzurro. Pregò per il futuro e, per l’ennesima volta, sentì acuta la nostalgia della sua vita civile, del suo lavoro, delle navi cariche di merci e non di soldati che lasciavano Genova.

Chissà come sarebbe stata l’Africa! Certo, avrebbe dovuto lasciarsi alle spalle il gelo delle Alpi, il ghiaccio all’interno delle trincee, ma anche l’aria fumosa del casino di Cortina, le risate dei commilitoni, le belle puttane vestite in maniera succinta. Sorrise tra sé: i ricordi delle brevi licenze a Cortina avevano dissolto la malinconia e il rimpianto dei tempi andati.

Se mai fosse sopravvissuto avrebbe voluto tornare nella perla delle Dolomiti per diletto: la città ampezzana aveva rappresentato l’unica nota allegra in tutti quegli interminabili anni di guerra.

31

Cortina d’Ampezzo, 1967

«Da dove vuole che cominci, Breil?» aveva chiesto Sciarra della Volta.

«Dall’inizio, signore, dall’inizio.»

«Ebbene, quella era una guerra che nessuno avrebbe voluto, ma che tutti avevano cercato: l’assassinio a Sarajevo dell’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono d’Austria, nel giugno 1914, non fu che il pretesto per dare inizio a un massacro senza precedenti. Dal 1914 al 1918 ventotto nazioni scesero in guerra all’interno delle due opposte alleanze. La vecchia tecnica di assalto all’arma bianca era stata affiancata dalla potenza micidiale di nuove armi da fuoco sempre più sofisticate. Il risultato è stato un singolare conflitto fatto di avanzamenti di pochi metri, lunghe attese in trincee malsane, utilizzo di tutto ciò che la tecnologia, capace di galoppare sullo sprone delle esigenze belliche, poteva offrire. E morti, soprattutto morti. Il mio paese ha lasciato sul campo seicentocinquantamila soldati, quasi il doppio la Francia, un milione l’impero britannico. Non c’era famiglia che non piangesse i suoi congiunti. Nel corso della Grande Guerra fu sperimentato anche il genocidio, contro civili armeni indifesi che occupavano la parte nordorientale della Turchia. Ma la prima guerra mondiale fu ancora una guerra di uomini e di postazioni: il numero di soldati schierati era la variabile da cui sarebbe dipeso l’esito del conflitto. Solo nel corso della disfatta di Caporetto l’Italia vide arretrare i suoi confini di centocinquanta chilometri e ridursi l’organico del suo esercito di quasi seicentocinquantamila uomini: cinquantamila furono i morti e i feriti, trecentomila i prigionieri e quasi altrettanti i disertori.

«Io sono qui oggi a raccontarle queste cose, signor Breil, e ringrazio Iddio di avermi concesso di superare tutte le insidie che ho incontrato. Lo ringrazio anche per avermi concesso una vita lunga e serena accanto a mia moglie… A proposito, colonnello Breil, gradisce un buon caffè italiano? Kimber, cara, ti dispiace servirci una tazza di caffè?»

La donna dimostrava pochi anni meno di Sciarra della Volta, aveva un viso rotondo e piacevole che infondeva simpatia e un senso di tranquilla bonarietà. Doveva essere stata piacente in gioventù, non una bellezza da rotocalco, ma una gradevole ragazza inglese dalla pelle chiara, punteggiata di efelidi a rimarcare il colore ramato dei capelli. Adesso Kimberly Sciarra era una elegante anziana signora che ancora non aveva perso una punta di inflessione inglese quando si rivolgeva in italiano a suo marito.

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