Marco Buticchi - L'anello dei re

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Un attentato a New York semina il panico tra la popolazione, ma si tratta solo di un primo caso di una serie di agguati verso la popolazione musulmana. Il rivendicatore si firma “Giusto in nome di Dio” e imprime sulle sue lettere il sigillo a 6 punte del re Salomone. Si alternano quindi le vicende dei possessori dell’anello. Dalla Venezia del 1300 si passa al fronte carsico della Grande Guerra e poi fino alla dittatura di Ceausescu in Romania.Questi flash-back si alternano alla ricerca del “Giusto” da parte di Oswald Breil e Cassandra Ziegler. Dopo numerosi colpi di scena , intrighi di potere, di cui sono protagonisti anche personaggi realmente esistiti, i protagonisti riescono a scoprire la vera identità del “Giusto” e evitare l’ennesimo massacro.

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«Già, tutto incominciò quando incontrai Kimber. Non la prima volta, quando mi medicò le ferite in un ospedale inglese, ma il giorno in cui la rividi…»

32

Ragusa, 1348

«Avremmo dovuto capire a che cosa stavamo andando incontro: la bonaccia e la nebbia altro non erano se non presagio di sventura», diceva uno degli sgherri a un suo compagno.

«Già, abbiamo impiegato più di dieci giorni per raggiungere un’altra città dove si va diffondendo la peste. Come se non ce ne fosse stata abbastanza a Venezia…» aveva risposto l’altro, appena prima che Campagnola piombasse su di loro come un falco.

«Che cosa state dicendo?» Il veneziano estrasse lo spadino che portava sempre alla cintura. Nonostante l’età non più rosea era ancora un ottimo schermitore, in grado di incutere timore e rispetto.

La punta della spada era appoggiata sulla guancia del secondo uomo che aveva parlato.

«Attenzione, mio caro», disse Campagnola con un’aria diabolica. «Su ognuno di voi, da quando vi ho tirati fuori dalle galere nelle quali eravate destinati a morire, vanto diritto di vita o di morte. Non vorrei doverlo esercitare adesso. Se davvero credete ai presagi, provate a pensare che da quando quel maledetto ragazzino è sbarcato nella nostra città, su Venezia pare scesa la maledizione del Demonio. Presto, Tommaso.» Campagnola ritrasse l’arma e si rivolse al capo dei suoi: «Abbiamo girato la città in lungo e in largo, senza trovare traccia di Adil. Credo sia meglio allontanarci da questi effluvi mefitici, tanto più che chi cerchiamo probabilmente è fuggito via mare. Torniamo alla cocca e prepariamoci a salpare».

«Quanti erano?» aveva chiesto Humarawa alla donna, non appena Rhoda gli aveva riferito della visita degli sgherri veneziani.

«Torneranno», disse il giapponese. «Per quanto conosco Campagnola non rinuncerà molto presto a noi. Dobbiamo prepararci a riceverli.»

«Perché questo Campagnola è così accanito contro di voi? Wu mi aveva detto che avete prestato i vostri servigi a lui e alla Repubblica veneziana per lungo tempo. Come mai ha cambiato idea?»

«Credo che sia a causa di Adil. Penso che Campagnola veda in lui un pericolo o una maledizione.»

«Un bambino? Come è possibile che una delle persone più influenti a Venezia dia la caccia a un bambino…»

«È una lunga storia, donna. Un giorno te la racconterò, adesso però dobbiamo prepararci a ricevere visite sgradite e io devo tentare di riprendere un po’ di forze.»

Humarawa aveva trascorso gli ultimi giorni ad armeggiare con corde e pesi, aiutato da Rhoda, che eseguiva in silenzio gli ordini impartiti dal giapponese e che assisteva affascinata agli esercizi del samurai, intento a recuperare la potenza e a mimare duelli e battaglie con la sua spada.

Il corpo di Crespi era stato avvolto in una vecchia rete, zavorrato con dei pesi e gettato in mare.

«Che cosa stiamo aspettando?» chiese Adil, dopo alcuni giorni. «Perché non torniamo da Humarawa? Vorrei sapere come sta.»

«Il più importante dei motivi, Adil, è che siamo stati a contatto con un uomo malato di peste. È meglio aspettare ancora un po’ prima di scendere a terra e, soprattutto, non dovremmo avvicinarci a una persona indebolita da una grave ferita. Sempre ammesso che il mio signore sia riuscito a cavarsela. Ma quando smetterà questa maledetta bonaccia che ci costringe a restare immobili nella nebbia più fitta e se saremo sicuri di non essere stati contagiati, accosteremo alla spiaggia dove c’è la casa di Rhoda.»

Le cocche erano da sempre destinate al commercio locale: da Venezia queste robuste imbarcazioni, lunghe dai dieci ai diciotto metri, trasportavano nell’Adriatico merci di ogni genere.

Ma da quando era scoppiata la peste, molte di quelle navi erano state requisite e destinate al trasporto dei cadaveri e dei malati verso le isole della morte, così che il commercio aveva subito un brusco arresto.

La cocca avanzava a buona andatura. Per fortuna la nebbia si era diradata, sospinta da un freddo vento proveniente da nord che gonfiava la vela latina.

Le coste sfilavano a dritta, a una distanza ravvicinata.

Campagnola aveva ordinato di costeggiare ogni terra emersa, comprese le isole. A chi gli aveva fatto notare che trovare i fuggiaschi sarebbe stato come cercare un ago in un pagliaio, il veneziano aveva aspramente risposto: «Abbiamo tutto il tempo necessario: la loro imbarcazione non potrà passare inosservata. Dovranno pur tirarla in secco o ormeggiarla da qualche parte».

«Cos’è quella catapecchia?» disse Campagnola, indicando una casupola su un’altura che dominava la spiaggia. Dal camino si alzava un sottile filo di fumo.

«Vi consiglio di stare alla larga da quella casa, signoria. Del resto noi ci siamo già stati», disse Tommaso, «lì abita una fattucchiera: dalle sue pozioni si sprigiona un odore fetido che è rimasto impregnato ai nostri abiti per giorni.»

«Quindi avete già controllato. Bene, mi pare non ci siano altre case lungo la costa deserta.»

«Non è stato, a dire il vero, un controllo molto approfondito… L’odore che aleggiava nella casa ci ha impedito di entrare…»

A questo punto Tommaso si fermò, rendendosi conto di essere stato, per stupidità o leggerezza, superficiale e distratto. Ma Campagnola non lo era altrettanto. Con gli occhi ridotti a due fessure, incominciò a dettare i suoi ordini: «Girate dietro quello sperone di roccia. Dalla casa non si deve vedere la barca. Se dovessero trovarsi là dentro non devono accorgersi del nostro arrivo. Quando saremo al riparo troveremo un punto dove sbarcare e procederemo via terra. Dobbiamo muoverci con circospezione: soltanto agendo di sorpresa potremmo sopraffare combattenti come Humarawa o il cinese».

Rhoda si era recata, come di consueto, alla ricerca delle preziose erbe medicinali che le servivano per preparare i suoi infusi.

L’aria era ancora densa della persistente umidità che giorni e giorni di nebbia avevano depositato ovunque, anche nelle ossa delle persone. Si tirò dritta, la mano destra che stringeva la roncola. Poco distante la cesta piena di erbe, bacche e radici.

La casa era poco lontana, nascosta alla vista da uno sperone di roccia. Da quando aveva accolto quell’uomo la sua vita era molto cambiata, decisamente in meglio. Sempre più spesso la mente di Rhoda era sgombra dai pensieri terribili che l’avevano accompagnata nel corso degli ultimi anni.

«Signora!» disse fra sé sorridendo, «mia signora!» ripeté, pensando a Wu che si rivolgeva a lei con appellativi degni di una regina. Un velo di apprensione scese sugli occhi della donna, preoccupata per l’incerto destino in cui poteva essere incappato il gigante cinese.

Rimase a guardare la nave, una nave tozza, come tutte le imbarcazioni da trasporto che incrociavano lungo le coste tra Ragusa e Spalato. A mano a mano che la vedeva avvicinarsi, l’angoscia si impadroniva di lei. Osservò gli uomini che si alternavano alle manovre, la barca porsi al vento e gettare l’ancora. Si mise di sentinella, nascosta nella vegetazione. Quando vide l’equipaggio montare sulla scialuppa e dirigere verso la spiaggia ebbe conferma dei suoi timori: l’uomo che, quasi un mese prima, l’aveva interrogata sul giapponese e sui suoi compagni, adesso era accanto a un altro, più anziano ed elegante, che le parve essere il capo di quel manipolo. Un cavallo stava al centro della scialuppa: quasi certamente era destinato a quello vestito più riccamente.

Rhoda prese a correre verso la casa, scivolando spesso sul fondo fangoso e ferendosi con le spine dei rovi. Doveva fare presto, se voleva avvertire in tempo Hito Humarawa del pericolo.

Il marinaio aveva un’aria soddisfatta: preferiva di gran lunga restare a bordo a montare la guardia piuttosto che accompagnare il suo iroso padrone nella spedizione a terra.

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