Joanne Rowling - Harry Potter e la pietra filosofale

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Harry Potter e la pietra filosofale: краткое содержание, описание и аннотация

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Un orfanello dotato di misteriosi poteri, due zii molto antipatici e… si entra nell’eccitante universo del Meraviglioso!
Un ragazzino con gli occhiali grossi ha conquistato la copertina del Time: si chiama Harry Potter. Nel giorno del suo undicesimo compleanno Harry si rende conto di essere dotato di straordinari poteri magici. E di potersi finalmente vendicare di tutte le angherie subite dagli odiosi zii che l’hanno allevato malvolentieri al posto dei genitori spariti nel nulla. Dovrà però frequentare la scuola di magia e stregoneria di Hogwarts, la migliore d’Inghilterra, in un castello dove è custodita la prodigiosa Pietra Filosofale che può sconfiggere le forze del male…

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« Questo è quel che mi tocca sempre ».

«Lo so» mormorò Harry di qua dal vetro, anche se non era sicuro che il serpente potesse udirlo. «Deve essere veramente fastidioso».

Il serpente annuì energicamente.

«Ma tu da dove vieni?» gli chiese Harry.

Il serpente colpì con la coda un cartellino accanto al vetro. Harry lo guardò attentamente.

Boa constrictor, Brasile.

«Era un bel posto?»

Il boa colpì di nuovo con la coda il cartellino e Harry lesse ancora: Questo esemplare è nato e cresciuto in cattività. «Ah, capisco, non sei mai stato in Brasile, tu!»

Il serpente scosse la testa e in quello stesso momento un grido assordante alle spalle di Harry li fece trasalire entrambi: «DUDLEY! SIGNOR DURSLEY! VENITE A VEDERE QUESTO SERPENTE! È INCREDIBILE QUEL CHE STA FACENDO!»

Dudley caracollò verso di loro più in fretta che poté.

«Fuori dai piedi, tu!» intimò mollando un pugno nelle costole a Harry, il quale, colto alla sprovvista, cadde a terra come un sacco. Quel che seguì avvenne così in fretta che nessuno si rese conto del come: un attimo prima Piers e Dudley erano chini vicinissimo al vetro, e un attimo dopo erano saltati all’indietro tra grida di orrore.

Harry si tirò su a sedere boccheggiando; il vetro anteriore della teca del boa constrictor era scomparso. Il grosso serpente stava svolgendo rapidamente le sue spire e scivolando sul pavimento, mentre in tutto il serpentario la gente si metteva a urlare e cominciava a correre verso le uscite.

Mentre gli scivolava accanto a tutta velocità, Harry avrebbe giurato di aver udito una voce bassa e sibilante dire: «Brasile, aspettami che arrivo… Grrrrazie, amigo » .

Il custode del serpentario era sotto shock.

«Ma il vetro» continuava a dire, «dove è finito il vetro?»

Il direttore dello zoo in persona preparò a zia Petunia una tazza di tè dolce molto forte, e intanto non la finiva più di scusarsi. Piers e Dudley non riuscivano a far altro che farfugliare. Per quel che aveva visto Harry, il serpente non aveva fatto altro che dargli un colpettino giocoso sui tacchi, mentre passava, ma fecero appena a tempo a tornare tutti nella macchina di zio Vernon che già Dudley raccontava come il boa gli avesse quasi staccato la gamba a morsi, mentre Piers giurava che aveva cercato di soffocarlo nella sua stretta mortale. Ma il peggio, almeno per Harry, fu che Piers riuscì a calmarsi quel tanto che gli consentì di dire: «Harry gli ha parlato. Non è vero, Harry?»

Zio Vernon aspettò che Piers fosse uscito di casa prima di cominciare a prendersela con Harry. Era così arrabbiato che parlava a stento. Riuscì a malapena a dire: «Vattene… ripostiglio… rimani lì… senza mangiare» prima di crollare su una sedia, tanto che zia Petunia dovette correre a prendergli un grosso bicchiere di brandy.

Molto più tardi Harry, steso al buio nel suo ripostiglio, avrebbe desiderato avere un orologio. Non sapeva che ora fosse e non era sicuro che i Dursley fossero andati a dormire. Fino a quel momento, non poteva rischiare di sgattaiolare in cucina a mangiare qualcosa.

Viveva con i Dursley da quasi dieci anni, dieci anni di infelicità, per quanto poteva ricordare, fin da quando era piccolo e i suoi genitori erano morti in quell’incidente d’auto. Non ricordava di essere stato anche lui nella macchina al momento della loro morte. Talvolta, quando sforzava la memoria durante le lunghe ore trascorse nel ripostiglio, gli veniva una strana visione: un lampo accecante di luce verde e un dolore bruciante sulla fronte. Quello, immaginava, era stato l’incidente, anche se non riusciva a capire da dove venisse la luce verde. I genitori, non li ricordava affatto. Gli zii non ne parlavano mai e, naturalmente, era proibito fare domande al riguardo. In casa, non c’era neanche una loro fotografia.

Quando era più piccolo aveva sognato tante volte che qualche parente sconosciuto venisse a portarlo via, ma questo non era mai accaduto; gli unici suoi parenti erano i Dursley. Eppure, talvolta gli sembrava (o forse era una speranza) che gli estranei per strada lo riconoscessero. Ed erano degli estranei veramente strani. Una volta un ometto mingherlino col cilindro viola gli aveva fatto un inchino mentre era a far spese con zia Petunia e Dudley. Furiosa, dopo avergli chiesto se conosceva quell’uomo, zia Petunia li aveva trascinati fuori dal negozio senza comperare niente. Un’altra volta, in autobus, un’anziana donna dall’aspetto stravagante, tutta vestita di verde, lo aveva salutato allegramente. Qualche giorno prima, un uomo calvo, con indosso un mantello color porpora molto lungo, gli aveva stretto la mano per strada e poi si era allontanato senza una parola. La cosa più stramba di tutte quelle persone era che sembravano dileguarsi nel nulla nel momento stesso in cui Harry cercava di guardarle da vicino.

A scuola, Harry non aveva amici. Tutti sapevano che la ghenga di Dudley odiava quello strano Harry Potter, infagottato nei suoi vestiti smessi e con gli occhiali rotti, e a nessuno piaceva mettersi contro la ghenga di Dudley.

Capitolo 3

Lettere da nessuno

La fuga del boa constrictor brasiliano costò a Harry il castigo più lungo mai ricevuto fino a quel momento. Quando finalmente gli fu permesso di uscire dal ripostiglio, erano ormai iniziate le vacanze estive e Dudley aveva già rotto la nuova cinepresa, mandato a sbattere l’aeroplanino telecomandato, e la prima volta che aveva provato la bicicletta da corsa aveva investito l’anziana signora Figg che attraversava Privet Drive con le stampelle.

Harry era molto contento che la scuola fosse finita, ma non c’era modo di sfuggire alla ghenga di Dudley che veniva a casa ogni santo giorno. Piers, Dennis, Malcolm e Gordon erano grandi, grossi e stupidi, ma poiché Dudley era il più grande e il più stupido di tutti, il capo era lui. Tutti gli altri erano ben felici di unirsi a lui nel praticare il suo sport preferito: la caccia a Harry.

Ecco perché Harry passava più tempo possibile fuori di casa, gironzolando nei dintorni e sognando la fine delle vacanze come un pallido raggio di speranza. A settembre, sarebbe andato alle superiori, e quindi per la prima volta in vita sua non sarebbe stato con Dudley. Dudley aveva un posto riservato a Snobkin, la scuola dove aveva studiato zio Vernon. Anche Piers Polkiss sarebbe andato lì. Harry, invece, sarebbe andato a Stonewall High, la scuola pubblica del quartiere. Dudley trovava la cosa molto divertente.

«Lo sai che a Stonewall il primo giorno di scuola ti ficcano la testa nella tazza del gabinetto?» disse a Harry. «Vuoi venire di sopra a fare esercizio?»

«Grazie, no» rispose Harry. «La povera tazza del gabinetto non si è mai vista cacciare dentro niente di più orribile della tua testa; potrebbe sentirsi male». Poi scappò via prima che Dudley potesse capire quello che aveva detto.

Un giorno di luglio, zia Petunia accompagnò Dudley a Londra per comperare l’uniforme di Snobkin, lasciando Harry dalla signora Figg. Quel giorno, la vecchia signora era meno peggio del solito. Si era rotta la gamba inciampando in uno dei suoi gatti e quindi non sembrava più entusiasta di loro come prima. Permise a Harry di guardare la televisione e gli diede un pezzo di torta al cioccolato, che sapeva di stantio come se stesse lì da qualche anno.

Quella sera, Dudley fece passerella in salotto per la famiglia, nella sua uniforme nuova di zecca. I ragazzi di Snobkin indossavano una giacchetta color melanzana, pantaloni alla zuava arancione e un copricapo piatto detto paglietta. Erano inoltre dotati di un bastone nodoso usato per picchiarsi a vicenda quando gli insegnanti non guardavano. Si riteneva che questo fosse un buon addestramento per la vita futura.

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