Marco Buticchi - L'anello dei re

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Un attentato a New York semina il panico tra la popolazione, ma si tratta solo di un primo caso di una serie di agguati verso la popolazione musulmana. Il rivendicatore si firma “Giusto in nome di Dio” e imprime sulle sue lettere il sigillo a 6 punte del re Salomone. Si alternano quindi le vicende dei possessori dell’anello. Dalla Venezia del 1300 si passa al fronte carsico della Grande Guerra e poi fino alla dittatura di Ceausescu in Romania.Questi flash-back si alternano alla ricerca del “Giusto” da parte di Oswald Breil e Cassandra Ziegler. Dopo numerosi colpi di scena , intrighi di potere, di cui sono protagonisti anche personaggi realmente esistiti, i protagonisti riescono a scoprire la vera identità del “Giusto” e evitare l’ennesimo massacro.

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Ora, la fuga dei due ufficiali nemici a bordo dell’aeronave sembrava suffragare qualsiasi superstiziosa teoria.

La gondola ove aveva sede la plancia di comando era la più appruata delle quattro di cui era dotato il dirigibile. Era arredata come il ponte di una nave, con una profusione di legni pregiati e strumenti d’avanguardia. I due timoni, quello direzionale e quello di profondità, erano costituiti da due grandi ruote anch’esse di legno pregiato che sarebbero potute appartenere a un transatlantico.

Eberhard Meyer pilotava l’aeronave con piglio sicuro, ma i suoi modi lasciavano trasparire l’odio che nutriva nei confronti dei due nemici che lo avevano costretto a far decollare il dirigibile. Petru ne era consapevole e per questo non aveva abbassato la canna della pistola nemmeno per un attimo.

«Come pensate di farla franca?» disse Meyer con occhi che lanciavano fiamme. «Sono necessari quindici uomini addestrati perché questo aeromobile sia perfettamente funzionante. Senza contare che tra non molto gli aerei della base si alzeranno in volo per darci la caccia.»

«Noi non abbiamo nessuna intenzione di farlo funzionare ‘perfettamente’, colonnello. Ci è sufficiente che voi raggiungiate le coste alleate. Invece, per evitare che gli Albatros si gettino al nostro inseguimento e ci raggiungano, comandante Meyer, credo sia opportuno provvedere ad alleggerire la vostra macchina volante», disse Sciarra, tirando verso di sé un pomello rosso posto sul lato destro del pannello di controllo.

L’ufficiale italiano era spesso rimasto a osservare le manovre dei dirigibili, e diverse volte aveva caricato il potenziale di bombe negli alloggiamenti posti sotto le gondole. Il maggiore aveva preso nota di ogni dettaglio che avrebbe potuto essergli utile, qualora avesse mai riacquistato la libertà. Sciarra si era ben impresso nella mente il meccanismo di sganciamento delle bombe: ogni volta che veniva effettuato un nuovo carico da parte dei prigionieri, un tecnico provava il funzionamento di apertura del portello almeno una decina di volte.

Mentre lavorava nei pressi degli aeromobili aveva memorizzato molte delle operazioni che vedeva compiere ai piloti e alle squadre a terra. Ognuna di quelle informazioni avrebbe potuto servire per rendere inoffensiva una delle più invincibili macchine da guerra di cui il nemico disponeva.

Una prima salva di cinque bombe venne sganciata sopra la base. Cinque detonazioni ravvicinate ruppero il silenzio della notte. I bagliori delle deflagrazioni indicarono ai fuggiaschi dove avrebbero dovuto effettuare il nuovo lancio.

«Virate a destra di dieci gradi e mantenete questa velocità», disse Petru premendo la canna della rivoltella contro la tempia dell’ufficiale tedesco.

Sciarra azionò ancora il meccanismo di sgancio e una nuova salva cadde sul terreno. I tre uomini videro distintamente che almeno due bombe avevano fatto centro, cadendo dinanzi all’hangar degli aerei e ostruendone l’uscita.

«Adesso dobbiamo solo sperare che nessuno degli Albatros sia riuscito a oltrepassare la porta dell’aviorimessa e a decollare», disse Petra, gettando lo sguardo verso le fiamme che si levavano da terra.

Quell’istante di distrazione fu sufficiente perché Meyer, con una mossa dell’avambraccio, si liberasse della minaccia della pistola puntata contro di lui, affibbiando un pugno in pieno volto a Petra.

Sciarra afferrò la Mauser e la puntò contro Meyer. «Fermo, colonnello, o aprirò il fuoco», disse risoluto l’italiano.

Meyer si fermò, ma solo per un istante. Conosceva la sua nave alla perfezione; rapido, si volse verso la porta della gondola alla sua destra. «Non vi sarò mai d’aiuto!» Il colonnello aprì la porta e si gettò nel vuoto.

Sciarra e Petra erano ancora sconvolti dal gesto dell’ufficiale tedesco, quando una raffica di mitragliatrice interruppe il rumore monocorde dei propulsori: uno degli Albatros stava dando loro la caccia.

I sette biplani di cui era dotata la base erano in grado di raggiungere velocità anche superiori a centocinquanta chilometri orari e avevano un paio d’ore di autonomia. Erano inoltre ben più maneggevoli e leggeri di un dirigibile.

Malgrado la facilità con cui l’aereo avrebbe potuto abbattere il gigante in volo, sembrava che il pilota mancasse volutamente il bersaglio: le raffiche di quello che pareva essere l’unico inseguitore si perdevano lungo i fianchi dell’aeronave tra le scie luminose dei proiettili traccianti.

«Stanno cercando di convincerci ad arrenderci», disse Petra, mentre metteva mano alla mitragliatrice girevole posta a poppavia nella gondola di comando. «Credo sia opportuno far loro capire che non abbiamo alcuna intenzione di scendere a terra… anche perché io non saprei davvero come fare a portare giù questo affare.»

Mentre Sciarra tentava di prendere dimestichezza con le manovre direzionali del dirigibile, la mitragliatrice esplose cinque colpi, quindi, tra l’imprecare di Petra, l’arma si inceppò.

«Che cosa succede, tenente?»

«Questa maledetta non vuole saperne di riprendere a sparare. L’Albatros, invece, sembra che stia mirando sempre più vicino al dirigibile. Se solo uno di quei colpi dovesse colpire un serbatoio di idrogeno sarebbe la fine.» Petru cercò di recuperare il suo sangue freddo: «Credo sia il caso di raggiungere un’altra gondola e provare ad abbattere il caccia che abbiamo alle calcagna, se non vogliamo fare la fine di due tordi arrostiti in volo».

«Raggiungere un’altra gondola!?» chiese Sciarra incredulo: non aveva mai visto compiere un’azione del genere durante le esercitazioni a terra alle quali aveva assistito. «Come pensate sia possibile?»

«Con quella», disse Petru indicando una scaletta in alluminio che costituiva il passaggio tra la gondola di comando e l’interno del grosso cilindro argentato. «Credo ci siano dei camminamenti interni che portano alle due navicelle centrali ed entrambe sono dotate di una mitragliatrice.»

«Speriamo che la nostra passeggiata nel ventre della balena porti buoni frutti: ho paura che il pilota del caccia tedesco non sia dotato di pazienza infinita.»

«Se mi permettete, maggiore, voi mettete in pratica le vostre conoscenze di guida. Fare il funambolo sarà compito mio.»

Così dicendo, Petru salì sulla scaletta e aprì la botola che si trovava sul tetto del ponte di comando. Al buio riuscì dapprima a individuare un corrimano, quindi si rese conto di trovarsi su una delle passerelle che attraversavano l’interno del dirigibile. Sopra di lui erano collocati i diciannove involucri che contenevano il gas: una scintilla avrebbe potuto innescare un disastro.

Petru percorse a tentoni la passerella cercando di orientarsi in quello spazio immenso e buio. Il rombo del caccia, benché attutito dall’involucro telato del dirigibile e dal ronzio dei propulsori, giungeva anche all’interno della struttura. Doveva fare presto.

Una raffica di mitraglia proveniente dalla navicella di dritta fece capire a Sciarra che il tenente rumeno aveva raggiunto la meta. La risposta dell’Albatros, a questo punto, non fu più solo intimidatoria: le pallottole spazzarono il ponte di comando, infrangendo alcuni vetri e causando un principio d’incendio nel voluminoso apparato radio.

Probabilmente, alla successiva virata, il pilota tedesco avrebbe aggiustato la mira e lo Zeppelin si sarebbe trasformato in una enorme palla di fuoco.

Nell’oscurità, rotta dal chiarore della luna, Sciarra rimase a osservare il biplano che virava, preparandosi a un nuovo assalto.

Impotente, l’ufficiale italiano strinse le mani attorno alla ruota del timone dell’aeronave.

Il caccia si mise in assetto e puntò dritto contro il dirigibile. «Strano destino per un alpino quello di morire in cielo», trovò il tempo di pensare Sciarra, mentre le due mitragliatrici del biplano sputavano vampe di fuoco.

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