Carlo Botta - Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo V
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Carlo Botta
Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo V
LIBRO DECIMOTTAVO
Accidenti fierissimi, e pieni di sangue nel regno di Napoli. Estremo coraggio delle due parti. Il cardinal Ruffo si fa padrone di Napoli. Uccisioni crudelissime che vi seguono. I castelli si arrendono al cardinale, ed agli alleati con patto, che siano salve le vite, e le sostanze dei repubblicani. Nelson sopraggiunto rompe la fede; supplizj lagrimevoli: si ristaura in tutto il regno l'autorità regia. Lo stato Romano viene in potestà dei confederati, eccettuata Ancona. Singolar risoluzione di Lahoz, generale Italiano, e sua morte. Bella difesa del generale Monnier in Ancona: finalmente si arrende con patti onorevoli. Tutta l'Italia a divozione dei confederati.
L'ordine della storia mi chiama adesso a cose maggiori: molto sangue civile versato dalle bajonette, molto dalle mannaje; Italiani straziati da forestieri, Italiani straziati da Italiani; pensieri smisurati da ambe le parti; la crudeltà sotto nome di giustizia, un coraggio estremo in casi estremi; il valore contaminato dalla perfidia; Russi, Tedeschi, Turchi, Inglesi, Napolitani, Romani, Toscani in un viluppo; aquile bianche con un becco, aquile nere con due becchi, leopardi con le rampe, la repubblicana donna, la Nostra Donna, la Ottomana luna, la croce dei cristiani sulle bandiere; l'inferiore Italia tutta sdegnata, furibonda, sconvolta, sanguinosa; discorsi civili, opere barbare, proteste d'umanità, età da Genserico; e chi vanta i tempi moderni, non so di qual razza sia. Ferdinando, Carolina, Acton eransi ritirati in Sicilia, lasciando Napoli in mano dei Francesi, che badavano ai fatti loro, ed ai Napolitani, amatori della libertà, che sognavano la repubblica. Ma non se ne stava il governo regio senza speranza, che le sue cose avessero presto a risorgere, perchè non ignorava la forte lega, che si era ordita in Europa contro la Francia, e sapeva, che i dominj dei Francesi nei paesi forestieri, massimamente in Italia, sono sempre brevi. Egli medesimo si era congiunto per trattati d'alleanza con le potenze, che facevano o volevano far la guerra ai Francesi. Già fin dall'anno ultimo aveva stipulato con l'Austria, che in caso di guerra e d'invasione di territorj, Napoli avesse ad ajutar l'imperatore con quarantamila soldati, l'Austria Napoli con ottantamila; e se quando il re corse contro i Francesi a Roma, l'imperatore non accorse in suo ajuto, ciò fu, perchè, essendo il re l'aggressore, non era caso d'invasione, e perciò non d'alleanza; nè l'Austria aveva preste le armi, come ella avrebbe desiderato. Aveva anche il re contratto amicizia con la Gran Brettagna per un trattato, pel quale il re Giorgio si obbligava a tenere una grossa armata nel Mediterraneo a tutela e conservazione degli stati Napolitani, e il re Ferdinando si dichiarava obbligato a tener aperti i porti alle navi Inglesi, a dare all'Inghilterra tre mila marinari, ed a congiungere con l'armata Britannica quattro navi di fila, quattro fregate, e quattro altri legni più sottili. Poi Nelson vittorioso molto confortava le Siciliane speranze. Medesimamente per un trattato concluso con l'imperatore Paolo, si era la Russia obbligata a mettere sulla campagna in ajuto del re nove battaglioni di fanti, e ducento Cosacchi, gli uni e gli altri da aumentarsi in caso di pericolo prossimo, ed il re si obbligava dal canto suo a sborsare a Paolo centottantamila rubli pel viaggio, e a dare il vivere, quando fossero giunti nel regno, a quei settentrionali soldati. Perchè poi quella repubblica Francese, che era per se stessa una tanto strana apparenza, avesse a produrre nel mondo accidenti ancor più strani, il re Ferdinando aveva fatto alleanza coi Turchi, con avergli il gran Signore promesso, che manderebbe ad ogni sua richiesta, e senza alcun suo aggravio diecimila Albanesi in suo ajuto. Quest'erano le promesse, e le capitolazioni dell'Europa civile, e dell'Europa barbara in favor di Ferdinando: gli scorticatori delle teste Francesi dovevano venir ad usare l'immanità loro sotto il dolce clima delle Napolitane contrade. A questo dava favore e facilità la conquista di Corfù fatta dai Russi e dai Turchi, quando appunto gli ajuti loro erano divenuti più necessarj al re Ferdinando. Era arrivato il tempo propizio a riconquistare il regno per la ritirata di Macdonald da Napoli. Non aveva la repubblica messo forti radici nel regno, sì pel duro dominio dei repubblicani di Francia, sì per le astrazioni di quelli di Napoli, e sì finalmente per gl'ingegni mobili dei Napolitani.
Sperava adunque Ferdinando negli ajuti degli alleati, e nelle inclinazioni dei popoli. Per conservarsi la grazia dei primi aveva in Sicilia tenuto Acton in istato, per muovere i secondi mandato Ruffo in Calabria. Già abbiamo narrato, come il cardinale, creato l'esercito cogli aderenti proprj, poi ingrossato coi nemici dei repubblicani, aveva mosso a romore, e ricondotto alla obbedienza le due Calabrie quasi tutte, la terra di Otranto, la terra di Bari, ed il contado di Molise. Gente feroce ogni giorno a gente feroce si accostava, i più per sete di vendetta, o per avidità di sacco, pochi per amore del nome regio. Uomini scelerati si segnavano con la croce di Cristo, in ogni luogo invece degli alberi della libertà, piantavano le croci, venerato e santo segno, posto in mezzo al sangue ed alle rapine. Erano accorsi con le bande loro al cardinale, Proni, Mammone, Sciarpa, frà Diavolo, Decesari, dei quali io non so dir altro, se non che deploro la causa regia di avergli avuti per difensori. Un'altra mossa popolare era sorta, che molto ajutava il cardinale, per instigazione del vescovo di Policastro, contro il governo repubblicano, la quale su le rive del Mediterraneo correndo, minacciava Salerno e Napoli. Anche il conte Ruggiero di Damas correva le campagne con uomini speditissimi, e sollevava a furore quelle popolazioni tanto facili ad esser concitate. Il cardinale, vedutosi forte, elevava l'animo a maggiori imprese. Perlochè, volendo torre alla capitale del regno quel pingue granajo della Puglia, e facilitare anche in quelle spiagge gli sbarchi dei Turchi e dei Russi, s'incamminava contro Altamura, perchè andando all'impresa di Puglia, non voleva lasciarsi dietro quel seggio di forti repubblicani. Fattosi sotto le mura, ed intimata la resa, gli fu risposto audacemente da quei di dentro, che niun'altra risposta volevano dare, se non di armi. Amavano veramente la repubblica, ed erano uomini di gran cuore: l'arrendersi poi non sarebbe stato meno pericoloso che il combattere, per la natura della gente sfrenata, con la quale avevano a fare. Diede il cardinale furiosamente la batterìa, e quantunque gli Altamurani virilmente si difendessero, aperta la breccia, vi entrarono i cardinalizj per estrema forza, e recarono in mano loro la terra. Qui le cose che successero, io che già tante orribili ne ho descritto, ripugno a raccontare. Solo dirò, che se Trani ed Andria furono sterminate dai repubblicani, con uguale immanità fu sterminata la miseranda città di Altamura. Usossi il ferro, usossi il fuoco, e chi più incrudeliva, era miglior tenuto, e chi mescolava gli scherni, le risa, gli orribili oltraggi contro la pudicizia alle preghiere supplichevoli, ed alle lamentazioni disperate dei tormentati o degli immolati, era da quegli uomini disumanati applaudito. Queste cose si facevano in cospetto di un cardinale di santa chiesa, o lui comandante, o lui tollerante, o lui contrastante, degno di eterno biasimo nei due primi casi per l'atto, degno ancora di riprensione nell'ultimo per non avere abborrito dal continuar a reggere gente, a cui era diletto lo stuprare, il rubare, il tormentare, l'uccidere. Da tante crudeltà volle Iddio, o piuttosto gli uomini sfrenati che in nome suo parlavano, che fosse accompagnata la restituzione della monarchìa e della religione in Napoli: quest'erano le opere dell'esercito, che col nome di cristiano s'intitolava. Ad uguale sterminio fu condotta la città di Gravina prossima ad Altamura, e posta sulla strada per la Puglia.
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