Edward Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 10
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- Название:Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 10
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Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 10: краткое содержание, описание и аннотация
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A comunicare le idee è necessaria la corrispondenza del linguaggio co' pensieri: nulla otterrebbe il discorso d'un filosofo nell'orecchio d'un paesano; ma quale differenza impercettibile è mai quella che si rinviene nelle loro intelligenze paragonate insieme, e quella che si scopre nel contatto d'una intelligenza finita con una infinita, la parola di Dio espressa dalla parola o dallo scritto d'un mortale! Può l'ispirazione de' profeti ebrei, degli appostoli, degli evangelisti di Gesù Cristo, non essere incompatibile coll'esercizio della loro ragione e memoria, e lo stile e la composizione de' libri nell'antico e nuovo Testamento dimostrano assai la diversità del loro ingegno. Si contentò Maometto alla figura più modesta, ma più sublime, di semplice editore; secondo lui e i suoi discepoli, la sostanza del Corano 104 104 V. sul Corano, d'Herbelot, p. 85-88; Maracci t. I. in vit. Mohammed , p. 32-45; Sale, Discours prélim. , p. 56-70.
è increata ed eterna; esiste nella essenza della divinità ed è stata inscritta con una penna di luce su la tavola de' suoi decreti eterni; l'angelo Gabriele, che nella religione Giudaica aveva ricevuto le più rilevanti missioni, gli recò, in un volume fregiato di seta e di gemme, una copia in carta di quell'Opera immortale, e il fedel messaggero gliene rivelò successivamente i capitoli ed i versetti. In vece di spiegare a un tratto il perfetto e immutabile esemplare del volere di Dio, ne pubblicò Maometto, come glien veniva talento, vari frammenti. Ciascheduna rivelazione è adattata a' bisogni diversi delle sue passioni, o della sua politica, e per sottrarsi al rimprovero di contraddizione pose per massima, che ogni testo era abrogato o modificato da qualche passo susseguente. I discepoli di Maometto scrissero accuratamente sopra foglie di palma, o su omoplati di agnello, le parole di Dio e quelle dell'appostolo, e queste diverse pagine forono gittate senz'ordine e senza connessione in un forziere che il Profeta diede in custodia ad una delle sue mogli. Due anni dopo la sua morte, Abubeker, amico e successore di lui, compilò ordinatamente e diede alla luce il sacro libro: il quale fu riveduto dal califfo Othmano nell'anno trentesimo dell'Egira, e le varie edizioni del Corano partecipano tutte al miracoloso privilegio di presentare un testo uniforme e incorruttibile. Sia fanatismo, sia vanità, dai pregi del suo libro ricava la prova della verità della sua missione: disfida arditamente uomini ed angeli ad imitare la bellezza d'una delle sue pagine, ed osa affermare 105 105 L'Alcorano contiene una farragine di moltissime cose, alcune delle quali sono oscure, altre paraboliche, ed enigmatiche; alcune altre si contraddicono. È vero, che i Maomettani dottori pretendono aver avuto L'Alcorano una derivazione divina, cioè esser venuto da Dio fino all'orbita della luna, dalla quale sia stato ogni versetto rivelato a Maometto dall'angelo Gabriele; ma secondo i migliori critici, il libro fu scritto per la massima parte da Maometto; altri pensano che un certo monaco Sergio, o Bhaira, cristiano nestoriano, sia concorso a scriverlo, tanto più che vi si nega la divinità di Cristo, siccome facevano i Nestoriani, e ne venne un miscuglio delle religioni ebraica, cristiana, ed antica arabica; la morale, nell'amore del prossimo, è simile alla cristiana; potrebbe Maometto averla presa anche dai libri di Confucio, legislator de' Chinesi; ma non sembra averne avuto contezza. (Nota di N. N.)
che Dio solo poteva dettare quello scritto 106 106 Corano c. 17, v. 89; Sale, p. 235, 236; Maracci, p. 410.
. Siffatto argomento fa grande impressione su l'animo di un devoto Arabo inclinato sempre alla credulità e all'entusiasmo, il cui orecchio è sedotto dal solletico de' suoni, e che per ignoranza è inetto a raffrontare insieme le diverse produzioni dello spirito umano 107 107 Credeva una Setta d'Arabi che la penna d'un mortale eguagliar potesse o sorpassare il Corano (Pocock, Specimen p. 221, etc.); e il Maracci (polemico troppo duro per un traduttore) mette in ridicolo l'affettazione di rime che si scontra nel passo più applaudito (tom. I, part. II, p. 69-75).
. Non potrà certamente nè l'armonia, nè la ricchezza dello stile dell'originale passare nelle traduzioni all'udito dell'infedele Europeo. Questi non iscorrerà che con impazienza quella interminabile e incoerente rapsodia di favole, di precetti, di declamazioni che rado inspira un sentimento o un pensiero, che striscia talvolta su la polvere, e talvolta si dilegua per le nuvole. Gli attributi di Dio esaltano l'immaginazione del missionario Arabo; ma i suoi tratti più sublimi son di molto inferiori alla nobile semplicità del libro di Giobbe, scritto nello stesso paese e nella lingua stessa, da tempo antichissimo 108 108 Colloquia (siano reali o favolosi) in media Arabia atque ab Arabibus habita , (Lowth, De poesi Hebraeorum praelect. 32, 33, 34, col Michaelis suo editore tedesco Epimetron IV). Il Michaelis per altro (p. 671, 673) ha notate molte immagini che vengono dall'Egitto, come l'elefantiasi, il papiro, il Nilo, il coccodrillo, ec. Ha caratterizzato l'idioma in cui è scritto il libro di Giobbe, colla denominazione equivoca di Arabico-Hebraea . La rassomiglianza de' dialetti procedenti dalla stessa fonte era assai più sensibile nella loro infanzia che nella maturità (Michaelis, p. 682; Schutens, in praefat Job ).
. Se la composizione del Corano sorpassa le facoltà dell'uomo, a qual intelletto superiore debbesi attribuire l'Iliade d'Omero, le Filippiche di Demostene? In tutte le religioni, la vita del fondatore supplisce al silenzio delle sue rivelazioni scritte: le parole di Maometto furono considerate come tante lezioni di verità, le sue azioni come esempi di virtù; dalle sue mogli, dai suoi compagni fu conservata la rimembranza di quanto avea detto e fatto in tutta la vita pubblica e privata. Due secoli appresso, il Sonna, o sia la legge orale, fu statuita e consacrata dal lavoro di Al-Bochari, il quale separò centomila dugentosettantacinque tradizioni autentiche da un ammasso di tremila più incerte o men vere. Ogni giorno soleva questo pio Autore trasferirsi a pregare nel tempio della Mecca. Ivi facea le sue abluzioni colle acque dello Zemzem; depose successivamente le sue carte su la cattedra e su la tomba dell'appostolo, e dalle quattro Sette ortodosse de' Sonniti fu approvata quell'Opera 109 109 Al-Bochari morì, A. H. 224. V. d'Herbelot, p. 208, 416, 827; Gagnier, Nota ad Abulfeda, c. 19, p. 33.
.
Da prodigi strepitosi era stata confermata la missione di Mosè e di Gesù, e gli abitatori della Mecca e di Medina eccitarono più volte Maometto a dare ugual pruova per la sua, a far discendere dal cielo l'Angelo e il libro che diceva d'averne ricevuto; a creare un giardino in mezzo al deserto, o a distruggere la città miscredente con un incendio. Tutte le volte ch'egli si sentia così cimentato da' Coreishiti, se ne sottrasse, vantando in modo oscuro il dono di visioni e di profezia; se ne appella alle pruove morali della sua dottrina, e si mette a coperto dietro la Providenza, la quale nega que' segni e quelle maraviglie che scemano il merito della fede, e la colpa aggravano della infedeltà; ma dal tuono modesto, o collerico, delle sue risposte trapela la debolezza e l'imbarrazzo suo, e que' passi sciagurati non lasciano dubbio veruno intorno all'integrità del Corano 110 110 V. soprattutto i capitoli 2, 6, 12, 13, 17, del Corano. Prideaux ( Vie de Mahomet , p. 18, 19) ha confuso quell'impostore. Il Maracci, che fa maggiore sfarzo di dottrina, ha dimostrato che i passi del Corano in cui si negano i miracoli di Maometto sono chiari e positivi ( Alcoran t. I, part. II, p. 7-12), e che sono ambigui e inconcludenti gli altri che sembrano affermativi (p. 12-22).
. I suoi Settari parlano de' suoi miracoli più asseverantemente di lui, e la franchezza della loro credulità va crescendo quanto più son lontani all'epoca e al luogo delle sue imprese spirituali. Credono essi, o assicurano, che andassero gli alberi ad incontrarlo; che fosse salutato da' sassi; che scaturisse acqua dalle sue dita; che nudrisse miracolosamente i famelici, sanasse gl'infermi, risuscitasse i morti; che una trave mandasse gemiti al suo cospetto; che un cammello gli dirigesse lagnanze; che una spalla di agnello lo avvisasse ch'era avvelenata, e che la natura vivente del pari che la morta fossero sottomesse all'appostolo di Dio 111 111 V. lo Specimen Hist. Arabum , il testo d'Abulfaragio (p. 17), le note di Pocock (p. 187-190), d'Herbelot ( Bibl. orient. , p. 76, 77 ), i viaggi del Chardin (t. IV, p. 200-203). Il Maracci ( Alcoran , t. I, p. 22-64) s'è affaticato a raccogliere o a confutare i miracoli, e le profezie di Maometto, che, secondo vari scrittori, ascendono a tremila.
. Fu descritto seriamente il suo sogno d'un viaggio che fece di notte, come se il fatto fosse vero e materiale. Un animal misterioso, il borak, lo trasportò dal Tempio della Mecca a quello di Gerusalemme, corse un dopo l'altro i sette cieli in compagnia dell'angelo Gabriele; nelle rispettive dimore dei Patriarchi, de' Profeti, degli Angeli ne ricevette, e restituì loro, la visita. Ebbe egli solo licenza di oltrepassare il settimo cielo; aperse il velame dell'unità; giunse a due tiri di dardo presso il trono di Dio, e tocco nella spalla dalla man dell'Altissimo, ne sentì tal freddo che gli passò il cuore. Dopo questa familiare e considerevole conversazione, calò di nuovo a Gerusalemme, risalì sul borak, tornò alla Mecca, e spese soltanto la decima parte d'una notte a compiere un viaggio di molte migliaia d'anni 112 112 Abulfeda ( in vit. Mohammed , c. 19, p. 33) narra assai minutamente questo viaggio notturno, ch'ei tratta da visione. Prideaux, che pure ne parla (p. 31-40), aggrava gli assurdi; e Gagnier (t. I, p. 252-343) dichiara, seguendo lo zelante Al-Jannabi, che negare quel viaggio è lo stesso che non credere al Corano. Il Corano peraltro non nomina in quel proposito nè il cielo, nè Gerusalemme, nè la Mecca; non lascia sfuggire che queste mistiche parole; Laus illi qui transtulit servum suum ab oratorio Haram ad oratorium remotissimum ( Koran , c. 17, v. I; nel Maracci, t. II, p. 407, poichè il Sale si fa lecita più libertà nella sua versione). Fondamento ben misero per l'aereo edificio della tradizione.
. Giusta un'altra leggenda confuse in un'adunata nazionale i Koreishiti i quali gli facevano una maliziosa disfida. La sua prepotente parola divise in due l'orbe lunare; l'obbediente pianeta si rimosse dal suo cammino, fece sette rivoluzioni intorno alla Caaba, e dopo aver salutato Maometto, in lingua Arabica, si impicciolì ad un tratto, entrò pel collo della sua camicia, e ne uscì per la manica 113 113 Maometto, nello stile profetico che adopera il presente o il passato in vece del futuro, avea detto: Appropinquavit hora et scissa est luna ( Koran , c. 54, v. I; nel Maracci, t. II, p. 688). Questa figura rettorica fu presa per un fatto che dicesi confermato da testimoni oculari i più degni di fede (Maracci, t. II, p. 990). I Persiani sogliono sempre celebrare la festa di questo avvenimento (Chardin, t. IV, p. 201); e Gagnier ( Vie de Mahomet , t. I, p. 183-234) noiosamente svolge tutta questa leggenda su la fede, per quel che pare, del credulo Al-Jannabi. Nondimeno un dottor Musulmano ha combattuto il testimonio principale (apud Pocock, Specimen , p. 187). I migliori interpreti spiegano il passo del Corano nel modo più semplice (Al-Beidawi, apud Hottinger, Hist. orient. , l. II, p. 302); e Abulfeda serba il silenzio che a un principe e ad un filosofo si conveniva.
. Queste novelle meravigliose son di trastullo all'uomo volgare, ma i più gravi autori Musulmani imitano la modestia del lor maestro, e lasciano una certa libertà di credenza o d'interpretazione 114 114 Abulfaragio ( in Specimen, Hist. Arab. , p. 17); e le autorità più rispettabili citate nelle note del Pocock (p. 190-194) vengono giustificando quello scetticismo.
. Potrebbono rispondere che per predicare la religione non era necessario rompere l'armonia della Natura; che una fede priva di misteri non ha uopo di miracoli, e che la spada di Maometto 115 115 Il buon credente troverà che non era da farsi cotal paragone. (Nota di N. N.)
non era men potente che la verga di Mosè.
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