«Vi ripeto, signore, non so di che cosa stiate parlando… io mi trovavo…»
Toma non finì la frase: il rumore secco dell’esplosione riempì le volte della scala. La testa di Toma ebbe un sussulto violento, mentre il proiettile la attraversava, quindi il suo corpo si afflosciò come fosse privo di ossa.
«Questi rumeni sembra che riescano a sopravvivere anche a una ferita mortale alla testa.» Così dicendo, Blasko esplose altri due colpi in direzione del corpo senza vita del fedele servitore.
Il colonnello Cantini prese dal cuscino l’onorificenza e la passò al capo di stato maggiore. Il generale Luigi Cadorna mosse un passo verso Sciarra e Petru, mentre l’intera compagnia di alpini scattava sugli attenti.
«Per essersi distinti sul campo e per il coraggio che ha portato alla sottrazione di un dirigibile nemico e alla sua distruzione, sono onorato di conferire a voi, maggiore Sciarra della Volta, e a voi, tenente Petru, la più alta onorificenza militare dell’Esercito italiano. Presto vi sarà comunicata anche la vostra promozione.»
Il generale Cadorna concluse il suo discorso con l’augurio che il comportamento eroico dei due ufficiali potesse divenire un fulgido esempio per tutti.
E tra sé e sé si augurò che l’entusiasmo per la brillante operazione condotta da Sciarra e Petru contribuisse a far dimenticare il malcontento che andava alimentandosi nei suoi confronti: erano in molti, anche dai banchi del governo, a mettere in dubbio le effettive capacità del capo di stato maggiore di tirare fuori l’Italia da quella enorme carneficina.
La galleria era costata cinque mesi di lavoro e si sviluppava, in salita, per circa millecento metri. Per settimane alcune centinaia di uomini avevano scavato senza sosta, facendo attenzione a non suscitare sospetti fra le truppe austroungariche: per non creare zone di accumulo lungo i fianchi dell’anticima del Lagazuoi, il materiale di scarto era stato accatastato in appositi slarghi all’interno della galleria. Negli ultimi giorni i soldati avevano addossato centinaia di metri cubi di roccia nei pressi della camera di scoppio: i detriti così accumulati, definiti «materiale da intasamento», avrebbero contribuito a dare compressione e maggiore potenza agli oltre trentamila chilogrammi di esplosivo che vi era stato alloggiato.
Sciarra diede innesco alle due micce ad alta combustione: per arrivare al fondo della galleria, l’innesco avrebbe impiegato una dozzina di minuti.
Gli uomini si calcarono l’elmetto sul capo. Il boato giunse come un lamento sordo dall’interno della montagna. Poi la terra incominciò a tremare e, con la forza di un vulcano, l’intera cima esplose, quindi si alzò una vampa di fuoco del diametro di un centinaio di metri.
Quando i massi e la terra smisero di cadere la compagnia agli ordini del maggiore Sciarra prese possesso di ciò che rimaneva delle postazioni austriache. Il nemico aveva però scoperto i movimenti degli italiani il giorno prima e aveva abbandonato le trincee nel corso della notte, appena in tempo per non restare intrappolato nei cunicoli ostruiti dalle frane.
«Oggi, 21 giugno 1917», declamò il colonnello Cantini il giorno seguente davanti all’intero battaglione, «mi pregio di consegnare i gradi di tenente colonnello ad Alberto Sciarra della Volta. Inoltre, voglio comunicare alla truppa che il maggiore… ehm, colonnello Sciarra è stato proposto per un’alta onorificenza a seguito dell’azione con cui, nella giornata di ieri, è stato scalzato il nemico dall’anticima del Lagazuoi. Nel contempo — e dico questo con profondo dispiacere personale — annuncio a tutti che il colonnello Sciarra verrà destinato a un nuovo e più importante incarico. Dio sia con voi, figliuolo.»
Cantini non si mise sugli attenti e rispose al saluto militare di Sciarra con un caloroso abbraccio.
Quando la breve cerimonia fu terminata, Sciarra e Petru si guardarono negli occhi. L’italiano sorrise indicando i nuovi gradi sulla mostrina: la soddisfazione per il successo dell’ultima loro azione era attenuata dalla tristezza per l’imminente distacco.
«Allora, arrivederci, capitano…» disse Sciarra, stringendo la mano del nobile rumeno.
«Arrivederci a voi, colonnello… e grazie… di tutto.»
«Sono io a dover ringraziare voi. Sicuramente in Egitto non troverò un ufficiale delle vostre capacità, e nemmeno dirigibili da pilotare.»
«Già, ma almeno laggiù non dovrete combattere col freddo delle Dolomiti, signor colonnello.»
«Non so. Temo che il caldo del deserto sia peggio delle nostre tormente di neve: contro il caldo non esistono difese. A ogni modo, vi saprò dire: appena arrivato vi scriverò col metodo Sacco.»
Il metodo Sacco era un sistema crittografico ideato da un capitano italiano che era stato commilitone di Sciarra durante il corso di addestramento. Di lì a poco l’esercito italiano avrebbe abbandonato i vecchi cifrari e adottato il sistema del capitano Sacco per tutte le comunicazioni riservate, ma Sciarra aveva cominciato a usarlo da tempo nei rapporti scritti con i suoi subalterni. Lui e Petru adoperavano quel nuovo tipo di scrittura sia per i loro appunti che per mandarsi messaggi che volevano rimanessero segreti.
Petru sorrise: «Sembra ridicolo che due uomini come noi, che hanno condiviso il pericolo della morte, rimangano a parlare del tempo senza trovare le parole per congedarsi. Mi mancherete, colonnello».
Sciarra non si stupì nel vedere gli occhi del rumeno velati di commozione: dal canto suo, un nodo gli stringeva la gola impedendogli di parlare.
I due ufficiali si abbracciarono: entrambi speravano che quello non fosse l’ultimo saluto. Ma erano uomini destinati al fronte.
Cortina d’Ampezzo, settembre 1967
I ricordi di Asher Breil andarono a ritroso nel tempo e si fermarono a quel giorno di fine settembre in cui tutto era cominciato.
«Come ha fatto a giungere sino a me, signor Breil?» aveva chiesto l’anziano gentiluomo italiano, esprimendosi in un inglese impeccabile.
«Devo dire la verità, generale, una volta rinvenuti i documenti non mi è stato difficile decifrarli: da tempo utilizzo con mio figlio, quasi per gioco, un sistema di codificazione simile a quello da voi usato per i documenti ufficiali. Un sistema a griglie, se non vado errato.»
«A griglie indefinite, questa la corretta definizione. Ma torniamo a noi, signor Breil. In che cosa posso esserle utile?»
«Il ritrovamento è stato del tutto casuale, signore. Il Mirage che pilotavo, come ufficiale della forza aerea di Israele, ha avuto un banale guasto al motore ed è precipitato sull’altura di El Arish, a sud-est della città di Gaza. Nell’attesa dei soccorsi ho trascorso due giorni e due notti all’interno di un vecchio bunker costruito dagli italiani nel corso della prima guerra mondiale. Ho scoperto l’ingresso del bunker — completamente insabbiato e invisibile a occhio nudo — solo grazie al fatto che la carlinga del mio aereo, nell’impatto col suolo, ha smosso buona parte della sabbia che ne precludeva l’accesso. Una volta entrato, ho rinvenuto il registro militare da lei redatto e alcune delle lettere che lei e un certo Minhea Petru vi eravate scritti. Quasi certamente quel rifugio non veniva violato dai tempi della Grande Guerra: al suo interno erano ancora evidenti i segni di una violenta battaglia. Gli unici compagni che ho avuto durante il mio soggiorno forzato sono stati i resti di alcuni soldati che vestivano abiti arabi e che, evidentemente, hanno avuto minore fortuna di lei, generale.»
«La collina-bunker numero 164», disse l’italiano, in preda al vortice dei ricordi.
«Vedo che ha un’ottima memoria, generale Sciarra della Volta.»
«Già… un’ottima memoria, signor Breil… un’ottima memoria.»
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