Edward Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 8

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Edward Gibbon

Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 8

CAPITOLO XLII

Stato del Mondo Barbaro. Stabilimento dei Lombardi sul Danubio. Tribù e scorrerie degli Schiavoni. Origine, impero ed ambascerie dei Turchi. Fuga degli Avari. Cosroe I ossia Nushirvan re di Persia. Suo regno fortunato, e guerra coi Romani. La guerra Colchica o Lazica. Gli Etiopi.

La nostra maniera di valutare il merito degl'individui è relativa alle comuni facoltà dell'uman genere. Gli ambiziosi sforzi del genio o della virtù, sì nella vita operativa che nella speculativa, vengono misurati non tanto secondo la real loro grandezza, quanto secondo l'altezza a cui giungono, sopra il livello del loro secolo e della lor patria: e quella stessa statura che fra un popolo di giganti non verrebbe avvertita, fra una schiatta di Pigmei apparirà riguardevole. Leonida, ed i suoi trecento compagni sacrificarono la vita alle Termopili; ma l'educazione del fanciullo, dell'adolescente e dell'uomo avea preparato, e quasi assicurato questo memorabil sacrifizio; ed ogni Spartano dovette approvare, piuttosto che ammirare un atto di dovere, di cui egli stesso, ed ottomila de' suoi concittadini sarebbero stati egualmente capaci 1 1 Sarà un piacere non una pena pel lettore lo scorrere Erodoto (l. VII c. 104, 134 p. 550, 615). Il colloquio fra Serse e Demarato alle Termopili è una delle più interessanti e morali scene dell'istoria. L'aspetto delle virtù della sua patria formava il tormento del regale Spartano, che con angoscia e rimorso le rimirava. . Il Gran Pompeo potè inscrivere sopra i suoi trofei, che vinto egli avea in battaglia due milioni di nemici, e sottomesso mille cinquecento città dalla Palude Meotide sino al Mar Rosso 2 2 Veggasi quest'orgogliosa iscrizione in Plinio ( Hist. nat. VII. 27 ). Pochi uomini hanno meglio assaporato le dolcezze della gloria e le amarezze della sventura, nè poteva Giovenale (Sat. X) offrire un più vivo esempio delle vicende della fortuna e della vanità degli umani desiderii. . Ma la fortuna di Roma volava dinanzi alle sue aquile; le nazioni erano domate dal loro proprio terrore, e le invincibili legioni che egli comandava erano state formate dalla consuetudine della conquista e dalla disciplina dei secoli. Riguardato da questo canto il carattere di Belisario può meritamente esser posto al di sopra degli Eroi delle antiche Repubbliche. Nascevano le sue imperfezioni dal contagio dei tempi; proprie di lui e libero dono della natura e della riflessione erano le sue virtù. Egli s'inalzò senza maestro o rivale; e così disuguali erano le armi commesse alla sua destra, che l'orgoglio e la presunzione de' suoi avversari formavano il suo solo vantaggio. Condotti da un tal Capo, i sudditi di Giustiniano spesso meritarono di esser chiamati Romani: non pertanto i superbi Goti, che affettavano di arrossire nel dover contendere il Regno d'Italia, con una nazione di tragedianti, di pantomimi e di pirati, li denominavano Greci, quasi termine di disprezzo con che significar credevano un animo imbelle 3 3 Γραικους … εξ ων τα προτερα ουδενα ες Ιταλιαν ηκοντα ειδον, οτι μη τραγωδους, και ναυτας λωποδυτας. Quest'ultimo epiteto di Procopio troppo nobilmente si traduce col termine di pirati: ladri navali è la parola propria, e significa gente che spoglia, sia per rubare sia per oltraggiare (Demostene contra Conon . negli Oratori greci di Reiske, t. 2, p. 1264) . Il clima dell'Asia, a dir vero, è meno di quello d'Europa confacente alla militare virtù: quelle popolose contrade erano snervate dal lusso, dal dispotismo e dalla superstizione; ed i monaci costavano davvantaggio ed erano più numerosi che i soldati dell'Oriente. Le forze regolari dell'Impero si erano altre volte alzate sino a sei cento quarantacinquemila uomini: al tempo di Giustiniano esse eransi ridotte a cento cinquantamila uomini, e questo numero, per grande che possa parere, era sparso qua e là per terra e per mare, nella Spagna e nell'Italia, nell'Affrica e nell'Egitto, sulle rive del Danubio, sulla costa dell'Eusino e sulle frontiere della Persia. Esausti erano i cittadini, eppure i soldati non ricevevano la paga; la miseria loro veniva dannosamente mitigata dal privilegio di rubare e di far nulla; ed i tardivi pagamenti venivano trattenuti od intercettati dalla frode di quegli agenti che, senza coraggio o pericolo, si usurpano gli emolumenti della guerra. La miseria pubblica e privata reclutava gli eserciti dello Stato; ma nel campo, e più ancora al cospetto dell'inimico, sempre difettoso era il lor numero. Alla mancanza dello spirito nazionale si suppliva colla precaria fede e coll'indisciplinato servizio dei Barbari mercenari. Persino l'onor militare, che sovente sopravvive alla perdita della virtù e della libertà, giacevasi quasi estinto del tutto. I generali, moltiplicati al di là dell'esempio dei tempi antichi, non attendevano che ad impedire il buon successo, od a macchiare la fama de' loro colleghi; e l'esperienza aveva loro insegnato che se il merito alle volte provocava la gelosia; l'errore, od anche il delitto poteva ottenere l'indulgenza di un Imperatore clemente 4 4 Vedi il libro 3 e 4 della Guerra Gotica; lo scrittore degli Aneddoti non può aggravar questi abusi. . In un secolo come quello, i trionfi di Belisario, e poi quelli di Narsete dovettero spiccare di incomparabil luce; ma essi erano circondati dalle più cupe ombre della disgrazia e della calamità. Nel mentre che il Luogotenente di Giustiniano soggiogava i regni dei Goti e dei Vandali, il timido 5 5 Agatia, l. 5 p. 157, 158. Egli ristringe questa debolezza dell'Imperatore e dell'Impero alla vecchiezza di Giustiniano; ma, pur troppo, Giustiniano non fu mai giovane. benchè ambizioso Imperatore equilibrava le forze dei Barbari, ne fomentava le divisioni mediante l'adulazione e la menzogna, e colla sua pazienza e liberalità pareva invitarli a replicare gli oltraggi 6 6 Questa dannosa politica, che Procopio (Aneddoti c. 19) imputa all'Imperatore, si manifesta nella sua lettera ad un principe Scita, il quale era capace d'intenderla (Agatia l. V p. 170, 171). . Le chiavi di Cartagine, di Roma e di Ravenna, venivano ossequiosamente presentate al loro conquistatore, nel tempo che Antiochia era distrutta dai Persiani, e tremava Giustiniano per la salvezza di Costantinopoli.

Le stesse vittorie gotiche di Belisario tornavano di pregiudizio allo Stato, poichè distruggevano l'importante barriera del Danubio superiore, che Teodorico e la sua figlia avevano così fedelmente guardata. Per difender l'Italia, i Goti sgombrarono la Pannonia ed il Norico, ch'essi lasciarono in pacifica e florida condizione. L'Imperator dei Romani pretendeva di signoreggiare queste due province; ma il loro possesso effettivo fu abbandonato alla temerità del primo assalitore. Sull'opposta riva del Danubio, le pianure dell'Ungheria superiore ed i colli della Transilvania, erano dopo la morte di Attila, possedute dalle tribù dei Gepidi, i quali rispettavano le armi gotiche, e disprezzavano non già l'oro dei Romani ma il segreto motivo degli annui loro sussidii. Questi Barbari s'impadronirono immediatamente delle vuote fortificazioni del fiume, essi piantarono le loro bandiere sulle mura di Sirmio e Belgrado, e l'ironico stile della loro apologia aggravava quest'insulto fatto alla maestà dell'Impero. «Tanto estesi, o Cesare, sono i vostri dominj, tanto numerose le vostre città, che del continuo voi andate cercando nazioni, alle quali od in pace od in guerra possiate abbandonare questi inutili possessi. I Gepidi sono i valorosi e fedeli vostri alleati, e se anticipatamente si sono presi i vostri doni, hanno conciò mostrato una giusta confidenza nella vostra bontà». Questa presunzione avea per iscusa il modo di vendetta abbracciato da Giustiniano. Invece di sostenere i diritti di un sovrano a cui spetta di proteggere i sudditi, l'Imperatore invitò un popolo straniero ad invadere ed a possedere le province romane che giacevano tra il Danubio e le Alpi; e l'ambizione dei Gepidi non fu rintuzzata che dalla crescente potenza e fama dei Lombardi 7 7 Gens Germana feritate ferociore , dice Vellejo Patercolo, parlando de' Germani (II 106). Langobardos paucitas nobilitat. Plurimus ac valentissimis nationibus cincti, non per obsequium, sed praeliis et periclitando tuti sunt (Tacito, de Moribus German. , c. 40). Vedi parimente Strabone l. 7 p. 446. I migliori geografi li collocano di là dell'Elba, nel vescovato di Maddeborgo e la Marca di mezzo di Brandeborgo. Questa situazione si accorda colla patriottica osservazione del conte di Hertzberg, che la maggior parte dei conquistatori Barbari uscirono dagli stessi paesi che ora partoriscono gli eserciti della Prussia.

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