«Non credo sia necessario. Ecco a lei tutto quello che la Securitate ha sequestrato dall’auto di Asher Breil, dopo l’incidente che lo ha ucciso insieme alla moglie.» La donna fece una breve pausa, quindi riprese: «Per espresso ordine del conducator Ceausescu non sono state effettuate indagini sul linguaggio criptato con cui sono annotati gli appunti. Sono convinta che, con i mezzi a vostra disposizione, non vi sarà difficile decifrare l’intero contenuto dei due quaderni. Il Registro Militare che è stato redatto da un ufficiale italiano durante la Grande Guerra è scritto in chiaro, nella lingua madre dell’ufficiale».
«La ringrazio, colonnello.»
«Sono io a ringraziare lei, capitano Bernstein. Qualora avesse ancora bisogno di me, sa come trovarmi.»
«Spero di incontrarla di nuovo, colonnello, se non altro per farle apprezzare il lato meno evidente del mio carattere…»
Non appena la donna ebbe abbandonato la stanza, Oswald uscì dal suo nascondiglio.
«Non conoscevo questo suo aspetto, capitano Bernstein. Ho sempre pensato che al massimo lei avrebbe potuto rivolgere dei complimenti a un chip al silicio o, al massimo, baciare appassionatamente una tastiera senza fili.»
«Ha sentito tutto, maggiore Breil?» chiese Bernstein consegnando i due quaderni e il registro al piccolo uomo.
«Tutto, capitano», rispose Oswald, aprendo il primo dei quaderni e scorrendo con trepidazione le prime pagine. «La scrittura di mio padre… il nostro linguaggio segreto…»
Oswald incominciò a decrittare le prime righe degli appunti:
Cortina d’Ampezzo, settembre 1967
Il vecchio generale si esprime in un inglese impeccabile e mi chiede come io sia arrivato fino a lui…
Bernstein rimase a osservare Breil che ricostruiva, non senza una punta di commozione, quello che suo padre aveva fatto e scritto poco tempo prima di morire.
A un tratto il telefono di Oswald prese a squillare. Dall’altra parte della linea, a migliaia di chilometri di distanza, il piccolo uomo intuì la preoccupazione nella voce di Cassandra Ziegler: «Oswald, qui le cose si stanno mettendo male per tutti. Il capo supremo, e intendo il presidente in persona, sembra sia scatenato e sta martellando di telefonate qualsiasi direttore di agenzia degli Stati Uniti. Mancano le agenzie pubblicitarie e quelle assicurative e pare che tutti siano passati sotto al torchio. Acciuffare il Giusto in nome di Dio sembra diventata la priorità numero uno. Chissà quali pressioni ha dovuto subire da parte dei paesi arabi moderati per farlo agitare così tanto. Il mio direttore ha fissato un incontro con lei domani in serata. L’aereo che lo ha condotto in Romania sarà ad aspettarla all’aeroporto tra cinque ore. Crede di farcela?»
«Certo, ce la posso fare.»
Cinque ore più tardi il baule veniva caricato nel vano bagagli del jet. I due finti uomini d’affari americani si erano appena seduti, quando Oswald ancora una volta sbucò fuori dal suo nascondiglio.
«Chiedo scusa, signori, ma sarà necessario un piccolo cambiamento di rotta. Devo consegnare documenti della massima importanza a una persona che mi sta aspettando all’aeroporto di Ciampino a Roma. La deviazione non richiederà che qualche ora di ritardo sulla nostra tabella di marcia.»
«Ci hanno comandato di metterci ai suoi ordini, dottor Breil», disse uno dei due agenti dell’FBI camuffati da finanzieri di Wall Street.
Poche ore più tardi l’aereo atterrava sulla pista di Ciampino.
Il mezzo di rifornimento si affiancò al velivolo e un addetto incominciò ad armeggiare con le manichette per riempire i serbatoi. Un secondo uomo salì la scaletta dell’Executive ed entrò nella cabina. Una volta all’interno, l’uomo si tolse il cappello che gli teneva raccolti i capelli, neri come la più scura delle notti. Il sorriso che apparve sulla bocca di Sara Terracini era disarmante, come disarmante era la sua bellezza, sebbene fosse nascosta da una tuta da benzinaio.
«Signori, scusatemi per l’improvvisata», disse Breil ai due esterrefatti uomini d’affari, «ma il mio lavoro mi ha insegnato che le precauzioni non sono mai troppe. Sono lieto di presentarvi una mia vecchia amica… e se adesso volete scusarci per qualche minuto…»
I due agenti scesero senza fare alcun commento, mentre Oswald prendeva posto con Sara al tavolo da lavoro.
Sara Terracini era la maggiore esperta al mondo nella ricerca e decrittazione di documenti, scritti in ogni lingua antica o moderna. La studiosa era a capo di un laboratorio all’avanguardia che si occupava di esaminare e decifrare i reperti che venivano alla luce in ogni angolo della terra. Le analisi di Sara Terracini e del suo staff si applicavano prevalentemente all’arte antica, ma Oswald, che l’aveva voluta al suo fianco in molte delle sue avventure, sapeva che le doti di Sara erano difficilmente eguagliabili. La giovane studiosa era in grado di inoltrarsi con grande competenza anche in materie che poco avevano a che fare con l’arte.
Pochi minuti più tardi Sara scendeva nuovamente la scaletta, col cappello calcato sulla testa e un passo mascolino.
Breil rimase a osservarla da dietro il finestrino, mentre prendeva posto a fianco del conducente dell’autobotte, quindi si immerse nella lettura del Registro Militare che un ufficiale italiano aveva tenuto meticolosamente aggiornato nel corso dell’antico conflitto. Nemmeno la sua mente elastica e intuitiva riusciva a cogliere il nesso tra il padre di Oswald, referente del Mossad in Romania, e le memorie militari del capitano, quindi maggiore e poi colonnello del Regio esercito italiano, Alberto Sciarra della Volta.
Non appena raggiunto il laboratorio nel quartiere romano dell’EUR, Sara aprì la prima pagina del quaderno e, seguendo le istruzioni che Oswald le aveva impartito, si mise al lavoro.
«Forza, dottoressa Terracini», si disse, «e non negare che Oswald Breil e tutti i guai che si porta appresso incominciavano a mancarti.»
Pochi minuti più tardi, Sara si trovava già immersa in un mondo forse meno lontano nel tempo di quelli nei quali era abituata a calarsi, ma non per questo meno affascinante.
«Con tutto quello che ho da fare, ci sono cascata un’altra volta», disse tra sé Sara, mordendosi impaziente il labbro superiore, intenta a passare sotto uno scanner di ultima generazione le pagine dei due quaderni.
Oswald aveva un sorriso malizioso dipinto in volto. Abbassò lo schienale della poltrona, ma prima di addormentarsi il suo pensiero corse a Sara. Breil guardò l’orologio: era certo che a quell’ora la bella ricercatrice italiana stesse già lavorando per lui.
«Buonanotte, Sara», pensò prima di chiudere gli occhi.
A migliaia di chilometri di distanza, le palpebre di Sara si fecero pesanti. Prima di coricarsi sul divano disposto in un angolo del suo ufficio, la donna mandò un saluto al piccolo uomo.
«Scommetto che in questo momento la tua faccia da satrapo è percorsa da un sorriso… Buonanotte, Oswald Breil», disse tra sé la donna, prima che il sonno e la stanchezza avessero il sopravvento.
Il segretario alla Sicurezza nazionale aveva chiamato il direttore della CIA, preannunciandogli la telefonata del presidente, ma questi, per quanto allertato, era rimasto senza parole di fronte alle pesanti accuse del capo dello Stato. Più che rispondere aveva ascoltato con attenzione il monologo con cui l’uomo più importante al mondo gli comunicava che il Giusto in nome di Dio doveva essere a capo della lista di tutti i ricercati. «Al pari di Bin Laden», aveva aggiunto.
Mentre componeva il numero interno di Glakas, il direttore della CIA immaginava quanto le pressioni subite dal presidente avessero influito sulla sua decisione di classificare il Giusto al primo posto tra i nemici degli Stati Uniti.
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