Joanne Rowling - Harry Potter e la pietra filosofale

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Harry Potter e la pietra filosofale: краткое содержание, описание и аннотация

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Un orfanello dotato di misteriosi poteri, due zii molto antipatici e… si entra nell’eccitante universo del Meraviglioso!
Un ragazzino con gli occhiali grossi ha conquistato la copertina del Time: si chiama Harry Potter. Nel giorno del suo undicesimo compleanno Harry si rende conto di essere dotato di straordinari poteri magici. E di potersi finalmente vendicare di tutte le angherie subite dagli odiosi zii che l’hanno allevato malvolentieri al posto dei genitori spariti nel nulla. Dovrà però frequentare la scuola di magia e stregoneria di Hogwarts, la migliore d’Inghilterra, in un castello dove è custodita la prodigiosa Pietra Filosofale che può sconfiggere le forze del male…

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«N-n-non… voglio… che … venga… pure lui!» gridò Dudley tra un finto singhiozzo e l’altro. «Lui rovina s-s-sempre tutto!» E lanciò a Harry un’occhiata malevola attraverso uno spiraglio tra le braccia della madre.

In quel preciso momento suonò il campanello: «Santo cielo, sono arrivati!» esclamò zia Petunia frenetica. E un attimo dopo, l’amico del cuore di Dudley, Piers Polkiss, entrò insieme alla madre. Piers era un ragazzo tutto pelle e ossa, con una faccia da topo. Era lui che in genere immobilizzava le persone con le braccia dietro la schiena mentre Dudley le picchiava. Dudley smise all’istante di far finta di piangere.

Mezz’ora più tardi, Harry, che non riusciva a credere a tanta fortuna, aveva preso posto sul sedile posteriore della macchina dei Dursley insieme a Piers e a Dudley, diretto allo zoo per la prima volta in vita sua. Lo zio e la zia non erano riusciti a inventarsi niente di diverso per lui, ma prima di uscire, zio Vernon lo aveva preso da parte.

«Ti avverto» gli aveva detto piazzandoglisi davanti col suo faccione paonazzo a un millimetro dal suo naso, «ti avverto una volta per tutte, ragazzino, niente cose strane, niente di niente, intesi? O resterai chiuso in quel ripostiglio fino a Natale».

«Non farò proprio niente» disse Harry, «lo prometto…»

Ma zio Vernon non gli credeva. Nessuno gli credeva mai.

Il fatto era che spesso intorno a Harry accadevano fatti strani, e non serviva a niente dire ai Dursley che lui non c’entrava.

Ad esempio, una volta zia Petunia, stanca di veder tornare Harry dal barbiere come se non ci fosse stato affatto, aveva preso un paio di forbici da cucina e gli aveva tagliato i capelli talmente corti da lasciarlo quasi pelato, tranne per la frangetta, che non aveva toccato per «nascondere quell’orribile cicatrice». Dudley era scoppiato a ridere a crepapelle al vedere Harry così conciato, e lui aveva passato una notte insonne al pensiero di come sarebbe andata l’indomani a scuola, dove già tutti lo prendevano in giro per i vestiti sformati e gli occhiali tenuti insieme con lo scotch. Ma la mattina dopo, al risveglio, aveva trovato i capelli esattamente come erano prima che zia Petunia glieli avesse rapati. Per questo era stato punito con una settimana di reclusione nel ripostiglio, sebbene avesse cercato di spiegare che non sapeva spiegare come mai gli fossero ricresciuti così in fretta.

Un’altra volta, la zia aveva cercato di infilargli a forza un orrendo maglione smesso di Dudley (marrone con dei pon-pon arancioni). Ma più cercava di infilarglielo dalla testa, più il maglione si rimpiccioliva, fino a che avrebbe potuto andar bene a una marionetta, ma non certo a Harry. Zia Petunia aveva decretato che doveva essersi ritirato in lavatrice, e questa volta Harry, con suo gran sollievo, non venne punito.

Invece, il giorno che fu trovato sul tetto delle cucine della scuola, passò un guaio terribile. La banda di amici di Dudley lo stava rincorrendo, come al solito, quando, con immensa sorpresa di Harry e di tutti, lui si era ritrovato seduto sul comignolo. I Dursley avevano ricevuto una lettera molto indignata della direttrice, la quale li informava che Harry aveva dato la scalata all’edificio scolastico. Eppure, lui aveva soltanto cercato (come gridò a zio Vernon attraverso la porta sprangata del ripostiglio) di saltare dietro i grossi bidoni della spazzatura fuori della cucina. E credeva che, a metà di quel salto, una folata di vento lo avesse sollevato in aria.

Ma quel giorno niente sarebbe andato storto. E valeva persino la pena di trascorrere una giornata con Dudley e Piers, pur di passarla da qualche parte che non fosse la scuola, il ripostiglio, o il salotto puzzolente di cavolo della signora Figg.

Strada facendo, zio Vernon si lamentava con zia Petunia. A lui piaceva lamentarsi di tutto: i colleghi di lavoro, Harry, il consiglio, Harry, la banca, Harry erano solo alcuni dei suoi argomenti preferiti. Quella mattina aveva scelto di lamentarsi delle motociclette.

«…Corrono come pazzi, questi giovani teppisti!» esclamò mentre una moto li sorpassava.

«Anche in un sogno che ho fatto c’era una moto» disse Harry ricordando improvvisamente, «e volava».

Per poco zio Vernon non tamponò la macchina che lo precedeva. Si voltò di scatto e urlò a Harry, con la faccia che assomigliava a una gigantesca barbabietola con i baffi: «LE MOTOCICLETTE NON VOLANO!»

Dudley e Piers repressero una risata.

«Lo so che non volano» rispose Harry. «Era soltanto un sogno».

Ma si pentì di aver parlato. Se c’era una cosa che i Dursley odiavano ancor più delle sue domande era il sentirlo parlare di cose che non si comportavano come dovevano, anche se si trattava di sogni o di cartoni animati. A quanto pareva, temevano che si potesse far venire in mente idee pericolose.

Era un sabato assolato, e lo zoo era pieno di famigliole. All’ingresso, i Dursley comperarono a Dudley e a Piers due enormi gelati al cioccolato e poi, siccome la sorridente barista del baracchino aveva chiesto a Harry cosa volesse prima che loro avessero potuto allontanarlo, gli comperarono un economico ghiacciolo al limone. E non era neanche male, pensò Harry, leccandolo, mentre guardavano un gorilla che si grattava la testa e assomigliava terribilmente a Dudley, tranne che non era biondo.

Fu la mattinata più felice che Harry avesse avuto da molto tempo. Ebbe cura di camminare a una certa distanza dai Dursley in modo che Dudley e Piers, che per l’ora di pranzo avevano già cominciato ad annoiarsi degli animali, non tornassero al loro passatempo preferito di prenderlo a pugni. Pranzarono al ristorante dello zoo e quando Dudley fece un capriccio perché la sua fetta di dolce non era abbastanza grande, zio Vernon gliene comperò un altro e a Harry fu permesso di finire la prima.

In seguito Harry si disse che avrebbe dovuto sapere che era troppo bello per durare.

Dopo pranzo, andarono al serpentario. Il luogo era fresco e semibuio, con vetrine illuminate lungo tutte le pareti. Dietro ai vetri, lucertole e serpenti di ogni specie strisciavano e si arrampicavano su tronchi di legno e sassi. Dudley e Piers volevano vedere i giganteschi e velenosi cobra e i grossi pitoni capaci di stritolare un uomo. Dudley fu molto veloce nell’individuare il serpente più grosso di tutti. Avrebbe potuto benissimo avvolgersi due volte intorno alla macchina di zio Vernon e ridurla alle dimensioni di un bidone per la spazzatura, ma al momento non sembrava in vena. Anzi, era profondamente addormentato. Dudley rimase con il naso spiaccicato contro il vetro, a contemplarne le spire brune e lucenti.

«Fallo muovere» chiese piagnucolando al padre. Zio Vernon picchiò sul vetro, ma il serpente non si mosse.

«Ancora!» ordinò Dudley. Zio Vernon tornò a bussare forte con le nocche sul vetro, ma il serpente continuò a ronfare.

«Che noia!» disse Dudley con voce lagnosa. E corse via.

Harry si spostò davanti alla vetrina del pitone e guardò intensamente il serpente. Non si sarebbe stupito se anche lui fosse morto di noia, senza altra compagnia che quegli stupidi che tamburellavano tutto il giorno con le dita contro il vetro cercando di disturbarlo. Era peggio che avere per camera da letto un ripostiglio, dove l’unico visitatore era zia Petunia che pestava sulla porta per svegliarti; lui, almeno, poteva girare per tutta casa.

D’un tratto il serpente aprì gli occhi piccoli e luccicanti. Lentamente, molto lentamente, sollevò la testa finché si trovarono all’altezza di quelli di Harry.

Gli fece l’occhiolino.

Harry lo fissò stupito. Poi diede una rapida occhiata in giro per vedere se qualcuno li osservava. Nessuno. Tornò a fissare il serpente e ricambiò la strizzatina d’occhi.

Il serpente girò la testa di scatto verso zio Vernon e Dudley, poi alzò gli occhi al cielo. Dette a Harry un’occhiata che equivaleva a dire:

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