Andrea Camilleri - Il cane di terracotta
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- Название:Il cane di terracotta
- Автор:
- Издательство:Sellerio Editore
- Жанр:
- Год:1996
- Город:Palermo
- ISBN:8838912262,978-8838912269
- Рейтинг книги:4 / 5. Голосов: 1
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«Di testa mia, commissario, glielo assicuro, di testa mia. Certo, c’è modo e modo di convincere una pirsuna ad agire liberamenti di testa sua. Una volta un amico che leggeva assà e che era struìto, mi contò una storia che io riporto a lei para para. L’aveva liggiuta in un libro tedesco. C’è un omo che dice a un suo amico: scommessa che il mio gatto si mangia la senape ardosa, di quella tanto ardosa che ti fa un pirtuso nella panza? Ai gatti non ci piace la senape - dice l’amico. E inveci al mio gatto ci la faccio mangiari - fa l’omo. Ci la fai mangiari a botte e a Ugnate? - addomanda l’amico. Nossignore, senza violenza, se la mangia liberamente, di testa sò - risponde l’omo. Scommissa fatta, l’omo piglia un bello cucchiaro di senape, di quella che a solo taliarla uno si senti àrdiri la vucca, agguanta il gatto e, zaffi, gli schiaffa la senape in culo. Il poviro gatto, a sentirsi abbrusciare in quel modo il culo, si mette a leccarselo. Licca che ti licca, si mangia, liberamente, tutta la senape. E questo è quanto, egregio».
«Ho capito benissimo. Ora ripigliamo il discorso dal principio».
«Stavo dicendo che io mi faccio arristari, ma mi necessita tanticchia di triatro per salvare la faccia».
«Non capisco».
«Ora vegnu e mi spiego».
Si spiegò a lungo, bevendo ogni tanto un bicchiere di vino. Finalmente Montalbano si fece persuaso delle ragioni dell’altro. Ma c’era da fidarsi di Tano? Questo era il vero busillis!. A Montalbano, in gioventù, andava a genio giocare a carte, poi fortunatamente gli era passata: sentiva perciò che l’altro stava giocando con carte non segnate, senza trucco. Doveva per forza affidarsi a questa sensazione, sperando che non avrebbe fallato. Minuziosamente, picinosamente misero a punto i dettagli dell’arresto per evitare che qualche cosa si mettesse di traverso. Quando finirono di parlare, il sole era già alto. Prima di nèsciri dalla casuzza e dare principio alla recita, il commissario taliò a lungo Tano occhi negli occhi.
«Mi dica la virità». «Agli ordini, dutturi Montalbano». «Perché ha scelto proprio a mia?». «Perché lei, e me lo sta dimostrando, è uno che le cose le capisce».
Mentre se ne scendeva a rotta di collo lungo il viottolo tra i vigneti, Montalbano si ricordò che al commissariato doveva esserci di guardia Agatino Catarella e che quindi la conversazione telefonica che s’apprestava a intraprendere sarebbe stata al minimo difficoltosa, se non fonte di disgraziati e pericolosi equivoci. Questo Catarella non era sinceramente cosa. Lento a capire, lento ad agire, era stato pigliato nella polizia certamente perché lontano parente dell’ex onnipotente onorevole Cusumano che, dopo un’estate passata al fresco del carcere dell’Ucciardone, aveva saputo riannodare legami coi nuovi potenti tanto da guadagnarsi una larga fetta di torta, di quella torta che miracolosamente di volta in volta si rinnovava, bastava cangiare qualche candito o mettere nuove candeline al posto di quelle già consumate. Le cose con Catarella s’imbrogliavano di più se gli saltava il firticchio, cosa che gli capitava spesso, di mettersi a parlare in quello che lui chiamava taliàno.
Un giorno gli si era appresentato con la faccia di circostanzia.
«Dottori, lei putacaso mi saprebbi fare la nominata di un medico di quelli che sono specialisti?».
«Specialista di cosa, Catarè?».
«Di malatia venerea».
Montalbano aveva spalancato la bocca per lo stupore.
«Tu?! Una malattia venerea? E quando te la pigliasti?».
«Io m’arricordo che questa malatia mi venne quando ero ancora nico, non avevo manco sei o sette anni».
«Ma che minchia mi vai contando, Catarè? Sei sicuro che si tratta di una malattia venerea?».
«Sicurissimo, dottori. Va e viene, va e viene. Venerea».
In macchina, alla volta di una cabina telefonica che avrebbe dovuto esserci verso il bivio di Torresanta (avrebbe dovuto esserci fatti salvi il taglio e l’asporto della cornetta, il furto dell’apparecchio intero, la sparizione della cabina stessa) Montalbano decise di non telefonare nemmeno al suo vice, Mimì Augello, perché era il tipo che, non c’erano santi, per prima cosa avrebbe avvertito i giornalisti, fingendo poi di stupirsi per la loro prisenza. Non restavano che Fazio e Tortorella, i due brigadieri o come diavolo si chiamavano adesso. Scelse Fazio, Tortorella qualche tempo prima era stato sparato alla panza e ancora non si era ripigliato, di tanto in tanto la ferita gli doleva.
La cabina miracolosamente c’era ancora, il telefono miracolosamente funzionava e Fazio arrispunnì che il secondo squillo non era ancora finito.
«Fazio, sei già vigliante a quest’ora?».
«Sissi, duttù. Manco mezzo minuto fa m’ha telefonato Catarella».
«Che voleva?».
«Poco ci capii, s’era messo a parlare taliàno. A occhio e croce pare che stanotte hanno sbaligiato il supermercato di Carmelo Ingrassia, quello grosso che sta tanticchia fòra di paese. Ci sono andati almeno con un tir o un camion grosso».
«Non c’era il guardiano notturno?».
«C’era, ma non si trova».
«Ci stavi andando tu?».
«Sissi».
«Lascia perdere. Telefona subito a Tortorella, digli che avverta Augello. Ci vadano loro due. Dicci che tu non ci puoi andare, contagli una minchiata qualsiasi, che sei caduto dalla culla e hai battuto la testa. Anzi, no: digli che i carabinieri sono venuti ad arrestarti. Meglio, telefona e digli d’avvertire l’Arma, tanto il fatto è cosa da niente, una cazzata di furto, e l’Arma diventa contenta perché l’abbiamo chiamata a collaborare. Ora stammi a sentire: avvertiti Tortorella, Augello e l’Arma, tu chiami Gallo, Galluzzo, madonna santa mi pare d’essere in un pollaio, e Germanà e venite dove ora vi dico io. Armatevi tutti di mitra».
«Cazzo!».
«Cazzo, sissignore. È cosa grossa che dev’essere fatta con prudenza, nessuno si deve lasciare scappare mezza parola, soprattutto Galluzzo cu sò cognato il giornalista. Raccomanda a quella testa di Gallo di non mettersi a guidare come a Indianapolis. Nenti sirene, nenti lampeggianti. Quando c’è scarmazzo, movimento d’acqua, il pesce scappa. E ora stai attento che ti spiego dove devi vinìri».
Arrivarono silenziosi, dopo manco mezz’ora dalla telefonata, parevano di normale pattugliamento. Scesero dall’auto e si diressero verso Montalbano che fece loro signo di seguirlo. Si radunarono darrè una casa mezzo distrutta, così dalla provinciale non era possibile vederli.
«In macchina haiu un mitra per lei» disse Fazio.
«Mettitelo in culo. Statemi a sentire: se ci sappiamo giocare bene la partita, capace che ci portiamo a casa Tano u grecu».
Materialmente Montalbano percepì che i suoi uomini avevano smesso per un attimo di respirare.
«Tano u grecu da queste parti?» si meravigliò Fazio che si era ripigliato per primo.
«L’ho visto bene, è iddru, s’è lasciato crìsciri barba e baffi ma s’arraccanusci lo stesso».
«E lei come l’ha incontrato?».
«Fazio, non rompere, ti spiego tutto dopo. Tano è in una casuzza in cima a quella montagnola, da qua non si vede. Torno torno ci sono ulivi saraceni. La casa è fatta di due càmmare, una sopra e una sotto. Sul davanti ci sono una porta e una finestra, un’altra finestra è nella càmmara di sopra, ma dà sul retro. Mi spiegai? Avete capito tutto? Tano non ha altre strate per nèsciri se non quelle davanti, oppure deve buttarsi alla disperata dalla finestra della càmmara di sopra, capace però che si stocca una gamba. Facciamo accussì. Fazio e Gallo vanno nella parte di darrè; io, Germanà e Galluzzo sfondiamo la porta e trasèmo».
Fazio si fece dubitoso.
«Che c’è? Non sei d’accordo?».
«Non è meglio circondari la casa e dirgli d’arrendersi? Senio cinco contro uno, non ce la può fare».
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