Mikhail Bulgakov - Il Maestro e Margherita
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Zoppicando leggermente, Woland si fermò accanto al suo podio, e subito Azazello comparve dinanzi a lui con un piatto fra le mani, e sopra questo piatto Margherita vide la testa tagliata d’un uomo coi denti davanti rotti. Continuava a regnare il piú completo silenzio, che fu interrotto soltanto una volta da una scampanellata, lontana, incomprensibile in quelle circostanze, come se qualcuno avesse suonato all’ingresso principale.
— Michail Aleksandrovič, — disse Woland con voce contenuta, rivolgendosi alla testa, e allora le palpebre dell’ucciso si sollevarono, e sul volto morto Margherita, rabbrividendo, vide gli occhi vivi, pieni di pensiero e di sofferenza.
— Tutto si è avverato, nevvero? — continuò Woland guardando la testa negli occhi. — La testa è stata tagliata da una donna, la seduta non ha avuto luogo e io abito nel suo appartamento. Questo è il fatto. E il fatto è la cosa piú ostinata del mondo. Ma adesso c’interessa quel che accadrà ulteriormente, e non un fatto già compiuto. Lei è sempre stato un ardente fautore della teoria che, una volta tagliata la testa, la vita cessa nell’uomo, egli si converte in cenere e se ne va nel non essere. Mi è gradito comunicarle in presenza dei miei ospiti, sebbene essi servano di prova a una teoria del tutto diversa, che la sua teoria è seria e ingegnosa. Del resto, tutte le teorie si equivalgono. Fra di esse ce n’è anche una secondo cui a ognuno verrà dato secondo la sua fede. Si avveri pure questo! Lui se n’andrà nel non essere, e io avrò il piacere di bere alla salute dell’essere dalla coppa in cui si convertirà!
Woland alzò la spada. Subito i tegumenti della testa si scurirono e si rattrappirono, poi si staccarono a pezzi, gli occhi scomparvero e ben presto Margherita vide sul piatto un cranio giallognolo con occhi di smeraldo e denti di perla, montato su un piede d’oro. La calotta cranica, aperta, pendeva da una cerniera.
— Fra un attimo, Messere, — disse Korov’ev, notando lo sguardo interrogativo di Woland, — egli sarà davanti a voi. In questo silenzio di tomba sento crocchiare i suoi scarpini di vernice e tintinnare la coppa che ha deposto sulla tavola dopo aver bevuto champagne per l’ultima volta nella sua vita. Ma eccolo qua.
Un nuovo invitato era entrato solo nella sala e si dirigeva verso Woland. All’aspetto non si differenziava in nulla dagli altri numerosi ospiti di sesso maschile, se non in una cosa sola: era cosí agitato che barcollava, il che si vedeva anche da lontano. Sulle guance aveva delle chiazze rosse e i suoi occhi vagavano qua e là, pieni d’inquietudine. Era sbalordito, e questo era piú che naturale: tutto lo stupiva e specialmente l’abbigliamento di Woland.
L’invitato fu tuttavia accolto con gran gentilezza.
— Ah, carissimo barone Meigel, — disse Woland, sorridendo affabilmente all’invitato che sbarrava gli occhi, sono lieto di presentarvi, — soggiunse, rivolto agli ospiti, lo spettabilissimo barone Meigel, impiegato alla commissione degli spettacoli come cicerone, incaricato di far conoscere agli stranieri le cose notevoli della capitale.
Margherita allibí perché aveva riconosciuto questo invitato. Piú volte s’era imbattuta in lui nei teatri e nei ristoranti di Mosca. «Che diamine… — pensò Margherita, anche lui, dunque, è morto?…» Ma la cosa si chiarí subito.
— Il caro barone, — proseguí Woland, con un sorriso giulivo, — è stato cosí squisitamente gentile da telefonarmi, appena ha saputo che ero arrivato a Mosca, per offrirmi i suoi servigi nella sua specialità, che consiste nel far conoscere ai forestieri le cose notevoli del posto. S’intende che sono stato felice d’invitarlo a venire da me.
In quel momento Margherita vide che Azazello consegnava a Korov’ev il piatto col cranio.
— Già, a proposito, barone, — disse Woland, abbassando a un tratto confidenzialmente la voce, — sono corse dicerie sulla sua curiosità. Si dice che essa, unita alla sua non meno notevole loquacità, abbia cominciato ad attirare l’attenzione generale. Inoltre le male lingue hanno già fatto circolare la voce che è un delatore e una spia. E, per di piú, si presume che ciò la condurrà a una triste fine non piú tardi che fra un mese. E cosí, per risparmiarle l’attesa angosciosa, abbiamo deciso di venirle in aiuto, approfittando della circostanza che lei s’è fatto invitare appunto con lo scopo di spiare e di origliare tutto quel che potrà.
Il barone divenne piú pallido di Abadonna, il quale era per natura estremamente pallido, dopo di che accadde una cosa strana. Abadonna apparve davanti al barone e per un attimo si tolse gli occhiali. In quello stesso istante qualcosa lampeggiò tra le mani di Azazello, ci fu un piccolo schiocco come un batter di mani, il barone cominciò a cadere riverso, un sangue vermiglio gli sprizzò dal petto e bagnò la camicia inamidata e il panciotto. Korov’ev mise una coppa sotto il rigagnolo che sgorgava e quando fu piena la porse a Woland. Nel frattempo il corpo inanimato del barone era già sul pavimento.
— Bevo alla vostra salute, signori, — disse Woland senza alzare la voce e, levando in alto la coppa, l’accostò alle labbra.
Allora avvenne la metamorfosi. La camicia rattoppata e le ciabatte scalcagnate sparirono. Woland apparve in una clamide nera con la sciabola d’acciaio al fianco. Egli s’avvicinò rapido a Margherita, le porse la coppa e disse in tono di comando:
— Bevi!
Margherita si sentí girare il capo, essa arretrò, ma la coppa le sfiorava già le labbra; due voci, ma non riuscí a capire di chi fossero, le sussurrarono in tutt’e due gli orecchi:
— Non abbia paura, regina… Non abbia paura, regina, il sangue è già disceso da molto tempo nella terra. E là dov’è stato versato, crescono adesso grappoli d’uva.
Margherita, senza aprire gli occhi, inghiottí un sorso e un dolce flutto trascorse per le sue vene, le orecchie cominciarono a risonare. Le sembrò che i galli cantassero a squarciagola, che da qualche parte suonassero una marcia.
La folla degli invitati cominciò a perdere il suo sembiante: sia gli uomini che le donne si disgregarono in cenere. Sotto gli occhi di Margherita tutta la sala si decompose, sopra di essa cominciò ad aleggiare un odore di cripta. Le colonne si sfasciarono, si spensero le luci, tutto si restrinse e non ci furono piú zampilli, camelie e tulipani. Ma ci fu semplicemente quel che c’era: il modesto salotto della gioielliera, dalla cui porta socchiusa usciva una striscia di luce. E da questa porta socchiusa Margherita entrò.
CAPITOLO VENTIQUATTRESIMO
La liberazione del Maestro
Nella camera da letto di Woland tutto era come prima del ballo. Woland sedeva sul letto in camicia, solo che invece di frizionargli la gamba, Hella stava apparecchiando per la cena sulla tavola dove avevano giocato agli scacchi. Korov’ev e Azazello, deposta la marsina, sedevano davanti alla tavola e accanto a loro, naturalmente, aveva preso posto il gatto, il quale non aveva voluto separarsi dalla sua cravatta, benché questa si fosse convertita in uno straccetto lurido. Margherita si accostò vacillando alla tavola e vi si appoggiò. Allora Woland la chiamò a sé con un cenno e le fece segno di sedergli accanto.
— Be’, l’hanno stancata a morte, nevvero? — chiese Woland.
— Oh, no, Messere, — rispose Margherita, ma con voce che si sentiva appena.
— Noblesse oblige, — osservò il gatto, e versò a Margherita un liquido trasparente in un bicchiere da vino rosso.
— È vodka? — domandò Margherita, con voce fioca.
Il gatto fu cosí offeso che fece un balzo sulla seggiola.
— Per carità, regina, — gracchiò, — come potrei permettermi di mescere vodka a una signora? Questo è alcool puro!
Margherita sorrise e tentò di scostare il bicchiere.
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