Joanne Rowling - Harry Potter e la pietra filosofale

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Harry Potter e la pietra filosofale: краткое содержание, описание и аннотация

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Un orfanello dotato di misteriosi poteri, due zii molto antipatici e… si entra nell’eccitante universo del Meraviglioso!
Un ragazzino con gli occhiali grossi ha conquistato la copertina del Time: si chiama Harry Potter. Nel giorno del suo undicesimo compleanno Harry si rende conto di essere dotato di straordinari poteri magici. E di potersi finalmente vendicare di tutte le angherie subite dagli odiosi zii che l’hanno allevato malvolentieri al posto dei genitori spariti nel nulla. Dovrà però frequentare la scuola di magia e stregoneria di Hogwarts, la migliore d’Inghilterra, in un castello dove è custodita la prodigiosa Pietra Filosofale che può sconfiggere le forze del male…

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«È il posto migliore per lui» disse Silente con fermezza. «La zia e lo zio potranno spiegargli tutto quando sarà più grande. Ho scritto loro una lettera».

«Una lettera?» gli fece eco la McGranitt con un filo di voce, tornando a sedersi sul muretto. «Ma davvero, Silente, crede di poter spiegare tutto questo per lettera? Questa gente non capirà mai Harry Potter. Lui diventerà famoso… leggendario! Non mi stupirebbe se in futuro la giornata di oggi venisse designata come la festa di Harry Potter. Su di lui si scriveranno volumi, tutti i bambini del mondo conosceranno il suo nome!»

«Proprio così» disse Silente fissandola tutto serio da sopra gli occhiali a mezzaluna. «Ce ne sarebbe abbastanza per far girare la testa a qualsiasi ragazzo. Famoso prima ancora di parlare e di camminare! Famoso per qualcosa di cui non avrà conservato neanche il ricordo! Non riesce a capire quanto starà meglio, se crescerà lontano da tutto questo fino al giorno in cui sarà pronto per reggerlo?»

La professoressa McGranitt aprì bocca per rispondere, poi cambiò idea, inghiottì e disse: «Sì… sì, lei ha ragione, naturalmente. Ma in che modo arriverà qui il ragazzo?»

D’un tratto guardò il mantello di Silente come se pensasse che Harry potesse esservi nascosto sotto.

«Lo porterà Hagrid».

«E a lei pare… saggio… affidare a Hagrid un compito tanto importante?»

«Affiderei a Hagrid la mia stessa vita» disse Silente.

«Non dico che non abbia cuore» dovette ammettere la McGranitt, «ma non verrà mica a dirmi che non è uno sventato. Tende a… Ma cosa è stato?»

Il silenzio che li circondava era stato lacerato da un rombo cupo. Mentre Silente e la McGranitt percorrevano con lo sguardo la stradina per vedere se si avvicinassero dei fari, il rumore si fece sempre più forte, fino a diventare un boato. Entrambi levarono lo sguardo al cielo e dall’aria piovve una gigantesca motocicletta che atterrò sull’asfalto proprio davanti a loro.

Pur colossale com’era, la moto sembrava niente a confronto con l’uomo che la inforcava. Era alto circa due volte un uomo normale e almeno cinque volte più grosso. Sembrava semplicemente troppo per essere vero, e aveva un aspetto terribilmente selvaggio: lunghe ciocche di ispidi capelli neri e una folta barba gli nascondevano gran parte del volto; ogni mano era grande come il coperchio di un bidone dei rifiuti e i piedi, che calzavano stivali di cuoio, sembravano due piccoli delfini. Tra le braccia immense e muscolose reggeva un involto di coperte.

«Hagrid!» esclamò Silente con tono di sollievo. «Finalmente! Ma dove hai preso quel veicolo?»

«Un prestito, professor Silente»; e così dicendo, il gigante scese con circospezione dalla motocicletta. «Del giovane Sirius Black. Lui ce l’ho qui. signore».

«Ci sono stati problemi?»

«No, signore; la casa era distrutta, diciamo, ma io sono riuscito a tirarlo fuori prima che il posto si riempisse di Babbani. Si è addormentato mentre volavamo su Bristol».

Silente e la McGranitt si chinarono sull’involto di coperte. Dentro, appena visibile, c’era un bambino profondamente addormentato. Sotto il ciuffo di capelli corvini che gli spuntava sulla fronte, scorsero un taglio dalla forma bizzarra, simile a una saetta.

«E qui che…» chiese in un bisbiglio la professoressa McGranitt.

«Sì» rispose Silente. «Questa cicatrice se la terrà per sempre».

«E lei non può farci niente. Silente?»

«Anche se potessi, non lo farei. Le cicatrici possono tornare utili. Anch’io ne ho una, sopra il ginocchio sinistro, che è una piantina perfetta della metropolitana di Londra. Bene… Dammelo qua, Hagrid; vediamo di concludere».

Silente prese Harry tra le braccia e si voltò verso la casa dei Dursley.

«Posso… posso fargli un salutino, signore?» chiese Hagrid.

Chinò la grossa e ispida testa su Harry e gli dette un bacio rasposo per via di tutto quel pelo. Poi, d’un tratto, emise un ululato come di cane ferito.

«Shhh!» sibilò la McGranitt. «Sveglierai i Babbani!»

«S-s-s-scusatemi…» singhiozzò Hagrid tirando fuori un immenso fazzoletto tutto chiazzato e tuffandoci il viso dentro, «ma proprio n-n-non ce la faccio… Lily e James morti… e il povero piccolo Harry che se ne va a vivere con i Babbani…».

«Sì, certo, è molto triste, ma vedi di controllarti, Hagrid, o ci scopriranno» sussurrò la McGranitt battendogli con cautela un colpetto sul braccio mentre Silente, scavalcando il basso muricciolo del giardino, si avviava verso la porta d’ingresso. Depose dolcemente Harry sul gradino, tirò fuori dal mantello una lettera, la ripose tra le coperte che avvolgevano Harry e tornò verso gli altri due. Per un lungo minuto i tre rimasero lì a guardare quel fagottino; Hagrid era scosso dai singhiozzi, la professoressa McGranitt non faceva che battere le palpebre, e lo scintillio che normalmente emanava dagli occhi di Silente sembrava svanito.

«Be’» disse infine Silente, «ecco fatto. Non c’è più ragione che restiamo qui. Tanto vale che andiamo a prender parte ai festeggiamenti».

«Già» disse Hagrid con voce soffocata «allora io riporto la moto a Sirius. ’Notte, professoressa McGranitt. Professor Silente, i miei rispetti».

Asciugandosi gli occhi inondati di lacrime con la manica della giacca, Hagrid si rimise a cavalcioni della motocicletta e accese il motore; si sollevò in aria con un rombo e spari nella notte.

«Penso che ci rivedremo presto, professoressa McGranitt» disse Silente facendole un cenno col capo. Per tutta risposta, lei si soffiò il naso.

Silente si voltò e si avviò lungo la strada. Giunto all’angolo, si fermò ed estrasse il suo ‘Spegnino’ d’argento. Uno scatto, e dodici sfere luminose si riaccesero di colpo nei lampioni, illuminando Privet Drive di un bagliore aranciato. A quel chiarore scorse un gatto soriano che se la svignava dietro l’angolo all’altro capo della strada. Da quella distanza vedeva appena il mucchietto di coperte sul gradino del numero 4.

«Buona fortuna, Harry» mormorò. Poi girò sui tacchi e, con un fruscio del mantello, sparì.

Una lieve brezza scompigliava le siepi ben potate di Privet Drive, che riposava, ordinata e silenziosa, sotto il cielo nero come l’inchiostro. L’ultimo posto dove ci si sarebbe aspettati di veder accadere cose stupefacenti. Sotto le sue coperte, Harry Potter si girò dall’altra parte senza svegliarsi. Una manina si richiuse sulla lettera che aveva accanto e lui continuò a dormire, senza sapere che era speciale, senza sapere che era famoso, senza sapere che di lì a qualche ora sarebbe stato svegliato dall’urlo della signora Dursley che apriva la porta di casa per mettere fuori le bottiglie del latte, né che le settimane successive le avrebbe trascorse a farsi riempire di spintoni e pizzicotti dal cugino Dudley… Non poteva sapere che, in quello stesso istante, da un capo all’altro del paese, c’era gente che si riuniva in segreto e levava i calici per brindare « a Harry Potter, il bambino che è sopravvissuto » .

Capitolo 2

Vetri che scompaiono

Erano passati quasi dieci anni da quando i Dursley si erano svegliati una mattina e avevano trovato il nipote sul gradino di casa, ma Privet Drive non era cambiata affatto. Il sole sorgeva sugli stessi giardinetti ben tenuti e illuminava il numero 4 d’ottone sulla porta d’ingresso dei Dursley; si insinuava nel loro soggiorno, che era pressoché identico a quella sera in cui il signor Dursley aveva visto il fatidico telegiornale che parlava di gufi. Soltanto le fotografie sulla mensola del caminetto denotavano quanto tempo fosse passato in realtà. Dieci anni prima c’era un’infinità di fotografie di quello che sembrava un grosso pallone da spiaggia rosa, con indosso cappellini di vari colori. Ma Dudley Dursley non era più un lattante, e ora le fotografie ritraevano un bambinone biondo in sella alla sua prima bicicletta, sulle giostre alla fiera, che giocava al computer col padre, o che si faceva abbracciare e baciare dalla madre. Nulla, in quella stanza, denotava che in casa viveva anche un altro bambino. Eppure, Harry Potter abitava ancora lì; in quel momento dormiva, ma non sarebbe stato per molto. Zia Petunia era sveglia e la sua voce stridula fu il primo rumore della giornata che iniziava.

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