Poco prima di partire Wu si avvicinò al giaciglio su cui era adagiato Humarawa: non gli era mai successo, in tanti anni, di allontanarsi da lui.
Il gigante accostò la sua bocca all’orecchio del guerriero e sussurrò poche parole di commiato, anche se temeva che il suo signore, in quel momento, non fosse in grado di sentirlo.
«Te ne prego, Rhoda… continua a curarlo.»
«Non temere, Wu: il tuo signore è in buone mani. E mi sembra che le sue condizioni siano un po’ migliorate. Humarawa ha una tempra forte. Assomiglia a una di quelle erbe che non è facile estirpare.»
Alessandro Crespi presentò i sintomi del contagio quando alloggiavano ormai da due sere in una lurida locanda nei pressi del porto di Ragusa.
Il veneziano si era accasciato pesantemente al suolo, subito dopo essersi alzato da tavola. Il proprietario della locanda e la sua serva si erano prontamente dati da fare per rianimare il mercante, e avevano chiamato Wu e il giovane Adil, che erano appena saliti nella loro stanza.
Quando lo sollevarono da terra, il bubbone violaceo apparve, seminascosto da una ciocca di capelli, quasi all’altezza della tempia sinistra.
Immediatamente l’oste si ritrasse, mentre Wu si caricava il compagno malato in spalla.
«Presto, Adil, seguimi!» disse il cinese, e insieme lasciarono la locanda per dirigersi al porto.
Aprile 2004
Il circuito è situato nella regione meridionale del paese, nello Sakhir, lungo la costa anticamente chiamata costa dei Pirati. Gli abitanti della zona erano molto fieri di ospitare, per la prima volta in un paese arabo, una gara del campionato mondiale di Formula Uno.
L’autodromo di Bahrein era stato progettato e costruito, senza badare a spese e a tempo di record, dall’architetto Hermann Tilke, il migliore del settore.
Comprende cinque circuiti differenti, sul più impegnativo dei quali si sarebbe disputata la gara. Il record di velocità nelle prove a cronometro era stato segnato da Michael Schumacher: in un minuto, trenta secondi e duecentocinquantadue centesimi aveva coperto i quasi cinque chilometri e mezzo di un giro.
C’era aria di festa ovunque, sebbene le strette misure di sorveglianza segnalassero il perenne stato di allerta che vigeva ovunque nel mondo arabo: il Bahrein era uno tra i paesi con il reddito procapite più alto del pianeta — quasi quindicimila dollari annui —, una miniera d’oro nero a cielo aperto, i cui abitanti erano da sempre combattuti tra i rigori dell’Islam e i piaceri dell’Occidente. Era considerato uno Stato moderato. Questa moderazione si esprimeva anche nei suoi rapporti con la civiltà occidentale ed era facilmente calcolabile: corrispondeva all’appoggio logistico che il Bahrein avrebbe concesso a una coalizione militare per attaccare un «paese canaglia». Le esportazioni di greggio e i consistenti capitali impegnati in Occidente rappresentavano ulteriori cartine di tornasole per quantificare il peso di un piccolo Stato, abitato da sole seicentocinquantamila anime musulmane, sul piatto della bilancia degli equilibri politici del mondo.
I semafori dello starter si spensero all’unisono. Con fragore assordante le vetture di Formula Uno scattarono sulla pista illuminata dal sole del deserto, come giocattoli variopinti su una tortuosa fettuccia di raso nero. Le automobili, dinanzi agli sguardi ipnotizzati di cinquantamila spettatori, sfrecciarono a velocità prossime ai trecento chilometri all’ora.
Oswald Breil si affacciò alla finestra della stanza che il capitano Bernstein aveva riservato per lui al Bucarest Marriot Grand Hotel. Breil era riuscito a entrare nell’albergo da una porta secondaria; per la prenotazione era stato utilizzato un nome di fantasia.
Per l’ex primo ministro israeliano passare inosservato era di fondamentale importanza, ma non era facile: giornali e televisioni di tutto il mondo avevano scritto e detto il possibile su di lui in moltissime occasioni. Inoltre, le sue particolari caratteristiche fisiche lo rendevano facilmente riconoscibile ovunque.
Il capitano Bernstein aveva elargito una lauta mancia a un addetto alle pulizie che aveva prontamente lasciato incustodito il carrello per la biancheria nel quale Oswald si era infilato.
Una volta nel salottino della stanza, Oswald era sbucato fuori dal suo nascondiglio, quindi Bernstein aveva portato l’attrezzo in corridoio.
«Credo lei sia abituato a utilizzare certi ingressi secondari, maggiore Breil. Ma io ho dovuto fingere un incontro galante per riuscire a ottenere il carrello per qualche minuto… ne va della mia reputazione…»
Oswald sorrise e il suo sguardo si soffermò brevemente sulle immagini trasmesse dal televisore acceso.
«Il nostro contatto dovrebbe essere qui entro un paio d’ore», riprese Bernstein. «Speriamo che il mio complice nell’adulterio sia pronto a cedermi un’altra volta quell’aggeggio quando sarà il momento di andarcene…»
«Non credo sarà un problema, capitano: quell’uomo ha accettato una regalia da lei e ora, in qualità di suo complice, si sentirà in dovere di aiutarla ancora.» Così dicendo Oswald si mise a osservare l’imponente Palazzo del Popolo.
«Per fortuna che i tempi sono cambiati, Bernstein. Fino a pochi anni fa, sarebbe stato impossibile per noi aggirare i controlli della Securitate di Ceausescu e arrivare indisturbati sino a questa camera d’albergo.»
«Vero, dottor Breil…» rispose Bernstein, la cui attenzione era ormai catalizzata dalla diretta televisiva del Gran Premio del Bahrein. «La Ferrari sembra davvero imbattibile», borbottò l’ufficiale del Mossad.
«Un attimo…» disse Breil, attirato da un particolare della ripresa.
In quell’istante il telecronista stava dicendo in lingua inglese: «Alla variante dell’oasi sembra che Button scalpiti per guadagnare posizioni: già in un paio di occasioni il pilota inglese si è reso protagonista di leggere uscite sulla sabbia che hanno alzato nuvole di polvere. Adesso, sul lieve dosso dinanzi alle tribune, le auto mordono l’asfalto provocando una coda di scintille incandescenti…»
Oswald distolse lo sguardo: la sua preoccupazione era evidente: «Spero di riuscire a fare in tempo!» disse Breil, componendo un numero sulla tastiera del telefono.
La voce di Cassandra Ziegler era sorpresa: «Che ore sono da lei, Oswald?»
«Non c’è tempo per i convenevoli, Cassandra», rispose Breil con tono grave.
Le auto stavano concludendo il dodicesimo giro, quando il telefono sul tavolo dell’ufficiale di polizia dell’emirato prese a trillare. L’uomo abbandonò controvoglia la postazione da cui si stava godendo la gara e rispose.
In quel momento le vetture di testa stavano affrontando una curva a gomito dominata dalle otto tribune, tre fisse e cinque provvisorie, che erano state montate per accogliere il numeroso pubblico.
Il rumore delle microesplosioni venne coperto dal passaggio dei bolidi, ma in un attimo due delle tribune furono scosse da un sussulto, quindi crollarono accartocciandosi su se stesse. Dei millecinquecento spettatori che vi avevano preso posto, ben pochi sarebbero sopravvissuti. I dubbi sul motivo del crollo vennero sciolti non appena gli inquirenti ebbero esaminato i pali portanti, spezzati dalla precisione delle deflagrazioni.
Breil aveva osservato sgomento la scena, come moltissimi telespettatori intenti a godersi il primo Gran Premio del Bahrein di Formula Uno in diretta.
«… le scalpitanti ansimanti che fan sprizzare scintille, che caricano al mattino, che fanno volare la polvere, che irrompono in mezzo… Come ho fatto a non pensarci prima?» ripeté a mezza voce Oswald Breil, mentre Bernstein lo guardava senza capire.
Ancora una volta la mano assassina del Giusto in nome di Dio era calata su uomini, donne e bambini innocenti. Ancora una volta l’assassino si era preso gioco di loro. Ancora una volta erano arrivati troppo tardi per salvare centinaia di vite umane.
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