Carlo Botta - Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo V
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Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo V: краткое содержание, описание и аннотация
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Sul bel principio mandarono dicendo al corpo legislativo, che Pignatelli di Monteleone, e Bruno di Foggia, entrambi di esso corpo, erano aristocrati, perchè avevano reso partito contro la legge dei feudi; perciò volevano, che, chiesta licenza, se n'andassero, e non guardassero indietro; quando no, gli avrebbero ammazzati. Deputati a portar quest'insolente imbasciata furono Luigi Serio, e Gaetano Rossi. Gli accompagnavano cinquecento arrabbiati con le coltella in mano, intuonando che venivano per ammazzar Pignatelli e Bruno, se colle buone non se n'andassero. Fuvvi dentro un gran contrasto, perchè chi voleva cedere, chi resistere, nè potendo accordarsi se ne volevano riparar alle case. Ma gli uomini con le coltella intimavano loro, badassero a far l'ufficio. Poi non contenti al Pignatelli e al Bruno, rintuonarono, che il Doria ministro di marina, come vile per avere domandato i passaporti, avesse congedo ancor esso; quando no, l'ammazzerebbero. Non vi era luogo ad elezione: e però i tre accusati presero congedo da loro medesimi. Altri magistrati accusavano, e quanti ne accusavano, tanti erano esclusi, l'adunanza dell'accademia dei nobili dominava: regnava un'orribile anarchìa. Poi per far vedere, che se atterrivano gli altri, non avevano paura essi, immaginarono un registro, dove tutti, come membri dell'adunanza, avessero a scrivere i nomi loro. Scrissergli in effetto. I più savi consentirono, perchè avendo i nomi di tutti, speravano di potergli avvertire, quando fosse venuta la necessità del doversi salvare, per non cadere nelle mani dei regj. Questo registro divenne poscia, quando i regj si fecero padroni di Napoli, un libro di morte, perchè, trovato, furono giudicati senza remissione tutti coloro, che l'avevano segnato coi loro nomi.
In questo mentre niuna cosa lasciavano intentata per infiammare il popolo. Tutti che portavano il nome di Ferdinando, si sbattezzavano con dire, che non volevano avere in se cosa, che gli assomigliasse ad un tiranno. Cassio, Bruto, Timoleone, Armodio, Catone, ed altri simili nomi andavano per le bocche di tutti. Chi invocava Masaniello, chi il gigante di palazzo: il Sebeto negl'innumerevoli versi parlava, e prediceva gran destino alla Partenopea repubblica. Le tragedie di Alfieri, e le più forti, si recitavano in presenza di un concorso infinito di uditori, e tratto tratto ecco alzarsi un predicatore: quest'era spesso una persona civile, e spesso ancora un idiota, o un prete, o un frate, o un laico. Badate, diceva costui, rivoltandosegli in un momento tutte le genti intente ad udirlo, badate, diceva, o cittadini, che questo caso è caso nostro, o fosse di Bruto, o fosse di Virginia, o fosse di Timoleone. Tutti applaudivano; poi si continuava a recitar la tragedia. Ed ecco un altro predicatore sorgere, e dire, che bisognava ammazzar tutti i tiranni: le Napolitane grida andavano al cielo: così tra il predicare e il recitare si arrivava allo spegnere dei lumi. Fuori poi i discorsi erano ancor più strani, che nel teatro: le novelle che si spargevano, sentivano anch'esse dello stravagante. Gli accidenti favorevoli si esageravano, gli avversi si tacevano; la repubblica era giunta al suo fine, e molti predicavano, ed alcuni credevano, che fosse per essere eterna. Eleonora Fonseca scriveva un monitore, giornale, in cui pubblicava continuamente vittorie di repubblicani, sconfitte di regj, arrivi di flotte soccorritrici di Francia. In piazza di mercato una società, che filantropica si chiamava, aveva a cielo aperto rizzato una scuola per ammaestrar lazzaroni, e per far loro capire, che dolce e bella cosa fosse la repubblica. Per riuscir meglio nell'intento, si mettevano alla medesima condizione con loro, ed ora questa, ed ora a quella taverna andando, se ne stavano con quegl'incolti plebei a piè pari mangiando e bevendo. Usavano i filantropi anche la religione, predicando continuamente, che il vescovo d'Imola Chiaramonti aveva con solenne lettera pastorale inculcato, che le massime democratiche erano massime del Vangelo, e che per esser buoni democrati bastava esser buoni cristiani. Per questo avevano fatto opera, che un Michelagnolo Ciccone, frate, trasportasse il Vangelo in volgar Napolitano, e le massime democratiche principalmente inculcasse. Esortaronsi i parochi ed i preti a raccomandare queste massime dai pulpiti, e il fecero. Un Benoni, frate francescano, uomo nè senza dottrina nè senza eloquenza, in mezzo alla piazza reale, ed a piè dell'albero della libertà, con un crocifisso in mano predicava ogni giorno, facendo continue e vivissime invettive contro il re, contro la famiglia reale, contro la monarchìa. Chiamava ne' suoi discorsi Gesù Cristo, e i Santi; affermava con parole efficacissime che tutti furono democrati, che sempre avevano predicato l'uguaglianza e la fratellevole carità: che sull'uguaglianza e sulla carità fraterna erano fondati tutti gli ordini monastici, massimamente quello del serafico padre san Francesco: e quivi infiammandosi dava col crocifisso la benedizione ai popoli. L'arcivescovo di Napoli ordinava preci per la repubblica; decretava, che nissuno, che avesse macchinato la rovina dello stato repubblicano, potesse ottener l'assoluzione, se non in articolo di morte; chiamava nelle sue pastorali Ruffo scellerato, impostore, nemico di Dio e degli uomini.
In mezzo a tutto questo, essendo giunto il tempo solito del mese di maggio, si fece con molta pompa la processione del Santo. I democrati mandarono dicendo ai custodi, pregassero molto bene, perchè san Gennaro facesse il miracolo, ed essi molto bene pregarono, ed il sangue in men che non fa due minuti, si squagliò: gridarono i lazzaroni, san Gennaro esser fatto democratico.
Ma i rimedi finora raccontati riuscivano insufficienti senza le buone armi. In questo i repubblicani avevano molta fede in Mantoné, ministro della guerra, uomo di animo fortissimo, repubblicano gagliardo, e che appunto pel suo coraggio smisurato errò; egli era per mandato del governo ordinator supremo di quanto s'appartenesse all'armi, ed alla difesa della repubblica. Chiamò a se gli ufficiali e soldati, che erano stati ai servigi del re, offerendo loro vitto e soldo, finchè fossero descritti in corpi regolari. Ma non potendo l'erario bastare a tanto dispendio, oltre le tasse, che per quanto si poteva senza mal umore dei popoli si riscuotevano, poneva mano a rimedi straordinarj. A persuasione di lui, e per ordine del governo s'invitarono gli amatori dello stato nuovo ad offerir doni in oro, od argento coniato o vergato, in sovvenimento della repubblica: fecersi capi di quest'impresa due gentildonne molto ragguardevoli, tanto per la virtù dell'animo, quanto per le forme del corpo; andavano per le case, raccomandavano la repubblica. Di queste pietose donne non tace il nome la storia; furono le duchesse di Cassano, e di Popoli. Raccolsero tanto denaro, che bastò per ordinar tre legioni di veterani; si aggiunsero per maggior sicurezza alcuni nuovi soldati fra coloro, che amavano la repubblica. Dieronsi la prima a reggersi a Schipani, la seconda ad Ettore di Ruvo, la terza ad un Belpuzzi, che aveva veduto le guerre di Buonaparte. Marciavano Schipani contro Sciarpa, Ettore contro Proni, Belpuzzi contro Ruffo. Per sicurezza poi di Napoli, Mantoné ordinava meglio la guardia urbana, e tentava di accalorarla in favore della repubblica. Le diede armi e bandiere con pompa solenne, e per generale primo Bassetta, per secondo Gennaro Serra, per terzo Francesco Grimaldi e Antonio Pineda, uomini valorosi, e nei quali con tutto l'animo confidava. Per avvezzarla agli usi di guerra, la faceva armeggiare ogni giorno. Commetteva alla fede del generale Federici la custodia di Napoli, a Massa Castelnuovo, al principe di Santa Severina castel dell'Uovo. Buoni ordinamenti erano questi, ma la guerra più forte di loro; nè Mantoné o che non sel credesse egli pel gran coraggio che aveva, o che s'infingesse per non ispaventare, non aveva fatto provvedimenti più gagliardi. E siccome era sempre riuscito vincitore contro i regj, che si erano mossi contro la repubblica prima che il cardinale si muovesse, aveva questo moto il cardinale in piccolo concetto, e non pensava, che fosse per avere un fine diverso da quello, che i primi avevano avuto. Per la qual cosa si persuadeva, che le legioni create fossero bastanti a frenare i regj nelle provincie, e ritornarle sotto l'obbedienza del governo popolare. Ma ebbe la guerra assai diverso successo; perchè Belpuzzi, conoscendo la impossibilità di far fronte ai regj, che d'ogn'intorno uscendo dai boschi, e calando dalle montagne, l'infestavano, abbandonata l'impresa, se n'era ritornato a Napoli. Ferocemente aveva combattuto negli Abruzzi Ettore di Ruvo, ma assalito ed attorniato da un numero di nemici molto superiore, fu costretto a cercar ricovero contro il furore dei sollevati dentro le mura di Pescara. Schipani rotto da Sciarpa, per ultimo rifugio si era ritirato a Napoli. Così Ruffo vincitore in ogni parte, inondando con le sue genti tutto il paese all'intorno, si era avvicinato alla capitale. Vide allora Mantoné, che i moti del cardinale erano per risolversi non in romori, ma in effetti, che la fortuna minacciava, e che i rimedi ordinari più non bastavano. Preparavasi ad uscir egli stesso contro il nemico con sei mila soldati; creò primieramente per custodia di Napoli una legione di fuorusciti Calabresi, i quali, perchè parteggiavano per la repubblica, cacciati a furia dalle case loro per le armi di Ruffo, si erano riparati nella capitale, uomini fieri, bellicosi, arrabbiati per le ingiurie recenti. I loro compatriotti, che militavano col cardinale, si mostravano disposti a far cose enormi pel re, ma essi erano risoluti a farne per la repubblica delle ugualmente enormi. Erano nel novero di due mila: e perchè ognuno fosse chiaro di quanto valevano, e di quanto si proponevano, pubblicarono, fra le altre, queste parole: «Noi vogliamo sangue; noi cerchiam morte; darla, o riceverla è per noi tuttuno: solo vogliamo, che la patria sia libera, e noi vendicati». Rispondeva loro Mantoné: «Compiacersi nel vedere quei moti generosi degli animi loro, nè poter perire la repubblica, che eroi, come eglino, aveva per difensori».
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