Mikhail Bulgakov - Il Maestro e Margherita

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— Beva senza timore, — disse Woland, e Margherita prese subito in mano il bicchiere.

— Hella, siediti, — ordinò Woland, e spiegò a Margherita: — La notte del plenilunio è una notte di festa, e io ceno in una cerchia ristretta di familiari e di servitori. Dunque, come si sente? Com’è andato questo ballo estenuante?

— Un successo sbalorditivo, — prese a cicalare Korov’ev.

— Tutti erano incantati, innamorati, annichiliti. Che tatto, che saper fare, che fascino, che charme!

Senza parlare, Woland alzò il bicchiere e brindò con Margherita. Essa bevve docilmente, pensando che l’alcool l’avrebbe fatta morire seduta stante. Ma non accadde nulla di male. Un calore vivo le affluí al ventre, sentí come un colpo soffice alla nuca, le tornarono le forze, quasi si fosse alzata dopo un lungo bagno ristoratore, e inoltre le venne una fame da lupo. E ricordandosi che non aveva mangiato nulla dal mattino precedente, si sentí ancora piú affamata… Cominciò a ingoiare caviale.

Behemoth tagliò un pezzo di ananas, lo salò, lo cosparse di pepe, lo mangiò, dopo di che tracannò cosí baldanzosamente un secondo bicchiere di alcool, che tutti applaudirono.

Quando Margherita ebbe vuotato il secondo bicchiere, le candele nei candelabri si accesero di una luce piú viva e nel camino aumentarono le fiamme. Margherita non si sentiva affatto ubriaca. Mordendo la carne coi denti bianchi, s’inebriava del sugo che da essa colava e nello stesso tempo guardava Behemoth che spalmava di senape un’ostrica.

— Dovresti metterci sopra anche un po’ d’uva, — disse sottovoce Hella, dando una gomitata nel fianco del gatto.

— La pregherei di non darmi lezioni, — replicò Behemoth, — sono abituato a stare a tavola, non tema, oh, come ci sono abituato!

— Ah, com’è piacevole cenare cosí, accanto al fuoco, alla buona, — cianciava Korov’ev, — in una cerchia ristretta…

— No, Fagotto, — obiettò il gatto, — il ballo ha il suo fascino e la sua grandiosità.

— Non c’è in esso nessun fascino e nessuna grandiosità ma quegli stupidi orsi, e cosí pure le tigri del bar con i loro ruggiti mi hanno quasi fatto venire l’emicrania, — disse Woland.

— Ai suoi ordini, Messere, — disse il gatto. — Se lei trova che non c’è grandiosità, comincerò immediatamente a essere della medesima opinione.

— Bada, ve’! — replicò Woland.

— Scherzavo, — disse il gatto tutto umile, — e in quanto alle tigri, darò l’ordine di farle arrostire.

— Le tigri non si possono mangiare, — disse Hella.

— Crede? E allora, vi prego di stare a sentire, — rispose il gatto. E, socchiudendo gli occhi per la soddisfazione raccontò come una volta avesse errato dodici giorni nel deserto, nutrendosi esclusivamente della carne d’una tigre da lui uccisa. Tutti ascoltarono con viva attenzione questo racconto interessante, ma allorché Behemoth ebbe terminato tutti esclamarono in coro:

— È una bugia!

— E quel che c’è di piú curioso in questa bugia, — disse Woland, — è che è una bugia dalla prima all’ultima parola.

— Ah, cosí, dunque? Una bugia? — esclamò il gatto, e tutti pensarono che avrebbe cominciato a protestare, ma si limitò a dire sottovoce:

— La storia ci giudicherà.

— Dica un po’, — chiese Margot, che s’era rianimata dopo l’alcool, rivolgendosi ad Azazello: — gli ha sparato un colpo, a quell’ex barone?

— Naturalmente, — rispose Azazello, — come non sparargli? Bisognava assolutamente ammazzarlo.

— Come mi sono impressionata! — esclamò Margherita.

— Quel che è accaduto era cosí inaspettato!

— Non c’era nulla d’inaspettato in questo, — obiettò Azazello, ma Korov’ev ululò e gemette:

— E com’era possibile non impressionarsi? Anche a me è venuta la tremarella! Paf! Un colpo! E il barone giú in terra!

— Per poco non mi veniva una crisi isterica, — soggiunse il gatto, leccando il cucchiaio del caviale.

— Una cosa non capisco, — disse Margherita, e le scintille dorate sprizzavano dal cristallo nei suoi occhi, — è mai possibile che fuori non si sentisse la musica e, in generale, il baccano di questo ballo?

— No, regina, naturalmente non si sentiva, — spiegò Korov’ev, — bisogna far le cose in modo che non si sentano. Bisogna farle con cura.

— Già, già… ma vede, il fatto è che quell’uomo per le scale… quando siamo passati io e Azazello… e quell’altro nell’ingresso… credo che stesse sorvegliando il nostro appartamento…

— È vero, è vero! — gridò Korov’ev, — è vero, cara Margherita Nikolaevna! Lei conferma i miei sospetti! Sí, egli sorvegliava l’appartamento! Io, sa, l’ho preso per uno svagato libero docente o per un innamorato che s’annoia aspettando per le scale. Macché, macché! Però avevo una spina in cuore! Ah, sorvegliava l’appartamento! E anche quell’altro, nell’ingresso! E quello che era sotto il portone, anche lui faceva lo stesso?

— Una cosa m’interesserebbe sapere; e se venissero ad arrestarvi? — chiese Margherita.

— Verranno senz’altro, graziosa regina, senz’altro! — rispose Korov’ev, — me lo dice il cuore che verranno. Non subito, naturalmente, ma a suo tempo verranno di sicuro. Ma presumo che non accadrà nulla d’interessante.

— Ah, come mi sono impressionata quando quel barone è caduto! — disse Margherita, che a quanto pare aveva rimuginato fino allora su quell’assassinio, il primo che avesse visto in vita sua. — Lei è sicuramente un bravo tiratore?

— Discreto, — rispose Azazello.

— E a quanti passi? — domandò Margherita, non molto chiaramente, ad Azazello.

— Dipende dal bersaglio, — rispose assennatamente Azazello, — una cosa è colpire col martello un vetro del critico Latunskij, e una tutt’altra cosa colpire lui al cuore.

— Al cuore! — esclamò Margherita, portando, chi sa perché, la mano al proprio cuore. — Al cuore! — ripeté con voce sorda.

— Chi sarebbe quel critico Latunskij? — domandò Woland, guardando Margherita tra le palpebre socchiuse.

Azazello, Korov’ev e Behemoth abbassarono gli occhi come se si vergognassero, e Margherita rispose arrossendo:

— È un critico che si chiama cosí. Questa sera gli ho devastato tutto l’appartamento.

— O bella! E perché poi?…

— Oh, Messere, — spiegò Margherita, — ha rovinato un grande Maestro.

— Ma perché ha voluto prendersi lei quella briga? chiese Woland.

— Mi permetta, Messere! — gridò il gatto, tutto contento, balzando su.

— Sta’ fermo, tu, — brontolò Azazello, alzandosi, — ci vado subito io…

— No! — esclamò Margherita, — la supplico, Messere, questo poi no!

— Come vuole, come vuole, — rispose Woland, e Azazello si rimise a sedere.

— Dunque, dov’eravamo rimasti, pregiatissima regina Margot? — disse Korov’ev. — Ah, già, al cuore… Lui colpisce al cuore, — Korov’ev appuntò il suo lungo dito in direzione di Azazello, — a scelta, uno qualunque dei precordi o uno qualunque dei ventricoli.

Margherita non capí lí per lí, ma quand’ebbe capito esclamò, meravigliata:

— Ma sono nascosti!

— Cara, — cicalava Korov’ev, — qui sta il bello, che sono nascosti! Tutto il sale sta per l’appunto qui! Tutti sono buoni a centrare un bersaglio scoperto!

Korov’ev tolse dal cassetto del tavolo un sette di picche e lo porse a Margherita, pregandola di segnare con l’unghia uno dei punti. Margherita segnò quello nell’angolo superiore destro. Hella nascose la carta sotto il guanciale e gridò:

— Fatto!

Azazello che sedeva volgendo le spalle al guanciale, cavò dalla tasca dei calzoni una pistola automatica nera, ne appoggiò la canna sulla spalla e, senza voltarsi verso il letto, sparò, suscitando l’allegro spavento di Margherita. Di sotto al guanciale trapassato dalla pallottola fu tirato fuori il sette di picche. Il punto segnato da Margherita era perforato.

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