Edward Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 8
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- Название:Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 8
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Queste speranze potevano sortire l'effetto, se non si fosse opportunamente richiamato il conquistator dell'Italia alla difesa dell'Oriente 63 63 Nell'istoria pubblica di Procopio ( Persic. l. II c. 16, 18, 19, 20, 21, 24, 25, 26, 27, 28). Con qualche piccola eccezione, noi possiamo ragionevolmente chiuder l'orecchio alle maligne insinuazioni degli Aneddoti (c. 23 colle note, secondo il solito, dell'Alemanno).
. Mentre Cosroe proseguiva gli ambiziosi suoi disegni sulla costa dell'Eussino, Belisario, alla testa di un esercito senza paga e senza disciplina, si accampò di là dall'Eufrate, in distanza di sei miglia da Nisibi. Egli meditava di trar fuori, con una scaltra operazione, i Persiani dall'inespugnabile lor cittadella, e di accrescere il suo vantaggio nel campo, o col tagliare ad essi la ritirata, o forse coll'entrar nelle porte, in una co' Barbari fuggitivi. Egli si avanzò, pel tratto di una giornata, sul territorio della Persia, espugnò la fortezza di Sisaurana, e ne mandò il Governatore, insieme con ottocento scelti soldati a cavallo, a servire l'Imperatore nelle sue guerre d'Italia. Areta ed i suoi Arabi, spalleggiati da mille e dugento Romani, passarono, per suo comando, il Tigri onde portarsi a devastar le messi della Siria, fertile provincia che da lungo tempo non aveva sentito le calamità della guerra. Ma l'intrattabile indole di Areta sconcertò i divisamenti di Belisario, col non rieder più al campo, nè trasmettere alcun avviso de' suoi movimenti. Il Generale romano, pieno di ansiosa aspettazione, non ardiva togliersi dal sito in cui era. Passò frattanto il tempo di agire; il cocente Sole della Mesopotamia accendeva le febbri nel sangue de' soldati europei; e le truppe e gli ufficiali della Siria, trovandosi immobili in campo, affettavano di paventare per la salvezza delle loro città, che prive erano di difesa. Nulladimeno questa diversione aveva già ottenuto il buon esito di costringere Cosroe a tornarsene indietro con perdita e fretta; e se l'abilità di Belisario avesse avuto la disciplina ed il valore in soccorso, i suoi successi avrebber forse appagate le ardenti brame del comun della gente, che dalla sua mano chiedeva la conquista di Ctesifonte e la liberazione dei prigionieri di Antiochia. Sul finire della campagna, egli fu richiamato a Costantinopoli da una Corte ingrata, ma i pericoli della seguente primavera gli fecero restituire la confidenza e il comando; e l'Eroe, quasi solo, fu spedito colla celerità dei cavalli di posta, a respingere l'invasione della Siria, mediante la forza del suo nome e della sua presenza. Egli trovò i Generali romani, tra i quali era un nipote di Giustiniano, imprigionati dai loro timori dentro le fortificazioni di Gerapoli. Ma in luogo di porgere ascolto ai timidi loro consigli, Belisario ordinò che lo seguissero all'Europo dove avea divisato di raccogliere le sue forze, e di eseguire qualunque cosa Iddio gl'inspirasse di intraprendere contro il nemico. La ferma sua attitudine sulle rive dell'Eufrate rattenne Cosroe dall'avanzar contro la Palestina, ed egli accolse con arte e con dignità gli Ambasciatori, o per meglio dire le spie del Monarca persiano. La pianura tra Gerapoli e il fiume era coperta dagli squadroni di cavalleria, composti di seimila alti e robusti cacciatori che inseguivano la preda loro, senza paventare nemici. Sull'opposto lido gli Ambasciatori scorgevano un migliaio di cavalli armeni, che parevano guardare il passo dell'Eufrate. Di grossolana tela era la tenda di Belisario, qual semplice arredo di un guerriero che aveva il lusso dell'Oriente a disdegno. Intorno alla sua tenda, con artificiosa confusione stavano disposte le nazioni che movevano sotto i suoi segni. I Traci e gli Illirici occupavano la fronte, gli Eruli ed i Goti si tenevan nel centro; chiuso era il prospetto dai Mori e dai Vandali, e la sciolta loro ordinanza pareva moltiplicare il lor numero. Vestiti erano alla leggiera, e svelti si mostravano nell'operare; un soldato aveva in mano uno staffile, un altro una spada, un terzo portava un arco, un quarto forse maneggiava un'azza, e tutta la scena nel suo complesso mostrava l'intrepidezza delle truppe e la vigilanza del Capitano. Ingannato fu Cosroe dall'avvedutezza, ed intimorito dal genio del Luogotenente di Giustiniano. Conoscendo il merito, ed ignorando la forza del suo antagonista, non gli bastò il cuore di commettere una decisiva battaglia in un lontano paese, d'onde nessun Persiano fosse tornato a raccontare la malinconica istoria. Sollecito fu il Gran Re a ripassare l'Eufrate, e Belisario ne pressò la ritirata, coll'affettare di opporsi ad una determinazione così salutare all'Impero, e che appena si sarebbe potuto impedire con un esercito di centomila soldati. L'invidia suggerì all'ignoranza ed all'orgoglio che si era lasciato fuggire il pubblico nemico: ma i trionfi, affricano e gotico, furono men gloriosi di questa vittoria, ottenuta senza sangue e fatica, nella quale nè la fortuna, nè il valor dei soldati poterono sottrarre parte veruna alla fama del comandante supremo. Dalla guerra di Persia, Belisario fu mandato una seconda volta a quella d'Italia, ed allora si fece palese la grandezza dell'individuale suo merito, che aveva riparato o supplito alla mancanza della disciplina e del coraggio. Quindici Generali, senz'accordo e senza perizia, condussero in mezzo ai monti dell'Armenia un esercito di trentamila Romani, che nessun'attenzione porgevano ai segnali, all'ordinanza e alle insegne. Quattromila Persiani, trincerati nel campo di Dubi, vinsero quasi senza combattere questa moltitudine disordinata. Le inutili arme loro giacquero sparse lungo la strada, e perirono i loro cavalli, oppressi dalla fatica del frettoloso fuggire. Ma gli Arabi, che combattevano pei Romani, superarono i loro compatriotti della contraria parte; gli Armeni tornarono all'obbedienza dell'Imperatore, le città di Dara e di Edessa sostennero un assalto improvviso ed un regolare assedio, e le calamità della guerra furono sospese dal furor della peste. Una tacita o formale convenzione tra i due Sovrani, protesse la tranquillità della frontiera orientale; e le armi di Cosroe si ristrinsero alla guerra Colchica o Lazica, che dagli storici del tempo troppo minutamente vien rapportata 64 64 La guerra Lazica, la contesa di Roma e della Persia sul Fasi, è noiosamente tessuta in molte pagine da Procopio ( Persic. l. II c. 15, 17, 28, 29, 30. Gothic. l. IV c. 7-16) e da Agatia (l. II, III, p. 55-132, 141).
.
La maggior lunghezza del Mare Eussino 65 65 Sallustio descrisse in Latino, ed Arriano in Greco il Periplo , ossia la navigazione intorno al mare Eussino. 1. Debrosses primo Presidente del Parlamento di Digione ha restituito con singolar cura l'opera del primo che più non esiste ( Hist. de la Republique Romaine , t. II l. III p. 199-298). Egli ha il coraggio di assumere il carattere dello storico romano. La sua descrizione dell'Eussino è ingegnosamente formata di tutti i frammenti dell'originale, e di tutti gli autori Greci e Latini che Sallustio potè copiare, o da cui potè esser copiato. Il merito dell'esecuzione fa perdonare la stranezza del disegno. 2. Il Periplo di Arriano è indirizzato all'Imperatore Adriano (in Geograph. Minor. Hudson, t. I), e contiene tutto ciò che il Governatore del Ponto avea veduto da Trebisonda a Dioscurias, tutto ciò che aveva udito da Dioscurias al Danubio, e tutto ciò che sapeva dal Danubio a Trebisonda.
, da Costantinopoli all'imboccatura del Fasi, si può valutare di nove giornate, o di settecento miglia. Dal Caucaso Ibero, che forma la più alta e scoscesa giogaia dei monti dell'Asia, scorre giù il Fasi con tale obbliqua furia che, in un breve spazio, da cento e venti ponti è attraversato il suo corso. Nè placido e navigabile diviene il fiume, sinchè non arriva alla città di Sarapana, cinque giornate distante dal Ciro, fiume che giù scende dagli stessi gioghi, ma, seguendo un contrario corso, va a gettarsi nel Caspio. La prossimità di questi fiumi ha suggerito l'uso, od almeno l'idea di trasportare le preziose merci dell'India giù per l'Oxo nel Caspio mare, e quindi farle risalire il Ciro, e colla corrente del Fasi condurle nell'Eussino e nel Mediterraneo. Nel raccogliere che fa successivamente le acque della pianura di Colco, muovesi il Fasi con diminuita rapidità, ma con peso accumulato. Esso ha sessanta braccia di profondità, e mezza lega di larghezza alla sua foce, ma una selvosa isoletta siede nel mezzo al canale: l'acqua del fiume, poi che ha deposto un sedimento terreo o metallico, galleggia sulla superficie delle onde marine, e non è più suscettiva di corrompersi. In un corso di cento miglia, quaranta dei quali si possono navigare da grossi vascelli, divide il Fasi la celebre regione di Colco 66 66 Oltre i molti cenni che ne fanno per occasione i poeti, gli storici, ecc., dell'antichità, possiamo consultare le geografiche descrizioni del Colco, lasciate da Strabone (l. XI p. 760-765) e da Plinio ( Hist. Nat. VI, 5, 19, ecc.).
, ossia la Mingrelia 67 67 Ho fatto uso di tre descrizioni moderne della Mingrelia e de' paesi adiacenti. 1. Del Padre Arcang. Lamberti ( Relations de Thevenot , part. I p. 31-52 con una Carta), il quale aveva tutta la dottrina e tutti i pregiudizi di un Missionario. 2 Di Chardin ( Voyages en Perse , t. I p. 54, 68-168); giudiziose ne sono le osservazioni; e le avventure a lui seguite in quel paese, instruiscono più delle sue osservazioni. 3. di Peyssonel ( Observations sur les Peuples barbares , p. 49, 50, 51, 58, 62, 64, 65, 71, ecc. ed un trattato più recente sur le Commerce de la mer Noire , t. II p. 1-53): lungo tempo egli è vissuto a Caffa, in qualità di Console di Francia: la sua erudizione val meno della sua sperienza.
, che su tre lati è fortificata dai monti dell'Armenia: la sua costa marittima si prolunga per circa duecento miglia, dai contorni di Trebisonda sino a Dioscurias, ed ai confini della Circassia. Rilassati da un'eccessiva umidità ne sono il suolo ed il clima: ventotto fiumi, oltre il Fasi e le tributarie sue acque, vanno a scaricarsi nel mare; ed il suono cupo che rende la terra, sembra indicare i canali che corrono sotterranei fra l'Eussino ed il Caspio. Nei campi dove si semina orzo o formento, la terra è troppo molle per sostenere l'azione dell'aratro; ma il gom , grano minuto, che somiglia al miglio od al seme di coriandro, somministra l'ordinario alimento del popolo; e soltanto i Principi e nobili del paese fanno uso del pane. Nondimeno la vendemmia è più abbondante che la messe; e la grossezza delle viti, non meno che la qualità del vino, mostra le buone qualità del terreno che non ha mestieri d'aiuto. La medesima interna fecondità tende del continuo a ricoprire di dense foreste il paese; il legname dei colli, ed il lino delle pianure forniscono in abbondanza le provvisioni navali; i quadrupedi selvaggi e domestici, il cavallo, il bue, il majale, sono prolifici singolarmente: il nome del fagiano esprime la nativa sua dimora sulle rive del Fasi. Le miniere d'oro, poste a mezzo giorno di Trebisonda, che vengono scavate anche ora con bastevol guadagno, furono soggetto di nazional disputa tra Giustiniano e Cosroe; e non è fuor di ragione il credere che una vena di prezioso metallo possa essere egualmente diffusa pel circolo delle colline, benchè questi tesori segreti siano trascurati dall'infingardaggine, o tenuti occulti dalla prudenza dei Mingrelj. Le acque, impregnate di particelle d'oro, vengono diligentemente fatte passare attraverso di pelli di pecora o velli, ma questo spediente, che forse diede origine ad una favola maravigliosa, offre una debole immagine della ricchezza tratta fuor della vergine terra dalla potenza ed industria degli antichi Sovrani. I loro palazzi d'argento e le camere d'oro eccedono la nostra facoltà di credere; ma la fama delle loro ricchezze ha eccitato, dicono, l'intraprendente avarizia degli Argonauti 68 68 Plinio, Hist. Nat. l. XXXIII, 15. Le miniere aurifere ed argentifere della Colchide trassero colà gli Argonauti (Strabone, l. I p. 77). Il sagace Chardin non potè rinvenir oro nelle miniere, nei fiumi, od altrove. Eppure un Mingrelio perdè una mano ed un piede per aver mostrato in Costantinopoli alcuni saggi d'oro nativo.
. Dalla tradizione si è riferito, con qualche color di ragione, che l'Egitto piantasse sul Fasi una colonia istruita e colta 69 69 Erodoto, l. II c. 104, 105, p. 150, 151. Diodoro Siculo l. I p. 33, ediz. Wesseling. Dionisio Perieget, 689, ed Eustazio ad loc. Scholiast. ad Apollonium Argonaut. l. IV, 282-291.
, la quale fabbricava tela, costruiva navi, ed inventò le carte geografiche. L'ingegno dei moderni ha popolato di floride città e nazioni l'Istmo che corre dall'Eussino al Mar Caspio 70 70 Montesquieu, Espr. des Lois , l. XXI c. 6. L'Isthme… couvert de villes et de nations qui ne sont plus.
; ed un vivace Scrittore, osservando la rassomiglianza del clima, e per quanto gli parea, del commercio, non esitò a denominare il Colco, l'Olanda dei tempi antichi 71 71 Bougainville ( Memoires de l'Acad. des Inscr. t. XXVI p. 33) sopra il viaggio affricano di Annone ed il commercio dell'antichità.
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