Edward Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 8
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- Название:Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 8
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Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 8: краткое содержание, описание и аннотация
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Uno Spartano avrebbe lodato e compianto la virtù di questi eroi schiavi: ma le tediose ostilità e gli alterni successi delle armi romane o persiane non possono trattenere l'attenzione della posterità ai piedi del monte Caucaso. Più frequenti e più splendidi vantaggi riportarono le truppe di Giustiniano; ma le forze del Gran Re del continuo crescevano, finchè montarono ad otto elefanti, ed a settantamila uomini, compresovi dodicimila alleati Sciti, e più di tremila Dilemiti, che per propria scelta discesero dalle rupi dell'Ircania, ed egualmente formidabili si mostravano nel combatter da lungi o da presso. I Persiani levarono, con qualche perdita e precipitazione, l'assedio di Archeopoli, nome imposto dai Greci, ovvero da essi corrotto; ma occuparono i passi dell'Iberia e signoreggiarono tutto il Colco coi forti e coi presidj loro: essi divorarono gli scarsi viveri del popolo; ed il Principe de' Lazi fuggì nel mezzo dei monti. La fede e la disciplina erano incogniti nomi nel campo romano; e gl'indipendenti condottieri, investiti di ugual potere, si contendevano fra loro la preminenza del vizio e della corruzione. I Persiani obbedivano, senza muovere accento, ai comandi di un solo Capo, il quale implicitamente si atteneva alle istruzioni del loro supremo Signore. Segnalato era il loro Generale tra gli eroi dell'Oriente per la sua sapienza in consiglio, ed il suo valore nel campo. L'attempata età di Mermeroe, la stroppiatura de' suoi piedi scemar non poterono l'attività del suo spirito, od anche del suo corpo; e nell'atto che lo portavano in lettiga sulla fronte della battaglia, terrore egli inspirava al nemico, e giusta fidanza alle truppe che sempre erano fortunate sotto le sue bandiere. Dopo la morte di lui, il comando passò a Nacoragan, satrapa orgoglioso, il quale in una conferenza coi Capitani imperiali, giunse alla baldanza di dichiarare ch'egli disponeva della vittoria come dell'anello che portava nel dito. Un presumer siffatto fu la natural cagione ed il precursore di una vergognosa sconfitta. I Romani a poco a poco erano stati respinti sino al lido del mare; e l'ultimo lor campo, posto sulle rovine della colonia greca del Fasi, era difeso per ogni verso da forti trincee, dal fiume, dall'Eussino e da una quantità di galere. La disperazione unì i consiglj, e rinvigorì le armi loro: essi fecero fronte all'assalto dei Persiani; e la fuga di Nacoragan precedè o seguì la strage di diecimila de' suoi più valorosi soldati. Egli fuggì dai Romani per cader negli artigli di un Sovrano non avvezzo a perdonare, il quale severamente punì l'errore della propria sua scelta. Lo sventurato Generale fu scorticato vivo, e la sua pelle imbottita e foggiata a forma umana fu esposta sulla cima di un monte, qual tremendo avviso per quelli a' quali la fama e la fortuna della Persia venissero di quindi innanzi affidate 86 86 Il supplizio di scorticare un uomo vivo non potè esser introdotto in Persia da Sapore (Brisson, de Regn. Pers. l. 2, p. 578), nè copiato dalla insulsa storiella di Marsia, suonatore di Frigia, più insulsamente citata, come esempio, da Agatia (l. 4 p. 132, 133).
. Con tutto ciò la prudenza di Cosroe insensibilmente cessò dal continuare la guerra colchica, giustamente persuaso esser impossibil cosa il soggiogare o per meno il tenere nell'obbedienza una lontana contrada, in opposizione ai desiderj ed agli sforzi degli abitatori di essa. La fedeltà di Gubaze sostenne il più rigoroso cimento. Con pazienza egli sopportò i travagli di una vita selvaggia, e con disdegno rigettò gli speciosi allettativi della Corte persiana. Il Re dei Lazi era stato educato nella religione cristiana; la sua madre era figlia di un Senatore; durante la sua giovinezza egli avea servito per dieci anni in qualità di silenziario nella Reggia di Bisanzio 87 87 Nel palazzo di Costantinopoli v'erano trenta silenziarj, che si chiamavano hastati ante fores cubiculi , της σιγης επισαται, onorevol titolo, che conferiva il grado di Senatore, senza imporne i doveri (Cod. Teodos. l. 6 tit. 23. Coment. del Gotofred. t. 2 p. 129).
, e gli arretrati di un non pagato stipendio erano per lui un motivo di fedeltà nel tempo stesso e di lagnanza. Ma il lungo durar de' suoi mali gli trasse finalmente di bocca un ignuda esposizione del vero; ed il vero era un'accusa da non perdonarsi contro i Luogotenenti di Giustiniano, i quali, in mezzo agli indugi di una rovinosa guerra avevano risparmiato i nemici, e calpestato gli alleati del loro Sovrano. Le maligne riferte loro posero nell'animo all'Imperatore che il suo vassallo meditasse di mancargli una seconda volta di fede: si sorprese un ordine di mandarlo prigioniero a Costantinopoli, e s'inserì una proditoria clausola ch'egli potesse legittimamente essere ucciso in caso di resistenza; laonde Gubaze, senz'armi e senza sospetti di pericolo, fu trucidato nella sicurezza di un abboccamento amichevole. Nei primi momenti dello sdegno e della disperazione, i Colchi avrebbero sacrificato la patria e la religione loro al piacere di conseguire vendetta. Ma l'autorità ed eloquenza dei pochi più saggi ottenne una salutar dilazione: la vittoria del Fasi ristabilì il terrore delle armi romane, e l'Imperatore si recò a premura di assolvere il proprio nome dall'imputazione di un sì nero assassinio. Ad un giudice di grado senatorio fu commesso di far indagini intorno alla condotta ed alla morte del Re dei Lazi. Egli salì sopra un tribunal maestoso, circondato dai ministri della giustizia e del punimento: al cospetto delle due nazioni si piatì questa straordinaria causa secondo le forme della Giurisprudenza civile, ed un popolo oltraggiato ottenne qualche soddisfazione, mediante la sentenza ed il supplizio dei delinquenti inferiori 88 88 Intorno a queste orazioni giudiciali, Agatia (l. 3 p. 81-89, l. 4 p. 108-119) spende diciotto o venti pagine di una falsa e fiorita rettorica. L'ignoranza o trascuranza di lui giunge al segno di passare in silenzio il più forte argomento contro il Re di Lazica cioè l'antecedente sua ribellione.
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In tempo di pace, il Re di Persia continuamente cercava i pretesti di una rottura, ma non così tosto aveva dato di piglio alle armi, che manifestava il suo desiderio di un sicuro ed onorevole accordo. Mentre le ostilità più infierivano, i due Monarchi mantenevano ingannevoli pratiche fra loro; e tale era la superiorità di Cosroe, che trattando egli con insolenza e disprezzo gli Oratori romani, otteneva i più grandi ed insoliti onori pe' suoi ministri alla Corte imperiale. Il successore di Ciro assumeva la Maestà del Sole orientale, e graziosamente permetteva che il suo minor fratello Giustiniano regnasse sopra l'Occidente, col pallido e riflesso splendor della Luna. Questo gigantesco stile era sostenuto dalla pompa ed eloquenza di Isdiguno, ciamberlano reale. La moglie e le figlie lo accompagnavano con numeroso seguito di Eunuchi e di Cammelli; si scorgevano due Satrapi con aurei diademi nel numero de' suoi seguaci: cinquecento soldati a cavallo, i più valorosi fra i Persiani, gli servivan di guardia; ed il Governatore romano di Dara saviamente ricusò di ammettere nella città più di venti individui di questa marziale ed ostil carovana. Poscia che Isdiguno ebbe salutato l'Imperatore ed offerto i suoi doni, passò dieci mesi in Costantinopoli senza discutere alcun serio affare. In luogo di esser confinato nel suo palazzo, e ricevervi il cibo e l'acqua dalle mani de' suoi custodi, l'Ambasciatore persiano, senza spie e senza guardie, ebbe permissione di girar per la capitale; e la libertà di parlare e di trafficare che i suoi serventi godevano, offendeva i pregiudizj di un secolo che rigorosamente senza confidenza e senza cortesia praticava la legge delle nazioni 89 89 Procopio espone l'usanza della Corte gotica di Ravenna ( Goth. l. 1 c. 7). Gli Ambasciatori stranieri sono stati trattati con gelosia e rigor non diverso in Turchia (Busbechio, ep. 3 p. 149, 242 ecc.), in Russia (Viaggio di Oleario), e nella China (Relazione del sig. di Lange ne' viaggi di Bell, vol. 2 p. 189-311).
. Per un'indulgenza senza esempio il suo interprete, il quale era nella classe dei servi ed al di sotto degli sguardi di un magistrato romano, sedeva alla mensa di Giustiniano al fianco del suo signore, e si assegnarono mille libbre d'oro per la spesa del viaggio e pel mantenimento di questo pomposo Ambasciatore. Nondimeno le iterate cure di Isdiguno, non condussero che una parziale ed imperfetta tregua, sempre comprata coi tesori e rinnovata a preghiere della Corte di Bisanzio. Trascorsero molti anni d'inutile desolazione, prima che Giustiniano e Cosroe fossero astretti, dalla mutua stanchezza, a consultare il riposo dell'età loro che tramontava. Si tenne una conferenza sulle frontiere, in cui ambedue le parti, senza aspettarsi d'esser creduto, vantarono la potenza, la giustizia e le pacifiche intenzioni dei rispettivi loro Sovrani; ma la necessità e l'interesse dettarono il trattato di pace, che fu conchiuso per un termine di cinquant'anni. Esso diligentemente fu composto in lingua greca e persiana, ed i sigilli di dodici interpreti ne attestarono l'autenticità. Si stabilì e si definì la libertà del traffico e della religione; gli alleati dell'Imperatore e quelli del Gran Re furono chiamati a parte degli stessi benefizj e doveri; e si pigliarono le più scrupolose precauzioni onde prevenire e determinare le dispute accidentali, che potessero insorgere sui confini delle due nazioni nemiche. Dopo vent'anni di guerra distruttiva, ma debolmente spinta, i limiti rimasero quali erano prima; e Cosroe s'indusse a rinunziare le sue pericolose pretensioni al possesso od alla sovranità della Colchide e degli Stati che ne dipendevano. Ricco per gli accumulati tesori dell'Oriente, egli trasse ancora dai Romani un annuo pagamento di trentamila monete d'oro; e la picciolezza della somma lasciava scorgere il disonor di un tributo in tutta la sua nuda laidezza. In un dibattimento anteriore, uno dei ministri di Giustiniano, rammentando il carro di Sesostri e la ruota della fortuna, fece avvertire che la presa d'Antiochia e di alcune città della Siria aveva esaltato oltre misura il vano ed ambizioso animo dei Barbari. «T'inganni, replicò il modesto Persiano: il Re dei Re, il Signore degli uomini guarda con disprezzo così miseri acquisti; e delle dieci nazioni, domate dalle invincibili armi, egli considera i Romani come i men formidabili 90 90 Le pratiche ed i trattati tra Giustiniano e Cosroe si spiegano copiosamente da Procopio ( Persic. l. 2 c. 10, 13, 26, 27, 28. Goth. l. 2 c. 11, 15), da Agatia (l. 4 p. 141, 142) e da Menandro ( in Excerpt. Legat. p. 132-147). Si consulti Barbeyrac, Hist. des anciens Traités , t. 2 p. 154, 181-184, 193-200.
». Secondo gli Orientali, l'impero di Nushirvan si estendeva da Fergana nella Transoxiana, sino all'Yemen, o l'Arabia felice. Egli soggiogò i ribelli dell'Ircania, conquistò le province di Cabul e di Zadlestan sulle rive dell'Indo, ruppe la potenza degli Eutaliti, terminò con onorevole accordo la guerra de' Turchi, ed ammise la figlia del Gran Cane nel numero delle sue legittime mogli. Vittorioso e rispettato fra i Principi dell'Asia, egli dava udienza nella sua Reggia di Madain o Ctesifonte, agli Ambasciatori del mondo. I loro doni o tributi, di armi, di ricche vesti, di gemme, di schiavi e di aromi, umilmente venivano deposti al piè del suo trono; ed egli condiscendeva ad accettare dal Re dell'Indie dieci quintali di legno d'aloe, una fanciulla alta sette cubiti ed un tappeto più soffice della seta, formato, come essi narrano, colla pelle di uno straordinario serpente 91 91 D'Herbelot, Bibliot. Orient. p. 680, 681, 294, 295.
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