Edward Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 10
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Edward Gibbon
Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 10
CAPITOLO L
Descrizione dell'Arabia e de' suoi abitatori. Nascita, carattere e dottrina di Maometto. Predica alla Mecca. Fugge a Medina. Propaga la sua religione colla spada. Sommessione volontaria o sforzata degli Arabi. Sua morte, e suoi successori. Pretensioni e trionfi d'Alì e de' suoi discendenti.
Dopo avere per più di sei secoli tenuto dietro ai vacillanti sovrani di Costantinopoli e della Germania, ora risalendo all'epoca del regno d'Eraclio, mi trasferirò sulla frontiera orientale della monarchia greca. Mentre lo Stato s'impoveriva colla guerra di Persia, e straziata era la Chiesa dalla Setta di Nestorio e da quella dei Monofisiti, Maometto, colla spada in una mano e coll'Alcorano nell'altra, fondava il suo trono sulle ruine del Cristianesimo e di Roma. I talenti del Profeta arabo, i costumi del suo popolo e lo spirito della sua religione sono tra le cagioni che hanno operato il decadimento e l'ultimo crollo dell'impero d'Oriente; e la rivoluzione che ne seguì, e che si può noverare fra le più memorabili che impressero nelle varie nazioni del Globo un carattere nuovo e permanente, ci presenterà uno spettacolo ben degno de' nostri sguardi 1 1 Poichè in questo capitolo e nel seguente io mostrerò molta erudizione araba, debbo dichiarare la mia perfetta ignoranza delle lingue orientali, e la gratitudine mia pei dotti interpreti, che mi han fatto copia del lor sapere su questa materia in latino, in francese e in inglese. Indicherò a tempo e luogo le raccolte, le versioni e le storie che ho consultate.
.
La penisola d'Arabia raffigura 2 2 In tre classi ponno dividersi i Geografi dell'Arabia: 1. i Greci e i Latini , le cognizioni progressive de' quali si possono esaminare in Agatarcide ( De mari Rubro in Hudson, geographi minores, t. I. ), in Diodoro di Sicilia (t. I. l. II, p. 159-167, l. III, p. 211-216, edit. Wesseling), in Strabone (l. XVI, p. 1112-1114), dietro Eratostene, (p. 1122-1132, dietro Artemidoro), in Dionigi ( Periegesis, 927-969 ), in Plinio ( Hist. natur., V, 12; VI, 32 ) e in Tolomeo ( Descript. et Tabulae urbium in Hudson, t. III. ) 2. Gli scrittori arabi che han trattato quest'argomento collo zelo del patriottismo o della divozione. Gli estratti dati da Pocock ( Specimen Hist. Arabum, p. 125-128 ) della Geografia del Seriffo al-Edrissi, accrescono il disgusto che si prova nella versione, o nel sommario, (p. 24, 27, 44, 56, 108, etc.) pubblicata dai Maroniti coll'assurdo titolo della Geographia nubiensis (Paris 1619); ma i traduttori latini e francesi, Graves (in Hudson, t. III) e Galland ( Voyage de la Palestine , del La Roque, p. 265-346), ci han dato a conoscer l'Arabia d'Abulfeda, descrizione la più minuta ed esatta che si abbia di quella penisola, e se le può aggiugnere per altro la Biblioteca Orientale del d'Herbelot, p. 120, et alibi passim . 3. I viaggiatori Europei , tra i quali Shaw (p. 438-455) e Niebuhr ( Description , 1773; Voyages , tom. I, 1776) vogliono essere menzionati con onore: Busching ( Géographie par Berenger, t. VIII. p. 416-510) ha fatto una compilazione giudiziosa; e il lettore debbe aver sotto gli occhi le carte del d'Anville ( Orbis veteribus notus , e la prima parte dell'Asia) e la sua Geografia antica (t. I, p. 208-231).
tra la Persia, la Siria, l'Egitto e l'Etiopia una specie di vasto triangolo con faccie irregolari. Dalla punta settentrionale di Beles 3 3 Abulfeda, Descriptio Arabiae , p. 1; d'Anville, l' Eufrate e il Tigri , p. 19, 20. In questo luogo, ove si trova il paradiso, o sia giardino d'un satrapo, passò Senofonte coi Greci l'Eufrate per la prima volta ( Ritirata dei diecimila l. 1. c. 10, p. 29. edit. Wells).
, sull'Eufrate, forma una linea di mille e cinquecento miglia che termina nello stretto di Babelmandel e nel paese dell'incenso. La linea del mezzo, che va dall'Oriente all'Occidente, da Bassora a Suez, dal golfo Persico al mar Rosso, può essere all'incirca la metà in lunghezza 4 4 Il Reland ha provato con molta erudizione superflua 1. che il nostro mar Rosso (il Golfo d'Arabia) non è che l'una parte del mare Rubrum , Ερυθρα θαλασση degli antichi, che si allungava fino allo spazio indefinito dell'Oceano indiano; 2. Che i vocaboli sinonimi ερυθρος, αιθιοψς, sono allusivi al color dei Neri o Negri. ( Dissert. miscell ., t. I. p. 59-117).
; i lati del triangolo si dilatano insensibilmente, e la base che è al mezzodì presenta all'Oceano indiano una costa di circa mille miglia. La superficie interna della penisola è quattro volte più ampia di quella dell'Alemagna o della Francia; ma la parte più vasta di quel terreno è stata giustamente disonorata cogli epiteti di Petrea e di Arenosa . La natura almeno fregiò i deserti della Tartaria di grandi alberi, d'erbaggi abbondanti, e il viaggiator solitario vi trova nello spettacolo dei vegetabili una sorta di consolazione e di società; ma gli orridi deserti dell'Arabia non offrono allo sguardo che un'immensa pianura di sabbia, solamente interrotta da montagne aride ed angolose, e la superficie del deserto, priva d'ombra di sorta, mostra un terreno abbruciato dai raggi diretti del cocente sole del tropico. In vece di rinfrescar l'atmosfera non diffondono i venti che un vapore nocivo ed anche mortale, quando soprattutto vengono dal sud-ouest; i monti di sabbia cui formano e disperdono alternativamente, ponno paragonarsi ai flutti dell'Oceano: caravane ed eserciti intieri furono inghiottiti da quel vortice. Si desidera e si contende l'acqua colà, che per tutto il Mondo è sì comune, e tanta è la carestia di legna che ci vuol molt'arte per conservare e propagare il fuoco. Non ha l'Arabia una sola di quelle riviere navigabili, che fecondano il suolo, e ne portano alle vicine contrade le produzioni. La terra sitibonda assorbe i torrenti che cadono dalle colline: il tamarindo, l'acacia e poche piante robuste, che pongono le radici nei crepacci delle rupi, non si alimentano che della rugiada notturna: quando piove si ha cura di trattenere qualche goccia d'acqua in cisterne o in acquedotti; i pozzi e le fonti sono i secreti tesori di que' deserti, e dopo molti giorni di viaggio il trafelato pellegrino della Mecca 5 5 Fra le trenta giornate o stazioni, che si contano fra il Cairo e la Mecca, quindici mancano d'acqua dolce. V. la strada degli Hadjees, nei Viaggi di Shaw, p. 477 .
non incontra per dissetarsi che poche acque ributtanti pel sapor che han contratto sopra un letto di zolfo o di sale. Tale è la prospettiva generale del clima dell'Arabia; e questa universale sterilità dà un prezzo infinito a qualche apparenza di vegetazione, che si trovi qua e là; un bosco ombroso, un meschino pascolo, una corrente d'acqua dolce invitano una colonia d'Arabi a stanziar sul fortunato terreno che loro procaccia alimento ed ombra per sè e pei lor bestiami, e li incoraggia a coltivar la palma e la vite. Le alte terre che costeggiano l'Oceano indiano son segnalate dalle legne e dall'acque che vi si rinvengono in maggior abbondanza; l'aria è più temperata, più saporite le frutta, più numerosi gli animali e gli uomini; la fertilità del suolo inanimisce e premia i lavori dell'agricoltura; e l'incenso 6 6 Plinio, nel duodicesimo libro della sua Storia naturale, (l. XII, c. 42) tratta degli aromi, e soprattutto del thus o incenso dell'Arabia: Milton in una similitudine rammenta gli odori aromatici che il vento del Nord-est trasporta sulla costa di Saba (Paradiso Perduto lib. 4).
ed il caffè di quelle regioni hanno tratto colà in ogni tempo i mercadanti di tutti i paesi del Mondo. Paragonando questa regione privilegiata al rimanente della penisola, merita il nome d'Arabia Felice , e mercè del contrapposto de' suoi dintorni comparisce agli occhi dell'immaginazione bella e pomposa di tutti gl'incanti della favola, che per la lontananza ha preso il credito della verità; si è supposto che la natura avesse riservato a questo paradiso terrestre i suoi favori più singolari, e le sue opere più curiose; che gli abitanti vi godessero di due cose che sembrano incompatibili; lusso e innocenza; che il suolo ridondasse d'oro e di pietre preziose 7 7 Agatarcide afferma che vi si trovavano pezzi d'oro vergine, la cui grossezza variava da quella d'una oliva a quella d'una noce; che il ferro valea due volte e l'argento dieci volte più dell'oro ( De mari Rubro , p. 60.). Questi tesori, veri o immaginarii, si son dileguati, e non si conosce al presente nell'Arabia una sola miniera d'oro. (Niebuhr, Description , p. 124).
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