Qualcuno azzardava che i suoi interessi fossero rivolti altrove, in un lontano possedimento a Oriente di cui si favoleggiava da tempo, sin da quando la sua unica figlia era fuggita con il più terribile dei pirati: il Muqatil.
Ma non c’era nulla di vero nelle illazioni dei veneziani: Angelo Campagnola non aveva particolari interessi fuori da Venezia, però aveva deciso di scoprire il segreto che si nascondeva dietro l’arrivo di un misterioso bambino al seguito di Hito Humarawa. Era come se quel fanciullo dagli occhi color cobalto, da quando era giunto a Venezia, si fosse trascinato dietro tutte le ire degli inferi.
«Quali nuove mi porti?» chiese Campagnola, rivolgendosi al comandante dei suoi sicari che lo aspettava fuori dalla sala del Consiglio.
«Il testimone che, la notte dell’incursione, ha visto un uomo corpulento e un altro che caricavano un pesante fardello su di una imbarcazione a poca distanza dalla casa del Crespi, mi ha detto anche che con loro c’era un ragazzo. Abbiamo chiesto informazioni nelle vicine città costiere, incluse quelle della Dalmazia: la barca con la quale sarebbero fuggiti era piccola e non in grado di percorrere lunghe distanze in mare. Ho fatto pattugliare le coste in lungo e in largo e, finalmente, abbiamo scoperto che un ricco mercante veneziano pare abbia acquistato a peso d’oro un carro e un ronzino nella città di Spalato, dirigendosi poi alla volta di Ragusa. Chiedo il permesso di recarmi là con l’appoggio di una decina di uomini: stavolta non ci sfuggiranno, eccellenza.»
«Che cosa aspetti? Parti, vai! E portami quel ragazzino… vivo… oppure portami soltanto i suoi occhi da demonio.»
Gli occhi della donna si sollevarono lentamente dal corpo dell’uomo ferito, mentre un senso di disagio si impadroniva di lei. Percepì il pericolo come una preda che, nella savana, annusa nell’aria l’odore della morte.
«Presto, venite con me!» Il tono con cui la strega si era rivolta a Wu non ammetteva repliche. I due uomini e il ragazzo la seguirono sino all’imboccatura di una grotta poco distante.
In lontananza, sulla spiaggia, videro distintamente un drappello di uomini che avanzava verso di loro.
«Che ne sarà del nostro compagno ferito?» chiese Alessandro Crespi.
«Lo terrò nascosto in casa mia, non preoccupatevi e seguitemi!»
Il dubbio che la strega potesse tradirli attraversò la loro mente, ma sia Wu che Crespi sapevano di non avere altra via di scampo: se gli uomini sulla spiaggia stavano cercando loro, dovevano assolutamente fuggire e nascondersi; e l’unica persona in grado di aiutarli, in quel momento, era la strega.
Il capo del drappello si portò un lembo della manica sotto al naso. «Che cos’è questo olezzo, donna?» chiese l’uomo con aria disgustata.
«Quale olezzo, messere? Io non sento nulla», rispose la donna, che aveva imbrattato ogni angolo della sua catapecchia con radici ed erbe dall’odore nauseabondo.
«Sono passati di qua tre uomini — di cui uno ferito — e un bambino?» chiese l’uomo con aria minacciosa, sempre tenendo la stoffa premuta contro il naso.
«È da tempo che non vedo nessuno, signore. La gente mi rifugge…»
La frase venne interrotta da una sonora risata di scherno. «Certo che, se il vostro olfatto è così debole, sarà difficile che troviate qualcuno capace di accompagnarsi a voi.»
«Nessuno vi ha detto che io desideri la compagnia di qualcuno, messere», rispose la strega ostentando un fiero cipiglio.
«Ritenetevi fortunata, donna, se non vi colpisco. In altre circostanze una risposta così irriverente avrebbe potuto costarvi cara.»
«La fortuna mi ha abbandonato da un pezzo: ogni cosa che avevo di caro mi è stata strappata, signore.»
Non furono certamente pietà o compassione a far muovere la mano dell’emissario di Campagnola verso la borsa che teneva alla cintura. Ne estrasse tre monete e le gettò ai piedi della strega. «Se per caso le persone che stiamo cercando passassero di qua, queste serviranno a rinfrescarvi la memoria… e forse anche a rinfrescare la vostra stamberga, che sembra averne molto bisogno.»
«Perché cercate quegli uomini?»
«Non sono cose che vi riguardano. In ogni caso non siamo noi, ma la legge di Venezia che vuole le teste di quei traditori.»
«Capisco, messere. Voi e i vostri vorrete forse rifocillarvi. Ho giusto della minestra sul fuoco…»
«Vi ringrazio, donna», rispose il capo tenendosi sempre turato il naso. «Credo che una comoda locanda sia quello che ci vuole per noi.»
«Dove posso trovarvi, nel caso dovessi avere delle novità?»
«Resteremo per una notte a Ragusa, poi torneremo a Spalato: là è stata rinvenuta l’imbarcazione dei fuggitivi.»
Ripulire la casa dagli effluvi venefici delle erbe richiese un accurato lavoro, a cui parteciparono anche Wu, Crespi e Adil. Quell’impasto mefitico era riuscito a tener lontani gli inseguitori dal nascondiglio in cui era stato adagiato il ferito.
Humarawa giaceva su un letto nell’unica stanza della stamberga. A ogni buon conto la strega lo aveva coperto sotto degli stracci, casomai qualcuno avesse voluto dare un’occhiata all’interno: ma fortunatamente gli uomini se ne erano andati senza procedere ad alcuna ispezione.
Il guerriero giapponese era sempre incosciente e la febbre alta gli procurava deliri e fremiti.
Una volta finito di lavare muri, stipiti e pavimenti, Wu sedette vicino alla donna, sfoderò i suoi modi migliori e sorrise incurante della cicatrice che gli univa l’angolo della bocca con l’orecchio. «Come vi chiamate, mia signora?»
La strega lo guardò con sospetto: forse quel grassone si stava prendendo gioco di lei. Erano secoli che ormai nessuno più le si rivolgeva chiamandola «signora».
Ma la donna sapeva di potersi fidare del suo intuito e uno sguardo a quegli occhi a mandorla, che non avevano mai tremato nemmeno di fronte alla morte, fu sufficiente per farle capire che il cinese non stava scherzando.
«Rhoda», rispose lei, e si concesse uno dei suoi rari sorrisi. «Mi chiamo Rhoda», ripeté, mentre con la mano cercava di detergersi dalla patina scura che offuscava il perduto candore della sua pelle.
Wu indicò la cicatrice: «Quando incontrai per la prima volta Alessandro Crespi, molti anni fa, egli mi lasciò questo ricordo: è l’unico uomo ad avermi battuto nella lotta».
Incredula, Rhoda osservò il mercante veneziano: sembrava un damerino a un ballo di gala, come aveva potuto stendere quel gigante?
«Invece chi è stato a provocare quella ferita?» disse Wu indicando il collo della donna.
«È una storia lunga. Non ho voglia di raccontarla.» Per un attimo gli occhi di Rhoda si posarono sul giovane Adil, quindi la donna continuò: «Non abbiamo tempo da perdere. Dovete nascondervi per qualche tempo: il drappello si tratterrà un solo giorno a Ragusa e poi tornerà a Spalato, ma non vorrei che avessero in mente di passare di nuovo da queste parti… per rifarsi l’olfatto».
Era la prima volta che Rhoda rideva, la prima volta da anni.
Wu la osservò con attenzione: era in preda a un turbamento nuovo che nessun drappello di inseguitori sarebbe stato in grado di provocare.
I due uomini e Adil tornarono nella grotta. Rhoda li raggiungeva due volte al giorno per rifocillarli e per aggiornarli sulle condizioni di salute di Humarawa. Tralasciando la storia delle origini di Adil, Wu le aveva raccontato buona parte della loro vita, a volte pavoneggiandosi nel descrivere le avventure che aveva condiviso col suo signore e con Crespi.
Quattro giorni dopo il loro arrivo, Rhoda si era recata in città e lì aveva saputo che gli undici veneziani si erano nuovamente diretti alla volta di Spalato. Quelli che ormai considerava come i suoi soli amici avrebbero potuto abbandonare il nascondiglio e trovare rifugio in città: grazie alle abitudini dissolute di suo marito, Rhoda conosceva almeno una mezza dozzina di locande dove, pagando, si sarebbe diventati invisibili per chiunque.
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