AAVV - Vicent Ferrer. Projecció europea d'un sant valencià

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    Vicent Ferrer. Projecció europea d'un sant valencià
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Vicent Ferrer. Projecció europea d'un sant valencià: краткое содержание, описание и аннотация

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Aquest llibre recull els textos de les ponències presentades en el congrés internacional «Vicent Ferrer. Projecció europea d'un sant valencià», organitzat per l'Acadèmia Valenciana de la Llengua i la Universitat de València i celebrat a la ciutat de València entre els dies 16 i 19 d'octubre de 2019. S'hi aborda de manera global la figura històrica de sant Vicent Ferrer, des dels contextos històrics i culturals en què pronuncià les homilies, fins a les estratègies discursives que feia servir en les prèdiques, passant per la llengua que utilitzava per a dirigir-se al públic, la tradició textual dels seus sermons i el seu posicionament davant els conflictes del moment, com ara el cisma d'Occident i el compromís de Casp, sense oblidar altres aspectes de naturalesa teològica, litúrgica o eclesial, entre els quals destaquen les seues consideracions sobre l'anticrist i la fi del món.

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17 Come ritiene Toldrà i Vilardell, 2010: 273. Iacopo da Varazze non distingue tra i due Macarii, e la nota di Ferrer può far pensare che anch’egli li confondesse.

18 Nella traduzione del Cavalca è inserito un commento, che mette in guardia il lettore: «Ma questo punto non è segondo fede perciò che per certo tiene la santa fede che ‘l dannato non à remedio essendo in dello enferno» ( Vite dei Santi Padri , Parte III 10,107, in Cavalca, 2009: 924).

19 Questo ordine è seguito appunto in un altro sermone sul versetto Beatus vir (Ferrer, 1971-1988: IV, 43-50) che tratta della «verdadera saviesa», la «saviesa celestial». Cfr. Viera-Piqué, 1996: 282.

20 Particolare citato come esempio di «verismo» da Fuster, 1975: 112, nota 125.

21 Si noti l’nvocazione del Nome di Gesù, che sembra alludere alla devozione talvolta raccomandata da Ferrer. Cfr. Delcorno, 2006: 15.

22 Sull’uso di questi monologhi cfr. Toldrà i Vilardell, 2010: 241-242.

I Domenicani e lo studio

The Dominicans and the Study

Luciano Cinelli, O. P.

Pontificia Università Gregoriana

https://orcid.org/0000-0002-2518-9984

Riassunto:Il rapporto tra l’Ordine dei Predicatori, lo studio e il mondo dei libri è davvero fondamentale negli otto secoli di vita dei Domenicani. La prima legislazione dell’Ordine evidenzia un legame speciale tra questi: lo studio è lo strumento indispensabile per creare un virtuoso dinamismo fra predicazione e salvezza delle anime, fine ultimo della fondazione dell’Ordine. Nel 1257, Alessandro IV con la bolla Exultante spiritu frequenter concedeva facoltà all’Ordine domenicano di aprire studia generalia ovunque. Fra la fine del XIV secolo e l’inizio dell’età moderna, i famosi studia generalia domenicani crebbero numericamente: dai trenta dei primi anni del XIV secolo ai sessantatré agli inizi del XVI secolo. Vincenzo Ferrer fu un fermo assertore dell’importanza dello studio nella tradizione domenicana, così come si evince dal suo percorso formativo, dalla sua attività accademica e dalla sua produzione teologica nel particolare contesto della Provincia d’Aragona, alla quale apparteneva, tra lo scorcio del Trecento e gli inizi del Quattrocento.

Parole chiave:Predicatori, Studio, Capitoli generali, capitoli provinciali, Legislazione sugli studia , Vincenzo Ferrer.

Abstract:The relationship between the Order of the Preachers, the Studies and the world of books is very intense and decisive during the eight hundred years of the life of the Dominicans. The first legislation of the Order specified this vital link: The Studies are the instruments which create the genetic dynamism between preaching like intermediate purpose for Dominicans and the salus animarum as their supreme goal. In 1257, thanks to the bull Exultante spiritu frequenter of pope Alexander IV, the most important convents took on the role of theological faculties. Between the end of 14th century and the beginnings of the Modern Age, the famous Studia generalia of Dominicans increased from thirteen in 1300 to sixty-three in 1500. Vincent Ferrer was a clear assertor of the high relevance of the Studies in the Dominican tradition because of his education and above all his teaching and his theological elaboration in the particular context of the 15th century Dominican Province of Aragon.

Keywords:Preachers, Study, General Chapters, Provincial Chapters, Studia ’s Legislation , Vincent Ferrer.

Ripercorrere lo straordinario rapporto fra l’Ordine dei Predicatori, lo studio e il mondo dei libri secondo coordinate diacroniche nei suoi ottocento anni di vita non è un’impresa facile, soprattutto nello spazio concesso al relatore di un convegno. L’arco cronologico al quale mi riferirò è compreso fra il 1220, anno di promulgazione delle prime Costituzioni dell’Ordine domenicano e gli inizi del XV secolo, momento in cui si colloca la nascita al Cielo di san Vincenzo Ferrer.

«Studium enim est ordinatum ad praedicationem; praedicatio ad animarum salutem, quae est ultimus finis» (Romanis 1889: 28). Così nell’ Expositio super Constitutiones il beato Umberto di Romans (1200?-1277), quinto successore di san Domenico di Caleruega alla guida dell’Ordine dei Predicatori dal 1254 al 1263, ne sintetizzava la caratteristica principale, illustrata peraltro nel prologo delle Costituzioni: la predicazione come fine intermedio e la salvezza delle anime come fine ultimo. Lo studio, mezzo di realizzazione di questo dinamismo, si avvale dei libri, vere e proprie «armi» nelle mani dei Predicatori senza le quali nessun frate potrebbe affrontare con successo la predicazione o l’ascolto delle confessioni 1. Per acquisire le competenze filosofiche e teologiche necessarie al fine di adempiere il loro ministero, i Predicatori si dotarono fin dai primordi di strumenti legislativi idonei a questo scopo, a partire dalle Costituzioni del 1220, in gran parte redatte dallo stesso Domenico - secondo quanto attestano alcuni testimoni al processo di canonizzazione del Santo castigliano - ed approvate nel 1228, sette anni dopo la sua morte. L’importanza dello studio nella formazione domenicana è evidente anche dall’evoluzione della legislazione in merito (Costituzioni, atti dei capitoli generali e provinciali): infatti, se nelle Costituzioni del 1220-1228 il tema era trattato alla fine della seconda distinzione, al numero 28 insieme a quello concernente il maestro degli studenti («de magistro studentium»), nella seconda redazione delle Costituzioni, che includeva gli esiti delle modifiche apportate durante i generalati di san Raimondo di Peñafort, terzo maestro dell’Ordine (1238-1240), e del beato Umberto di Romans, la normativa ampliata è compresa in un paragrafo, il quattordicesimo della seconda distinzione, dedicato ai destinatari di tale legislazione, i frati in formazione («de studentibus»). Ogni convento doveva istituire al suo interno una scuola o studium in cui studenti e professori erano totalmente dediti all’attività intellettuale, facilitata da una serie di dispense dalla regolare osservanza (recita dell’ufficio, questua, partecipazione ai capitoli conventuali, pratica del digiuno). Agli studenti più diligenti veniva assegnata una cella indipendente dal dormitorio, per continuare a studiare e a pregare anche di notte. Questa consuetudine era già osservata nel 1216 a S. Romano di Tolosa, come attesta Pietro Ferrandi nella biografia di san Domenico (Tugwell, 2015: 314-315 [25]). Proprio per rendere liberi i frati da incombenze amministrative e pratiche, secondo la testimonianza di Giovanni di Spagna al processo di canonizzazione, Domenico avrebbe pensato addirittura di affidarle ai frati conversi illitterati , sull’esempio dei boni homines di Grandmondt, i seguaci di Stefano di Muret (Walz, 1935: 144-145 [27]; Bériou-Hodel, 2019: 722-723). Nel corso del XIII secolo frequenti sono le disposizioni dei capitoli generali a tutela dei frati doctores responsabili dell’attività intellettuale nei conventi e nelle province, per renderli liberi di dedicarsi allo studio, affrancandoli da gravosi impegni materiali, soprattutto dalla carica di priore. Il ricorso all’istituto della dispensa in generale e per ragioni di studio in particolare fu una costante nella legislazione dell’Ordine fin dai primordi. I superiori potevano dispensare coloro che erano impegnati nello studio da ogni obbligo legato alla vita regolare: recita dell’Ufficio corale, partecipazione ai capitoli conventuali, ricerca di elemosine ed altri doveri legati alla professione religiosa. Sempre al fine di facilitare l’attività intellettuale dei più solerti nello studio, veniva loro concesso l’uso della cella, salvo a revocarlo qualora se ne dimostrassero indegni. Questo privilegio consentiva al frate meritevole di immergersi nella lettura, nella scrittura e nella preghiera fino a notte fonda. Nel 1414, il fiorentino Leonardo Dati (Kaeppeli, 1980: 73-77; Kaeppeli-Panella, 1993: 188; Orlandi, 1955: I, 151-152; II, 134-166), appena eletto al suprema carica dell’Ordine (1414-1425), concesse ai frati studenti bolognesi una serie di dispense, già in vigore presso il convento parigino di Saint-Jacques, tra cui quella dell’obbligo della compieta nei giorni festivi, dell’Ufficio notturno della Beata Vergine Maria e della ricreazione tre volte a settimana. Singolare, ma comprensibile se messa in rapporto con lo scopo per la quale fu concessa, è la disposizione secondo la quale il librario era tenuto ad aprire la biblioteca agli studenti secondo le loro necessità, dal momento che: «attinge l’acqua con il setaccio colui che presume di imparare senza libri» («quia aurit aquas cribro qui discere vult sine libro» 2. Una cinquantina d’anni dopo, nel 1462, fu Corrado d’Asti (1462-1465), trentesimo maestro dell’Ordine, ad ampliare il numero delle dispense ai frati dello Studio bolognese, che passarono da sette a tredici, quasi il doppio 3.

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