Marco Buticchi - L'anello dei re

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Un attentato a New York semina il panico tra la popolazione, ma si tratta solo di un primo caso di una serie di agguati verso la popolazione musulmana. Il rivendicatore si firma “Giusto in nome di Dio” e imprime sulle sue lettere il sigillo a 6 punte del re Salomone. Si alternano quindi le vicende dei possessori dell’anello. Dalla Venezia del 1300 si passa al fronte carsico della Grande Guerra e poi fino alla dittatura di Ceausescu in Romania.Questi flash-back si alternano alla ricerca del “Giusto” da parte di Oswald Breil e Cassandra Ziegler. Dopo numerosi colpi di scena , intrighi di potere, di cui sono protagonisti anche personaggi realmente esistiti, i protagonisti riescono a scoprire la vera identità del “Giusto” e evitare l’ennesimo massacro.

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Celeste si destò profondamente scossa. Istintivamente guardò nella direzione dalla quale sua madre le aveva parlato, ma la sola cosa che vide fu l’impenetrabile cortina del buio della notte.

La giovane impiegò molto tempo prima di riaddormentarsi: le parole che quella figura eterea aveva pronunciato continuavano a risuonarle nel cuore. Poi, finalmente, un sonno senza sogni si impadronì di lei.

Era da poco passata l’alba quando un gran trambusto nei canali la svegliò di soprassalto. Celeste si affacciò alla finestra. Nel freddo frizzante della mattina di marzo notò un inusuale viavai di imbarcazioni lungo il Canal Grande. I barcaioli si fermavano a parlare concitati con quelli che provenivano dal senso opposto, e tutti gesticolavano animatamente in preda a una grande agitazione.

Un terribile presentimento si impadronì della mente della bambina: le parole che la madre le aveva detto in sogno all’improvviso assunsero il loro terribile significato.

«Strana la vita», disse a se stesso Campagnola, inarcando le sopracciglia, «non ho mai esitato dinanzi allo sguardo di nessuno, eppure non riesco a togliermi dalla mente gli occhi di quel ragazzino e il disagio che riescono a provocarmi.»

La morte del suo tirapiedi non lo aveva scosso più di tanto: Giròn gli aveva comunicato che avrebbe tentato di introdursi nel palazzo del Crespi la notte in cui era stato ucciso, ma Campagnola non avrebbe potuto giurare che il Bioca ci fosse mai arrivato: erano molte le persone che avrebbero spezzato volentieri l’osso del collo a quell’attaccabrighe.

«Eppure», si disse ancora Campagnola, «gli occhi di quello che deve per forza essere il figlio di Satana continuano ad apparirmi come la più terrificante delle allucinazioni. Da quando quel bambino è arrivato a Venezia in città è successo di tutto.»

In quell’istante la mano di un servitore bussò alla porta del giudice veneziano.

«Che succede?» chiese il Campagnola con aria seccata, deciso a far pagare l’impudenza di chi lo aveva distolto dai suoi pensieri.

«Perdonate, signoria», disse il servo chinando il capo, ma non celando l’inquietudine. «Nella notte un uomo è morto nella calle dei Pellai e due donne, due cugine, han patito la medesima sorte in San Marco in Boccalama.»

«Cos’è questa novità, servo?» chiese il Campagnola, mentre di nuovo la visione degli occhi del piccolo Adil gli apparve come un presagio di sventura. «Mi distrai dalle mie occupazioni per raccontarmi il bollettino dei decessi?»

«Perdonatemi, signoria. Tutti e tre i defunti presentavano gli stessi sintomi.»

«E quali erano questi sintomi, di grazia?» Un terribile sospetto stava prendendo corpo nei pensieri del nobile veneziano.

«La peste, signoria. Sono morti di peste.» Così dicendo il servo si segnò due volte.

13

Settembre 2003

Deidra Blasey respirò a pieni polmoni l’aria carica dei profumi di un’estate che sembrava non volesse finire.

I postumi delle fratture non erano ancora scomparsi, sebbene le cure e le assidue sedute di fisioterapia stessero dando i loro frutti.

Pensava a quanto repentino fosse il passare da una situazione di equilibrio al dolore più insopportabile: quella terribile sensazione Deidra l’aveva già sperimentata diverse volte nella sua vita. L’ultima era stata quando il missile terra-aria era esploso a poca distanza dal luogo in cui l’inviato della K.C. News la stava intervistando.

In poche frazioni di secondo si era trovata a terra, con le orecchie che le dolevano, le membra dilaniate del cameraman sopra di lei, sentendo che un liquido della medesima temperatura del suo corpo le colava addosso. Inizialmente non aveva provato dolore, anche se aveva la certezza di essere stata colpita. Aveva girato la testa, non riuscendo a liberarsi del corpo dell’operatore, e aveva visto Cruner, il corrispondente della K.C. News, sorreggersi una gamba insanguinata. L’arto, privo del sostegno delle ossa, sembrava un cilindro di gommapiuma. Le era parso che Cruner avesse problemi anche all’altra gamba: non poteva esserne certa, ma aveva avuto l’impressione che fosse di materiale artificiale, forse una protesi.

«Mantieni la calma, colonnello Blasey», si era detta per farsi coraggio. «Sembra che le tue condizioni non siano disperate. Respira forte e cerca di toglierti questo peso di dosso.»

Deidra si era accorta che non poteva muovere il braccio sinistro e che il liquido che la ricopriva era il sangue che sgorgava dal corpo del cameraman a cui l’esplosione aveva reciso il capo.

Deidra era riuscita a spostare il fardello che le impediva di respirare con la forza di un solo braccio. Le voci dei soccorritori le giungevano ovattate. Il colonnello dei marine si era resa conto confusamente che anche la sua gamba sinistra era stata colpita: uno spezzone di tibia fuoriusciva dai pantaloni della tuta da combattimento come lo spuntone dell’albero di maestra di un veliero affondato in acque basse.

Quando le mani del primo soccorritore si erano posate su di lei, Deidra Blasey aveva perso conoscenza.

Dopo sei mesi, nel corso dei quali aveva subito tre operazioni alla gamba e due al braccio sinistro, Deidra si muoveva con una certa disinvoltura tra gli attrezzi ginnici della palestra di riabilitazione. Tra poco l’avrebbero finalmente dimessa.

Le ore e i minuti che la separavano da quel momento le sembrarono interminabili: Deidra li scandì quasi uno a uno, nell’attesa di ritornare dopo tanto tempo alla sua quotidiana esistenza. Sapeva che New York l’avrebbe accolta con la solita indifferenza, ma aveva bisogno di sentirsi nuovamente attiva per non cadere nel baratro della depressione. In altre occasioni erano stati i marine a tirarla fuori dal tunnel. E ancora una volta, Deidra sperava che sarebbero «arrivati i nostri» per impedirle di annegare in un dolore capace di far vacillare anche la mente più forte.

Una voce amica e stentorea la accolse ancor prima che avesse sceso i gradini della clinica: «Bentornata tra noi, signore!»

Il sergente Kingston stava in piedi accanto a un’auto di servizio che recava sulle portiere la scritta: CORPO DEI MARINE, BASE DI FORT LEJEUNE. Il sottufficiale vestiva la divisa da parata con il cappello bianco e la giacca blu elettrico, e sfoggiava un sorriso smagliante. Deidra non si accorse subito del braccio del sergente ripiegato dietro la schiena. Soltanto quando gli fu vicina Kingston estrasse il mazzo di fiori che aveva tenuto nascosto.

Il colonnello non riuscì a reprimere il gesto di abbracciare il suo subalterno, lasciando Kingston visibilmente imbarazzato.

Una volta in macchina, fu il sottufficiale a parlare. «Ancora un mesetto di convalescenza e poi riprenderà il lavoro, vero, colonnello?»

«Non ne posso più di riposo forzato, sergente. Credo che sin dalla settimana prossima comincerò a frequentare la base. Certo, farò le cose per gradi, ma un altro mese di pareti bianche, pollo lesso e passato di verdure riuscirebbe a mandarmi all’altro mondo.»

«Certo che lo ha davvero visto da vicino.»

«Che cosa?»

«L’altro mondo!» rispose Kingston con un’aria assorta. «Destino peggiore è toccato a quel povero operatore della K.C. News. Pare invece che Cruner sia stato dimesso da circa un mese: la sua frattura alla gamba non era molto grave e il conduttore televisivo non ha riportato altri traumi.»

«Non so quale santo devo ringraziare per essere ancora viva.» Gli occhi del colonnello Blasey si illuminarono di una strana luce.

Le mani dalle dita sottili, avvolte nei guanti di lattice, mossero un libro nello scaffale della libreria che si trovava sulla destra di un armadio a muro. L’ordine regnava assoluto anche sui ripiani del mobile. Il volume si mosse come animato da un meccanismo a molla, emise un leggero suono metallico e la parete posteriore dell’armadio scivolò di lato con un sommesso ronzio.

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