Mikhail Bulgakov - Il Maestro e Margherita
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— Chi è quella… in verde? — chiese macchinalmente Margherita.
— Un’incantevolissima e serissima signora, — sussurrò Korov’ev — gliela presento: la signora Tofana. Godeva di straordinaria popolarità tra le giovani, graziose napoletane, come pure tra le abitanti di Palermo, e in particolare fra quelle cui era venuto a noia il marito. Succede infatti, regina che un marito venga a noia…
— Già, — rispose Margherita con voce sorda, sorridendo nel contempo a due uomini in marsina che, uno dopo l’altro, s’inchinavano davanti a lei, baciandole il ginocchio e la mano.
— Sicché, dunque, — sussurrò Korov’ev, ingegnandosi nello stesso tempo a gridare a qualcuno: — Duca! Una coppa di champagne? Felicissimo!… Sicché, dunque, la signora Tofana si metteva nei panni di quelle povere donne e vendeva loro una certa acqua in ampolline. La moglie versava quest’acqua nella minestra del marito, che la mangiava, ringraziava per la gentilezza e si sentiva benone. Vero è che, dopo qualche ora, cominciava a venirgli una gran voglia di bere, dopo di che si metteva a letto e il giorno seguente la bella napoletana che aveva fatto mangiare la minestra a suo marito era libera come il vento di primavera.
— E che cos’ha al piede? — domandò Margherita, senza stancarsi di porgere la mano agli invitati che avevano sorpassato la claudicante signora Tofana. — E perché quella cosa verde al collo? Ha un collo avvizzito?
— Sono felicissimo, principe! — gridava Korov’ev, e nel contempo bisbigliava a Margherita: — Ha un bellissimo collo, ma in prigione le è successo un guaio. Al piede, regina, ha le stanghette [19] Strumento di tortura che in russo era chiamato stivaletto Spagnolo.
ed ecco il perché del nastro: quando i secondini seppero che su per giú cinquecento mariti malscelti avevano abbandonato per sempre Napoli e Palermo, in un impeto di sdegno strozzarono la signora Tofana in carcere.
— Come sono felice, oh, ottima regina, che mi sia toccato il grande onore… — sussurrò la Tofana col fare d’una monaca, tentando di mettersi in ginocchio, impedita com’era dalle stanghette. Korov’ev e Behemoth l’aiutarono a rialzarsi.
— Sono lieta, — le rispose Margherita, porgendo nel contempo la mano agli altri.
Per lo scalone stava ormai salendo una fiumana di gente. Margherita aveva cessato di vedere quel che accadeva nell’atrio. Essa alzava e abbassava meccanicamente il braccio e sorrideva allo stesso modo a tutti gl’invitati. Sul pianerottolo c’era già un rombo nell’aria, dalle sale da ballo, che Margherita aveva abbandonato, la musica arrivava come un mare.
— Quella sí è una donna noiosa, — disse forte Korov’ev, che non sussurrava piú, sapendo che nel frastuono delle voci la sua non si sarebbe piú sentita, — adora i balli e non pensa ad altro che a lagnarsi del suo fazzoletto.
Fra quelli che stavano salendo, Margherita scoperse con un’occhiata colei alla quale Korov’ev accennava. Era una giovane donna di una ventina d’anni, con un corpo insolitamente bello, ma con occhi irrequieti e insistenti.
— Che fazzoletto? — domandò Margherita.
— La cameriera adibita a lei, — spiegò Korov’ev, — le mette da trent’anni un fazzoletto sul tavolino da notte. Quando essa si sveglia, il fazzoletto è già lí. L’ha già bruciato nella stufa e annegato nel fiume, ma non serve a niente.
— Che fazzoletto? — sussurrò Margherita, alzando e abbassando il braccio.
— Un fazzoletto con un orlino blu. Il fatto è che quando essa era a servizio in un caffè, una volta il padrone la chiamò nella dispensa, e dopo nove mesi essa diede alla luce un bimbo, lo portò nel bosco e gli ficcò in bocca il fazzoletto, poi sotterrò il bimbo. In tribunale disse che non aveva di che mantenere il bambino.
— E dov’era il padrone di quel caffè? — chiese Margherita.
— Regina, — stridette da giú il gatto, — mi permetta di domandarle cosa c’entra il padrone. Non fu mica lui a soffocare il bimbo nel bosco!
— Mascalzone, se ancora una volta ti permetti di metter bocca nel discorso…
Behemoth cacciò uno strillo che non aveva nulla di festoso e borbottò:
— Regina… mi si gonfierà l’orecchio… perché rovinare il ballo con un orecchio gonfio?… Ho parlato da giurista, da un punto di vista giuridico… Ammutolisco, ammutolisco, faccia conto che non sia un gatto, ma un pesce, ma molli il mio orecchio!
Margherita mollò l’orecchio, e gli occhi cupi e insistenti apparvero davanti a Margherita.
— Sono felice, regina — padrona di casa, d’essere invitata al gran ballo del plenilunio!
— E io sono lieta di vederla, — le rispose Margherita, molto lieta. Le piace lo champagne?
— Cosa sta facendo, regina? — gridò Korov’ev con voce disperata ma sommessa nell’orecchio di Margherita. — Si produrrà un ingorgo.
— Sí, mi piace, — disse la donna con tono implorante e a un tratto si mise a ripetere meccanicamente: — Frida, Frida, Frida! Mi chiamo Frida, oh, regina!
— Si ubriachi questa sera, Frida, e non pensi a nulla, disse Margherita.
Frida tese le due mani a Margherita, ma Korov’ev e Behemoth l’afferrarono svelti per le braccia, ed essa scomparve nella calca.
Da giú, ormai, la folla saliva compatta come una muraglia, quasi volesse dar l’assalto al pianerottolo sul quale stava Margherita. Corpi ignudi di donne spiccavano fra gli uomini in marsina. Corpi bruni e bianchi, del colore di un chicco di caffè o del tutto neri affluivano verso Margherita. Nel torrente di luce, tra i capelli rossi, neri, castani, biondo lino, le pietre preziose brillavano e danzavano, mandavano scintille. E come se qualcuno avesse sparso gocce di luce sulla colonna degli uomini che muoveva all’assalto, i bottoni di brillanti sprizzavano luce dai petti. Ogni secondo, ormai, Margherita sentiva labbra che le sfioravano il ginocchio, ogni secondo porgeva la mano al bacio. Il suo volto s’era irrigidito in un’immobile maschera di benvenuto.
— Felicissimo, — cantilenava Korov’ev, — siamo felicissimi… la regina è felicissima…
— La regina è felicissima… — naseggiava Azazello alle sue spalle.
— Felicissimo! — gridava il gatto.
— La marchesa, — mormorava Korov’ev, — ha avvelenato il padre, due fratelli e due sorelle per impadronirsi dell’eredità… La regina è felicissima!… La signora Minkina… Ah, com’è carina! È un po’ nervosa. Ma perché ha bruciato il viso della cameriera col ferro da ricci? Certo stando cosí le cose, l’avrebbero ammazzata… La regina è felicissima… Un attimo d’attenzione, regina! L’imperatore Rodolfo, mago e alchimista… Un altro alchimista, impiccato… Toh, anche lei… Ah, che meraviglioso postribolo aveva a Strasburgo!… Siamo felicissimi!… Una sarta di Mosca, noi tutti le vogliamo bene per la sua inesauribile fantasia… Possedeva un atelier e aveva escogitato una cosa molto buffa: aveva praticato nella parete due piccoli buchi rotondi…
— E le signore non lo sapevano? — domandò Margherita.
— Tutte quante lo sapevano, regina, — rispose Korov’ev. — Sono felicissimo!… Questo ragazzotto ventenne si era distinto fin dall’infanzia per certe sue strane qualità, era un sognatore e un originale. Una fanciulla se ne innamorò e lui, un bel giorno, la vendette a un bordello…
Da basso scorreva un fiume di cui non si vedeva la fine.
Le sue sorgenti, il gigantesco camino, continuavano ad alimentarlo. Cosí trascorse un’ora ed ebbe inizio la seconda ora. A questo punto Margherita cominciò a notare che la sua catena s’era fatta piú pesante di quanto non fosse prima. Anche al suo braccio era successo qualcosa di strano. Prima di poterlo alzare, essa doveva fare una smorfia. Le argute osservazioni di Korov’ev avevano cessato d’interessarla. Sia le facce mongole dagli occhi strabici, sia quelle bianche o nere le erano divenute indifferenti, ogni tanto si fondevano insieme e l’aria frammezzo a loro cominciava chi sa perché a tremolare e a fluire. Un dolore acuto, come prodotto da un ago le trafisse all’improvviso il braccio destro, e, stringendo i denti, essa appoggiò il gomito sulla colonna. Un fruscio, come d’ali lungo le pareti, giungeva adesso dalla sala alle sue spalle e si capiva che laggiú le sterminate schiere d’invitati stavano ballando, sembrava a Margherita che anche i pavimenti massicci di marmo, di mosaico e di cristallo pulsassero ritmicamente in quella strana sala.
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