Carlo Botta - Storia della Guerra della Independenza degli Stati Uniti di America, vol. 4

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Storia della Guerra della Independenza degli Stati Uniti di America, vol. 4: краткое содержание, описание и аннотация

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Dopo le cose, che fin qui abbiamo raccontate, succedè per qualche tempo nelle Antille come quasi una generale tregua da ambe le parti. Ma se era cessata la rabbia degli uomini, sottentrò quell'assai più tremenda degli elementi. Era giunto il presente anno al mese d'ottobre, e godevansi gli Antillesi l'inaspettata cessazione dell'armi, e quella securità, che sì poco avevano sperato, quando i mari e le spiagge loro furono afflitte da una sì spaventevole tempesta, che pochi, o nissun esempio si trovano di altrettanto furore nei ricordi delle cose marinaresche, sì pieni peraltro di orribili disastri, e di compassionevoli naufragi. E quantunque questo terribile flagello di Dio abbia, dove più, dove meno disertato tutte le Antille, in nissuna però tanto infuriò, quanto nella fiorita isola delle Barbade. Incominciò a menare la non descrivibile tempesta la mattina dei dieci, e continuò ferocissimamente per ben quarantotto ore. Le navi, che sicure stavano nel porto, furon tosto strappate dalle ancore, e nell'alto e tempestoso mare sospinte. Correvanvi un vicinissimo pericolo di naufragio. Non meno degna di compassione si trovò la condizione di coloro, che rimasero in terra. Imperciocchè la notte, che seguì, crescendo vieppiù la violenza della bufera, le case diroccavano, gli alberi si diradicavano, gli uomini e le bestie erano arrandellati qua e là, e pesti miserabilmente. La capitale stessa dell'isola fu pressochè uguagliata al suolo. La magione del governatore molto forte, conciossiachè avesse le mura grosse ben tre piedi, era scossa fin dalle fondamenta, e faceva le viste di voler crollare. Di dentro abbarravano le porte, e le finestre, ed ogni sforzo facevano per resistere a tanto stravolgimento del cielo. Tutto fu nulla. Superò il dragone irreparabile; schiantò dai gangheri e dagli arpioni le porte e le imposte; le mura stesse diroccava. Il governatore colla sua famiglia si rifuggiva nelle sotterranee volte. Ma da questo cercato asilo contro il vento lo cacciava tosto l'acqua, la quale cadendo dal cielo dirottissimamente inondò, e, quasi un secondo diluvio, sopraffece ogni cosa. Uscivano allora all'aperta campagna, dove con incredibile stento e pericolo si ricoverarono dietro un mastio, sopra il quale era rizzata la stacca della bandiera; ma questo ancora traballando alla furia del trabocchevole vento, temendo di essere stiacciati da cadenti massi, un'altra volta si allargarono nei campi. Fortuna, che non si sbrancarono, perciocchè separati e privi l'un l'altro dell'aiuto dei compagni, tutti ne sarebbero stati morti. Pure aggirati dal remolino tornavano qua e là, e s'avvoltolavano nel fango e nella mota. Infine stanchi, fracidi e trafelati si ripararono ad una batteria, e dietro i carretti dei grossi cannoni si appiattarono, miserabile e poco sicuro asilo; imperciocchè anche questi erano violentemente scossi e traportati dalla procella. Le altre case della città, siccome più deboli, essendo state prima di quella del governatore rovinate, andavano gli abitatori vagando qua e là in quella tristissima notte senza asilo e senza ristoro. Molti perirono sotto i rottami delle case loro; altri annegarono nelle sopravanzanti acque: parecchj affogarono nella mota. Le tenebre spessissime, il frequente folgoreggiar del cielo, i tuoni spaventevoli, il fischiare orribile del vento, lo stridore della cadente pioggia, le grida miserabili dei morenti, le lamentazioni compassionevoli di coloro, che disperati erano al non potergli soccorrere, il pianto e gli urli delle donne e dei fanciulli facevano di modo, ch'e' pareva venuto il finimondo. Ma all'aprirsi del dì si discopriva agli occhi dei sopravviventi uno spettacolo da essere piuttosto raffigurato dalla spaventata immaginazione, che descritto da una mente non percossa da tanta calamità. Quella testè sì ricca, sì fiorita, sì ridente isola pareva ora ad un tratto trasformata essere in una di quelle polari regioni, dove per l'aspetto sinistro del sole regna un eternale inverno. Case nissune in piè, o rovine traballanti; alberi diradicati; cadaveri umani sparsi qua e là; niun bestiame vivente; la sopraffaccia stessa della terra non pareva più quella. Non che fossero distrutte le promettenti messi e le copiose ricolte; i giardini medesimi, sì dilettevole ornamento, ed i campi, sì lieta speranza dei mortali, non erano più: o arena, o fango, o pozze dappertutto; i partevoli termini distrutti; i fossi scassati; le strade sprofondate. Sommò il numero dei morti a parecchie migliaia. Questo si sa; ma quanto sia stato per l'appunto, è incerto. Imperciocchè oltre di quelli, ai quali furon sepoltura le rovine delle case loro, non pochi furono agguindolati dal crudel girone fin dentro il mare, altri sguizzati via da novissimi, e non mai più veduti torrenti, e fiumi, o dall'onde marine strascinati, le quali, oltrepassato il solito confine, dilagato avevano, e spazzato molto indentro le terre. Tanta fu la gagliardia del vento, che un cannone, che buttava dodici libbre di palla, ne fu trasportato, se si dee prestar fede ai documenti più solenni, da una batteria all'altra, lontana bene a trecento passi. Quello poi, ch'era avanzato al furor della tempesta, diventò preda in parte della rabbia degli uomini. Rotte le prigioni saltaron fuori in quella fatal notte i ribaldi, i quali in un coi Neri poco curando, come gente disperata, la rabbia del cielo, tutto avevan messo a sacco ed a ruba. E forse ne sarebbe stata tutta l'isola condotta ad un totale sterminio, ed i Bianchi tratti a morte, se non era, che vi si trovò a quel tempo il generale Vaughan con una grossa schiera di stanziali, i quali colla disciplina e virtù loro la scamparono. E tanto fecero, che cansarono una grossa quantità di munizioni da bocca, senza di che era da temersi che gl'isolani testè liberati dal flagello della tempesta non soggiacessero a quello non men orribile della fame. E non è da passarsi sotto silenzio da un candido amatore della verità, e delle opere gentili, che i prigionieri di guerra spagnuoli, che non eran pochi in quel dì nella Barbada sotto la condotta di Don Pedro San Jago, capitano del reggimento d'Aragona, fecero tutte quelle parti, che a ben nati e civili uomini si convenivano. Posti tra quel violento scroscio in balìa loro, non che si valessero dell'opportunità offerta per commettere qualche atto inimichevole, niuna cosa lasciarono intentata, nè a fatica, nè a pericolo alcuno si ristettero per aiutare i miseri Barbadesi. Nel che la cooperazione loro non riuscì di poca utilità. Le altre isole sì francesi, che inglesi furono poco meno di quella della Barbada devastate. Ma nella Giamaica all'impeto della tempesta si coniunse un orribile tremoto, ed inoltre il mare gonfiò sì fattamente, che tutte le case, ed i campi, sin molto addentro nell'isola, ne furono totalmente desertati. Ma stantechè il vento era da levante, gli effetti del temporale furono maggiori sulle spiagge occidentali della medesima, particolarmente nei distretti di Westmoreland, e di Hannover. Accadde in ispecialità, che mentre gli abitanti di Savanna-La-Mer, ricca e grossa Terra nel Westmoreland, stavano stupefatti osservando l'inusitato gonfiamento del mare, lo sterminato cavallone arrivò loro addosso, e tutto, uomini, bestie, case portò seco a perdizione. Non rimase vestigio veruno di quella infelice Terra. Più di trecento persone furono inghiottite dalle onde. I fertili campi rimasero largamente coperti d'infecond'arena. Le più opulenti famiglie furono ad un tratto ridotte alla più strema miseria. E se oltre ogni dire degna di compassione fu la condizione di coloro, i quali in terra abitavano, non fu migliore quella degli altri, che si trovarono in sull'acque. Imperciocchè delle navi, che gli portavano, alcune andarono a traverso negli scogli, altre furono ingoiate dal furibondo mare, ed altre a grande stento se ne tornarono lacere e fracassate nei porti. A queste fatali strette si trovarono non solo quelle, che viaggiavano, ma ancora quelle, ch'erano sorte nei porti anche i più sicuri, le quali o ruppero dentro i medesimi, o furono cacciate di forza nel mare sì straordinariamente fiottoso. Tra le altre il Fulminatore di 74 cannoni affondò anime e beni. Parecchie fregate o naufragaron del tutto, od in tal modo furono scassinate, ch'era difficil cosa diventata il racconciarle. Perirono in tutto per gli effetti di questa procella di navi inglesi un vascello di 74, due di 64, uno di 50, con sette in otto fregate. In mezzo a tanti, e sì gravi disastri, e ad un quasi totale disfacimento della natura, recò qualche conforto la umanità del marchese di Bouillé. Erangli venuti nelle mani alcuni marinari inglesi, miserabili reliquie delle ciurme delle navi il Lauro, e l'Andromeda, che rotte si erano sulle spiagge della Martinica. Gli rimandò franchi e liberi a Santa Lucia, mandando, non voler ritenere prigioni coloro, i quali erano stati alle prese cogli arrabbiati elementi, e dall'impeto loro scampati. Aggiunse, sperare, avrebbero gl'Inglesi i medesimi termini usato verso di quei Francesi, che l'inesorabile fortuna avesse gettato in poter loro. Ricordò, increscergli, gl'Inglesi cattivi esser così pochi, e nissun fra gli uffiziali essersi salvato. Conchiuse con dire, che siccome era stata comune ed universale la calamità, così anche dover esser comuni ed universali la umanità e la benevolenza. I mercatanti di Kindston, città capitale della Giamaica, con mirabil esempio di bontà cittadina tosto si obbligarono a somministrare un aiuto di diecimila lire di sterlini ai sofferitori. Il Parlamento, udito il fortunoso caso, quantunque a quei dì tanto fosse pressato dalle spese della guerra, decretò si donassero ai Barbadesi ottantamila lire di sterlini, ed a quei della Giamaica quarantamila. Nè i doni si ristettero alla munificenza pubblica; che anzi molti privati cittadini vollero soccorrere della propria pecunia gli abitanti delle Antille. Il navilio di Guichen, e quello di Rodney schivarono la burrasca, perchè il primo già era partito nel mese d'agosto per alla volta dell'Europa con quattordici vascelli di tre palchi, convogliando una ricca e numerosa conserva di navi mercantili. Il secondo, e per questa stessa partenza di Guichen, non sapendo, dove questi s'inviasse, e perchè quelle genti spagnuole sbarcate all'Avanna gli davano non poco sospetto, mandate, come abbiamo detto, alcune navi a proteggere la Giamaica, si era posto in via poco tempo dopo colle rimanenti per alla Nuova-Jork. Ma però in America, prima ch'egli vi arrivasse, anzi prima che partisse dalle Antille, v'era intervenuto un maraviglioso rivolgimento nelle pubbliche cose, siccome da noi sarà in conveniente luogo raccontato.

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