Marco Buticchi - L'anello dei re

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Un attentato a New York semina il panico tra la popolazione, ma si tratta solo di un primo caso di una serie di agguati verso la popolazione musulmana. Il rivendicatore si firma “Giusto in nome di Dio” e imprime sulle sue lettere il sigillo a 6 punte del re Salomone. Si alternano quindi le vicende dei possessori dell’anello. Dalla Venezia del 1300 si passa al fronte carsico della Grande Guerra e poi fino alla dittatura di Ceausescu in Romania.Questi flash-back si alternano alla ricerca del “Giusto” da parte di Oswald Breil e Cassandra Ziegler. Dopo numerosi colpi di scena , intrighi di potere, di cui sono protagonisti anche personaggi realmente esistiti, i protagonisti riescono a scoprire la vera identità del “Giusto” e evitare l’ennesimo massacro.

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Breil ebbe modo di osservare la donna con attenzione: il profilo arcigno lasciava intuire un carattere duro, per contro l’aria schietta e poco ricercata della first lady dava l’idea di una donna attiva, dotata di intelligenza e carattere.

Gli occhi scuri di Elena Petrescu e quelli di Asher Breil si incrociarono: l’ex pilota accolse con un sorriso amichevole il macigno di diffidenza che quello sguardo era stato capace di scagliargli contro.

Un uomo attraversò la sala e, raggiunto il loro tavolo, si chinò all’orecchio del premier. Ceausescu batté con la lama del coltello sul bordo del bicchiere di cristallo, producendo un tintinnio che fece cessare le conversazioni.

«Sono stato appena informato», disse il premier alzandosi in piedi, «che Ernesto Che Guevara è rimasto ucciso nel corso di uno scontro a fuoco con i regulares boliviani. Ernesto Guevara rappresentava la voglia di riscatto di un intero continente contro le colonizzazioni imperialiste. Sia pace all’eroe di ogni rivoluzione. Prego, signori, vi invito a osservare un minuto di silenzio.»

Mentre tutti si alzavano in piedi, Asher Breil si rese conto che in quel periodo si stava scrivendo un nuovo capitolo della Storia del ventesimo secolo ed ebbe la sensazione che una fetta di quella Storia sarebbe passata attraverso le mura tra le quali si trovava. Dopo essersi alzato in piedi chinò anche lui il capo e, nel silenzio appena calato, si ritrovò a pensare al suo unico figlio, il piccolo Oswald. Piccolo in ogni senso, ma che avrebbe dovuto vivere in un mondo grande; un mondo che Asher avrebbe voluto diverso, meno caotico e meno pericoloso. Desiderava che Oswald potesse vivere in pace e nella pace e a lui, che voleva essere un buon padre, spettava il compito di fare il possibile per contribuire al realizzarsi di quella che poteva sembrare un’utopia.

Quello era il primo motivo che aveva spinto Asher in Romania.

Il secondo motivo era più personale, e si spiegava con la necessità, innata in un uomo come Breil, di mettersi in discussione e di lanciare continue sfide a se stesso.

C’era poi un terzo motivo, forse il più importante, che traeva origine da un incontro avvenuto, pochi giorni dopo il suo incidente, con un anziano ufficiale italiano della prima guerra mondiale. Nel corso del colloquio con l’ufficiale la prospettiva di accettare un incarico che lo avrebbe condotto a Bucarest si era fatta sempre più interessante.

La fedeltà e il coraggio di Asher Breil non si potevano mettere in discussione: sia come pilota, sia come agente del Mossad, si era dedicato anima e corpo all’arduo compito di garantire la sopravvivenza del suo paese. La «suprema ragion di Stato» risultava vincente su ogni dubbio o titubanza di ordine personale. E l’interesse dello Stato di Israele aveva la priorità su qualsiasi cosa: per questo si era imposto di non lasciarsi mai vincere dal senso di colpa per avere seminato la morte per mezzo delle micidiali bombe che tante volte aveva sganciato dalle ali del suo caccia.

Questi e altri pensieri occupavano la mente dell’ufficiale del Mossad durante il minuto di silenzio in onore del rivoluzionario sudamericano.

«Tutto il mondo è un grosso casino!» si disse preoccupato Asher Breil, prima di riscuotersi e di sorridere amichevolmente al premier rumeno.

Nicolae Ceausescu era nato nella provincia di Olt, nel 1918, da una famiglia di contadini. Sin dalla adolescenza aveva manifestato spiccate capacità politiche, che aveva ben presto indirizzato verso attività considerate filorivoluzionarie dalle autorità. Nel 1936 era stato condannato per la prima volta a due anni di carcere. Di nuovo libero, Ceausescu era diventato membro del Comitato centrale comunista. Nel 1940 fu nuovamente rinchiuso in carcere, dal quale evase quattro anni più tardi. Nel 1948 venne eletto per la prima volta deputato; dal 1950 in poi si susseguirono cariche politiche e di governo, sino al luglio 1965, tre mesi dopo la morte improvvisa del leader Gheorghe Gheorghiu-Dej. In quella data Nicolae Ceausescu fu proclamato segretario del Comitato centrale del Partito comunista rumeno. Due anni dopo, nel corso di quello stesso 1967, era stato eletto presidente della Romania, una carica che, si diceva, di fatto esercitasse dal momento della morte di Gheorghiu-Dej.

Questo era quanto Breil aveva letto riguardo all’unico tra i leader comunisti che, in quel periodo, l’Occidente guardava con simpatia: Nicolae Ceausescu era un politico poco incline ad allinearsi con chi non incontrava il suo favore e ciò preoccupava il governo centrale di Mosca. Il leader rumeno aveva fatto subito capire che non aveva paura a contestare aspramente le decisioni che, nel nome di tutti, venivano prese dall’URSS. Così era accaduto con la presa di posizione del suo governo riguardo alla guerra dei Sei giorni.

Ma Asher Breil aveva raccolto anche altre informazioni in merito allo statista. Aveva consultato le cronache non ufficiali e ne era scaturita l’immagine di un uomo che nutriva un’ammirazione incondizionata per un personaggio molto controverso della storia nazionale: Ceausescu lo definiva «un eroe della Terra rumena» o anche «eroe del mondo occidentale e della cristianità».

Si trattava di Vlad Dracula III, detto «Tepes», principe di Valacchia.

20

Mare Adriatico, 1348

Wu immerse nel catino d’acqua dolce la spugna e la strizzò. Con la stessa premura di una madre pietosa, il gigante cinese deterse il sudore dalla fronte del suo padrone.

La piccola imbarcazione con la quale erano fuggiti da Venezia era in mare da qualche ora. Un vento di poppa li spingeva verso le coste della Dalmazia.

Il volto di Humarawa era cereo, gli occhi parevano pronti a velarsi nuovamente d’incoscienza.

«Hai disobbedito a un mio ordine, Wu», sussurrò il samurai.

«Quando starete meglio avrete modo di punirmi, signore.»

«Mandami la bambina», disse ancora Humarawa.

Quando Adil gli fu dinanzi, il samurai parve riprendersi un po’. Non senza fatica si alzò quasi a sedere e disse: «Ho ereditato te come si eredita un impegno oneroso, giovane Adil. Poi, col passare del tempo, mi sono accorto che stavi diventando parte della mia vita. So che sei forte e coraggioso, così come sono convinto che al fianco di Crespi e Wu non ti mancherà mai niente. Abbi cura di te».

Adil non riuscì a dire nulla. Quando si accorse che Wu era dietro di lei si girò verso il gigante e tentò di cingerlo con le sue braccia. Appoggiò la testa sulla pancia del cinese e cominciò a singhiozzare. «Perché devo veder morire tutti quelli che mi hanno amato…?» ripeteva piangendo.

Anche Crespi era sopraggiunto e restava a guardare in silenzio l’agonia dell’uomo con cui aveva condiviso buona parte della sua vita.

«Amici miei… amici…» disse il samurai, prima di perdere i sensi.

«Come sarebbe a dire ‘Sono riusciti a fuggire’?» gridò Campagnola, furibondo. «Tre uomini e un fanciullo hanno ferito alcuni dei vostri e si sono dileguati? Eravate in dodici contro tre, avete avuto la possibilità di coglierli di sorpresa e mi venite a dire che ve li siete lasciati scappare? Sarete processato e condannato per questo.»

«Mio signore… quegli uomini lottavano come delle fiere», si giustificò il comandante degli assalitori. «A un certo punto sono scomparsi nel nulla e a noi sono occorse più di due ore prima di riuscire a individuare il passaggio segreto del palazzo. Uno dei miei uomini è sicuro di aver ferito gravemente il giapponese e le tracce di sangue sulla scala ne sono la prova. Un testimone ha detto di aver visto due uomini caricare un ferito su una barca e di averli sentiti mormorare che avevano intenzione di raggiungere le coste della Dalmazia. Chiedo la licenza di andare al loro inseguimento con i miei uomini. Sarà mio dovere rimettermi alla vostra giustizia al mio ritorno, signore Campagnola.»

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