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Carlo Botta: Storia della Guerra della Independenza degli Stati Uniti di America, vol. 4

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Carlo Botta Storia della Guerra della Independenza degli Stati Uniti di America, vol. 4

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Carlo Botta

Storia della Guerra della Independenza degli Stati Uniti di America, vol. 4

LIBRO DUODECIMO

1780

Io m'apparecchio a scrivere una ostinata guerra, la quale variata in numerosi affronti, e spesse battaglie dimostrò forse più, che in un'altra qualsivoglia, quanto siano incerte le operazioni dell'armi, ed instabili i favori della fortuna; e quanto tenaci siano le umane menti nel proseguire ciò, che posto hanno in cima dei desiderj loro. Le vittorie partorirono frequentemente i frutti delle rotte, e le rotte quei delle vittorie; i vincitori diventarono spesso vinti, i vinti vincitori. In piccoli fatti mostrossi una gran virtù, e dall'opera di poche genti, secondochè queste o quelle ebbero prospero, od infelice successo, altrettanto, o più in ultimo si ottenne, che ricavato si sia le più volte dalle grossissime battaglie combattute ne' campi europei da valorose e potentissime nazioni. Nè si cessò dall'aspra contesa nelle Caroline, se non quando già s'incamminavano le cose a quel fatale caso, che del tutto afflisse le britanniche armi sul continente americano. Erasi, come nel precedente libro si è da noi raccontato, partito dalla Nuova-Jork il generale Clinton per recarsi all'impresa delle Caroline, nelle quali si proponeva principalmente d'insignorirsi della città di Charlestown; avuta la quale si sperava, tutta la provincia avesse ad inclinare subito il collo all'obbedienza del Re. Conduceva seco da sette in ottomila soldati tra Inglesi, Essiani e leali, tra i quali una buona squadra di cavalli, gente molto necessaria all'esercizio della guerra in quelle province agili e piane. Aveva anche posto sulle navi una quantità grandissima di munizioni sì da guerra che da bocca. Viaggiavano gli Inglesi pieni di ardimento, e confidentissimi della vittoria. Dapprima furono assai favorevoli i venti, e propizio il mare. Ma messisi poscia gli orribili temporali, ne fu l'intiera flotta dispersa, e grandemente danneggiata. Alcune navi pervennero sul finir di gennaio a Tibee nella Giorgia; altre furono intraprese dagli Americani; un'annonaria infortunò, e si ruppe con perdita di tutte le munizioni che portava; i cavalli, sì quei che servivano al traino delle artiglierie, come quei delle compagnie, la maggior parte perirono. Tutti questi danni, che stati sarebbero gravi in ogni tempo, riuscirono in quell'occorrenze gravissimi, e quasi irreparabili. Ritardaron poi anche sì fattamente l'impresa di Charlestown, che ebbero gli Americani tempo ad apparecchiar le difese. Finalmente si raccozzaron tutti nella Giorgia. Le genti vincitrici di Savanna ricevettero con molte dimostrazioni d'allegrezza quelle di Clinton, le une e le altre molto efficacemente adoperandosi per ristorar i danni sofferti nel tragitto. Quando furon di bel nuovo in punto, il che fu al dieci febbraio, partirono sulle navi da carico, accompagnate anco da quelle da guerra, ed avuti i venti prosperi arrivarono speditamente nelle bocche del Nort-Edisto, fiume, che mette in mare poco lungi dall'Isola di San Giovanni sulle coste caroliniane. Esplorati i luoghi, e superato lo scanno, sbarcarono, distendendosi dentro l'isola sopraddetta, e quella di San Jacopo più vicina a Charlestown. Già le prime scolte toccavano le rive del fiume Ashley, il quale bagna le mura di questa città. Occupavano parimente il Wappoo-cut, pel quale i battelli e le galere dovevan passare per trasportare poscia i soldati dalla destra sponda dell'Ashley sulla sinistra, sulla quale è posto Charlestown. Ma gl'indugi causati dalla passata fortuna di mare, pei quali avevano i Caroliniani avuto tempo di munire la città con nuove fortificazioni e più grossi presidj, avevano indotto Clinton a vieppiù soprastare all'oppugnazione, ed a mandar ordine intanto al generale Prevost a Savanna, gl'inviasse de' suoi dodici centinaia di soldati, incluso quel maggiore numero di cavalli che potesse. Aveva anche scritto a Knyphausen, il quale, partito Clinton, era rimasto al governo dei presidj della Nuova-Jork, spedisse tostamente all'oste presso Charlestown rinforzi di genti e di munizioni. Venne infatti pochi giorni dopo a congiungersi con Clinton il generale Patterson mandatovi da Prevost colle richieste genti, dopo d'aver superato non senza molta fatica e pericolo gl'impedimenti de' sfondati cammini, dei fiumi ingrossati, e del nemico, che, leggiero e sparso, lo aveva con ispesse scaramucce col sinistro fianco noiato da Savanna sin molto addentro nella Carolina. Stava intanto Clinton affortificandosi sulle rive dell'Ashley, e su quelle delle vicine fiumane, e bracci di mare per mantener libere le vie a poter comunicare col suo navilio. In questo mezzo il colonnello Tarleton, del quale sarà fatta frequente menzione in queste storie, non meno arrisicato, ch'esperto condottiere di cavalleggieri, recatosi nell'Isola di Porto-Reale, situata sulle coste della Carolina più verso la Giorgia, assai fertile e ricca, attendeva con procacci fatti, per danaro dagli amici, per forza dai nemici, di nuovi cavalli a ristorar la perdita di quelli, che morti erano durante l'infelice tragitto. Nel che se non ottenne tutto quello che desiderava, ebbe però più assai di quanto egli sperava. Così in sul finir di marzo ogni cosa era in pronto per cominciar l'assedio di Charlestown, dalla quale città l'esercito britannico era separato soltanto dalle acque del fiume Ashley.

Dall'altro canto non erano stati oziosi gli Americani nel fare tutti quei provvedimenti sì civili che militari, che più creduti avevano necessarj ad una gagliarda difesa, quantunque in questo quegli effetti non ottenessero che avrebbero desiderato, e che la gravità del caso richiedeva. I biglietti di credito nella Carolina Meridionale avevano tanto perduto di riputazione, che con essi assai difficilmente si potevano fare i procacci necessarj agli usi della guerra. Nè meno si travagliava per la carestia dei soldati. Le milizie dopo l'ardue fazioni della Giorgia nel passato inverno, tratte dal desiderio del riposo, s'erano, disbandandosi, alle case loro ritornate. Il timore del vaiuolo, che sapevano serpeggiare in Charlestown, le impediva ancora di recarsi al soccorso della città capitale. I reggimenti poi degli stanziali appartenenti alla provincia, ch'erano sei, si trovavano talmente assottigliati dalla frequenza de' disertori, dalle malattie, dalle battaglie, dal finir delle ferme, che tutti insieme non arrivavano ad un migliaio di soldati. Non pochi parimente dei Caroliniani si erano ridotti a giovarsi dei perdoni presso Prevost a Savanna, parte per fedeltà verso il Re, e parte per preservare le robe loro dal sacco. Perocchè gl'Inglesi, senza rispetto alcuno, depredavano e devastavano le proprietà di coloro, i quali continuavano a militare sotto le insegne del congresso. La vittoria poi di Savanna aveva indotto negli animi un grande terrore dell'armi inglesi; e molti ripugnavano all'andarsi a serrare dentro le mura di una città, che poco credevano poter resistere agli assalti di un nemico sì valoroso. E se deboli erano per la necessità delle cose i preparamenti dei Caroliniani meridionali, erano poco più gagliardi quei del congresso. Aveva questi avuto tempestivo avviso del disegno degl'Inglesi, e vedendo rannuvolar nella Carolina avrebbe voluto soccorrerle. Ma dall'un de' lati la debolezza dell'esercito washingtoniano, che era stato assai diradato dal finir delle ferme, dall'altro la grossezza dei presidj lasciati da Clinton nella Nuova-Jork erano causa, che da quello non si potesse un molto efficace aiuto inviare a Charlestown. Ma per altro per confortare colle parole, giacchè non poteva coi fatti, ovvero perchè avesse credenza, che i popoli si sarebbero risentiti al vicino pericolo della Carolina ed accostati alle insegne, iva il congresso scrivendo a quei che governavano le faccende in questa provincia, stessero forti, perciocchè avrebbe mandato loro un soccorso di novemila soldati.

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