Marco Buticchi - L'anello dei re

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Un attentato a New York semina il panico tra la popolazione, ma si tratta solo di un primo caso di una serie di agguati verso la popolazione musulmana. Il rivendicatore si firma “Giusto in nome di Dio” e imprime sulle sue lettere il sigillo a 6 punte del re Salomone. Si alternano quindi le vicende dei possessori dell’anello. Dalla Venezia del 1300 si passa al fronte carsico della Grande Guerra e poi fino alla dittatura di Ceausescu in Romania.Questi flash-back si alternano alla ricerca del “Giusto” da parte di Oswald Breil e Cassandra Ziegler. Dopo numerosi colpi di scena , intrighi di potere, di cui sono protagonisti anche personaggi realmente esistiti, i protagonisti riescono a scoprire la vera identità del “Giusto” e evitare l’ennesimo massacro.

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«…mentre l’opinione pubblica, quella occidentale intendo, sembra del tutto indifferente», concluse Breil. «È come se l’Occidente, in fondo, avallasse la legge del taglione’ che il Giusto ha adottato: il fatto che si accanisca solo contro obiettivi musulmani potrebbe essere la prova che egli si immagina nelle vesti di una sorta di giustiziere.»

George Glakas imprecò ad alta voce: le pareti del suo ufficio al quartier generale della CIA erano insonorizzate al punto di garantirgli una privacy pressoché assoluta: «Il mondo sembra pronto a sfornare una serie infinita di quei suicidi figli di puttana!» disse mentre osservava le raccapriccianti immagini di un attentato kamikaze contro un convoglio americano nel Nord dell’Iraq. «Dio maledica tutti i fanatici islamici e le puttane che li hanno messi al mondo.»

La missiva con il timbro di massima urgenza posata sul suo tavolo era passata in secondo piano: a che scopo perdere tempo e forze per tentare di scovare colui che, di fatto, stava ripagando il Medio Oriente con la stessa moneta?

Distrattamente osservò i versetti del Corano che avrebbero potuto indicare il luogo del prossimo attentato. In cuor suo Glakas sperava che anche la prossima azione terroristica del Giusto si risolvesse in una carneficina di seguaci di Allah. Poi, con l’aria sfiduciata di chi ha l’obbligo di obbedire a un ordine nel quale non crede, sollevò il ricevitore. «Come al solito nessuna traccia, vero?» chiese al responsabile della Scientifica, quindi continuò. «I nostri amici dell’FBI avranno vivisezionato la missiva del Giusto, prima di recapitarcela. Non capisco perché non ci fanno avere anche i risultati delle loro analisi… così perderemmo meno tempo a rifarle.»

Detto questo decise che l’argomento era chiuso e ricominciò a lavorare su documentazioni e foto segnaletiche che si riferivano a terroristi mediorientali: quelli sì costituivano un serio pericolo per l’Occidente. Al diavolo il Giusto, i suoi attentati, il sigillo e i versetti del Corano.

George Glakas aveva cose più importanti su cui lavorare, adesso.

22

Sighisoara, Romania, maggio 1917

La nebbia era adagiata sul fondovalle come un candido manto: nascosto alla vista, il Tirnava scorreva placido. Era ancora l’alba, ma presto un sole primaverile avrebbe sciolto le brume mattutine e svelato il verde intenso della campagna rumena.

Il suono argentino dei campanelli appesi alle sponde del carro aveva accompagnato i due falsi nomadi rudari dall’inizio del loro viaggio.

«Sighisoara è sempre stato un importante nodo di transito commerciale tra la Germania occidentale e Costantinopoli. Inoltre era tappa obbligata per i traffici tra la Polonia, il Baltico e le città della Lega anseatica», disse Petru mentre si inoltravano nella periferia della città. «Qui il padre di Vlad Tepes visse per alcuni anni a partire dal 1431, e qui nacque Dracula. Nel 1431 colui che chiamerò Vlad Padre, per distinguerlo da Vlad Dracula, l’Impalatore, aveva ricevuto l’investitura a cavaliere dell’Ordine del Drago…»

«E che cos’è l’Ordine del Drago? Non ho mai sentito parlare di un ordine cavalleresco così chiamato», disse Sciarra.

«L’Ordine del Drago venne istituito, sotto forma di setta segreta, dall’imperatore tedesco Sigismondo di Lussemburgo e dalla sua seconda moglie, l’imperatrice Barbara», spiegò Petru. «Come altri ordini cavallereschi medievali, l’Ordine del Drago nacque per proteggere la Chiesa cattolica dalle eresie e dalle minacce dell’Islam. Nella cruenta repressione dell’eresia ussita, i cavalieri del Drago ebbero un ruolo da protagonisti; tentarono anche di organizzare una crociata contro i turchi, ormai padroni di ampie fette di territorio balcanico, ma il progetto non venne mai attuato. Buona parte dei potenti dell’epoca, come Ladislao di Polonia o Alfonso V d’Aragona, il Magnanimo, erano cavalieri del Drago.

«Alcuni individuano l’etimologia del termine Dracul proprio dalla radice Drac , ovvero Drago nella nostra lingua. Ma potrebbe darsi che il nome derivi dalla parola Dracul , che vuol dire ‘Demonio’.»

«Sia il padre che il figlio si chiamavano nello stesso modo?»

«Sì, eccettuata la ‘a’ che sta a indicare il patronimico. Dracula starebbe a significare ‘figlio di Dracul’… Ma adesso dobbiamo smettere di parlare in italiano: stiamo per entrare in città e, se scoprissero che siamo ufficiali di quell’esercito, pur di guadagnare credito presso gli usurpatori molti abitanti sarebbero pronti a denunciarci agli asburgici.»

Béla Blasko aveva cercato di seguire le istruzioni contenute nel quaderno sottratto all’ufficiale rumeno Minhea Petru. Qualche particolare, però, gli era forse sfuggito, dato che non riusciva a trovare il prezioso manufatto che stava cercando. Eppure doveva essere lì, non lontano da lui. Ma aveva tempo, molto tempo, adesso che la Romania era stata occupata dalle truppe ungheresi.

Non appena gli era stato possibile aveva chiesto il trasferimento a Sighisoara: voleva a tutti i costi impossessarsi dell’Anello dei Re e del resto del tesoro che, stando alle indicazioni, doveva trovarsi fra le mura del castello.

L’ufficiale ungherese sedette su una sedia e prese a sfogliare nuovamente il libriccino e gli antichi documenti. Si soffermò sul racconto della leggenda secondo cui chiunque portasse l’anello al dito sarebbe stato dotato di enorme potere. L’anello, a seguito di una serie di vicissitudini, era giunto dall’anulare di un imperatore romano sino a quello del più temuto tra i voivoda rumeni: Vlad Dracula l’Impalatore. Negli appunti annotati sul quaderno di Petru, che contenevano la traduzione da un antico papiro, si sosteneva che il monile era stato tra i più cari oggetti di Nerone Claudio Druso, imperatore di Roma.

Uno scalpiccio proveniente dalla strada spinse Blasko ad affacciarsi a una delle strette finestre del castello. Rimase a osservare i due zingari che si accostavano al portone con il loro carro.

Quando i due alzarono lo sguardo, Blasko si ritrasse dalla finestra. Quindi li vide incamminarsi verso una delle porte laterali del palazzo.

Un fremito pervase l’ungherese appena li riconobbe e, d’istinto, la sua mano corse alla piccola Steyr 6.35 che teneva sempre allacciata al polpaccio. I trecentocinquanta grammi della semiautomatica gli infusero sicurezza: si rese conto che, forse, avrebbe potuto volgere a suo favore la situazione. Blasko caricò il colpo in canna e si nascose dietro uno dei grandi mobili in legno massiccio che arredavano la sala. Tra poco l’Anello dei Re sarebbe stato suo. Per sempre.

Il castello nel quale Dracula era venuto alla luce nel 1431 era scuro e tetro; sulla facciata si aprivano due serie di finestre. Il tetto era in tegole rosse, ma il tempo aveva conferito loro la stessa tonalità cupa dei muri.

Con passo sicuro anche se circospetto, Petru varcò la porta secondaria sulla destra dell’edificio: era evidente che il rumeno sapeva perfettamente come muoversi.

Erano appena entrati in un grande atrio, quando un rumore di passi li obbligò a nascondersi in una nicchia. Un vecchio con un cappello nero e un mazzo di grosse chiavi in mano passò davanti al loro nascondiglio.

«Povero Toma, gli anni sono trascorsi anche per lui», disse il tenente Petru con un filo di voce. «Mi sembra ieri che il buon Toma mi teneva sulle sue ginocchia.»

Notando lo sguardo interrogativo di Sciarra, Minhea spiegò: «Questo palazzo appartiene alla mia famiglia da generazioni. Toma ne è il custode da quando io sono nato. Seguitemi, maggiore. Dobbiamo agire in fretta. Non voglio che nessuno, nemmeno Toma, venga a conoscenza della nostra presenza».

Nel buio quasi completo Sciarra e Petru salirono l’ampio scalone e giunsero dinanzi alla porta di una stanza del secondo piano. Petru l’aprì lentamente, ma non tanto da evitare il leggero cigolio dei vecchi cardini.

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