Joanne Rowling - Harry Potter e la pietra filosofale

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Harry Potter e la pietra filosofale: краткое содержание, описание и аннотация

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Un orfanello dotato di misteriosi poteri, due zii molto antipatici e… si entra nell’eccitante universo del Meraviglioso!
Un ragazzino con gli occhiali grossi ha conquistato la copertina del Time: si chiama Harry Potter. Nel giorno del suo undicesimo compleanno Harry si rende conto di essere dotato di straordinari poteri magici. E di potersi finalmente vendicare di tutte le angherie subite dagli odiosi zii che l’hanno allevato malvolentieri al posto dei genitori spariti nel nulla. Dovrà però frequentare la scuola di magia e stregoneria di Hogwarts, la migliore d’Inghilterra, in un castello dove è custodita la prodigiosa Pietra Filosofale che può sconfiggere le forze del male…

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«Scusi» bofonchiò, mentre il poveretto — un uomo anziano e mingherlino — inciampava e per poco non finiva lungo disteso. Ci volle qualche secondo perché il signor Dursley si rendesse conto che l’uomo indossava un mantello viola. L’ometto però non aveva affatto l’aria di essersela avuta a male per essere stato quasi scaraventato a terra. Al contrario, il volto gli si illuminò di un largo sorriso e con una vocina stridula che destò l’attenzione dei passanti disse: «Non si scusi, mio caro signore, perché oggi non c’è niente che possa turbarmi! Si rallegri, perché Lei-Sa-Chi finalmente se n’è andato! Anche i Babbani come lei dovrebbero festeggiare questo felice, felicissimo giorno!»

A quel punto, il vecchietto abbracciò il signor Dursley cingendolo alla vita e poi si allontanò.

Il signor Dursley rimase lì impalato. Era stato abbracciato da un perfetto sconosciuto. Gli tornò anche in mente che quel tale lo aveva chiamato ‘Babbano’, qualsiasi cosa volesse dire. Era esterrefatto. Si affrettò a raggiungere la macchina e partì alla volta di casa, sperando di aver lavorato di fantasia, cosa che non aveva mai sperato prima perché non approvava le fantasie.

Non appena ebbe imboccato il vialetto del numero 4 di Privet Drive, la prima cosa che scorse — e che certo non contribuì a migliorare il suo umore — fu il gatto soriano che aveva visto la mattina. Seduto sul muro di cinta del giardino. Era assolutamente certo che fosse quello della mattina: aveva gli stessi segni intorno agli occhi.

«Sciò!» gli gridò il signor Dursley.

Il gatto non si mosse. Si limitò a fissarlo con sguardo severo. Il signor Dursley si chiese se normalmente i gatti si comportavano cosi. Cercando di riprendersi, entrò in casa. Era ancora deciso a non dire niente alla moglie.

La signora Dursley aveva avuto una buona giornata, in tutto e per tutto normale. A cena, gli raccontò per filo e per segno i guai che la signora Della-Porta-Accanto aveva con la figlia, e poi che Dudley aveva imparato una nuova frase: «Neanche per sogno!» Il signor Dursley cercò di comportarsi normalmente. Una volta messo a letto Dudley, se ne andò nel soggiorno appena in tempo per sentire l’ultimo telegiornale:

«E infine, da tutte le postazioni gli avvistatori di uccelli riferiscono che oggi, sull’intero territorio nazionale, i gufi hanno manifestato un comportamento molto insolito. Sebbene normalmente escano di notte a caccia di prede e ben di rado vengano avvistati di giorno, fin dall’alba sono stati segnalati centinaia di gufi che volavano in tutte le direzioni. Gli esperti non sanno spiegare perché, tutt’a un tratto, i gufi abbiano modificato il loro ritmo sonno/veglia». Lo speaker si lasciò andare a un sorrisetto. «Molto misterioso. E ora, la parola a Jim McGuffin per le previsioni del tempo. Si prevedono altri scrosci di gufi, stanotte, Jim?»

«Francamente, Ted» rispose il meteorologo, «su questo non so dirti niente, ma quest’oggi non sono stati soltanto i gufi a comportarsi in modo strano. Gli osservatori di località distanti fra loro come il Kent, lo Yorkshire e Dundee mi hanno telefonato per informarmi che, al posto della pioggia che avevo promesso ieri, hanno avuto un diluvio di stelle cadenti. Chissà? Forse si è festeggiata in anticipo la Notte dei Fuochi. Ma, gente, la Notte dei Fuochi è soltanto tra una settimana! Comunque, posso assicurare che stanotte pioverà».

Il signor Dursley rimase seduto in poltrona, come paralizzato. Stelle cadenti in tutta la Gran Bretagna? Gufi che volano di giorno? Gente misteriosa che si aggira dappertutto avvolta in mantelli? E quelle voci, quei bisbigli sui Potter…

La signora Dursley entrò in soggiorno portando due tazze di tè. Non c’era niente da fare: doveva dirle qualcosa. Si schiarì nervosamente la voce. «Ehm, Petunia, mia cara… non è che per caso hai sentito tua sorella, ultimamente?»

Come aveva previsto, la signora Dursley assunse un’aria esterrefatta e adirata. In fin dei conti, erano abituati a far finta che non avesse una sorella.

«No» rispose seccamente. «Perché?»

«Mah, non so… al telegiornale hanno detto cose strane» bofonchiò il signor Dursley. «Gufi… stelle cadenti… e oggi, in città, un sacco di gente strampalata…»

« E allora? » sbottò la signora Dursley.

«Niente, pensavo soltanto… forse… qualcosa che avesse a che fare con… hai capito, no?… con lei e i suoi».

La signora Dursley sorseggiò il tè a labbra strette. Il signor Dursley si chiedeva intanto se avrebbe mai osato dirle di aver sentito pronunciare il nome ‘Potter’. Decise che non avrebbe osato. E invece, con il tono più naturale che gli riuscì di trovare, disse: «Il figlio… dovrebbe avere la stessa età di Dudley, non è vero?»

«Suppongo di sì» rispose la signora Dursley, rigida come un manico di scopa.

«E, com’è che si chiama? Howard, no?»

«Harry! Che poi è davvero un nome volgare, se proprio lo vuoi sapere».

«Eh già» disse il signor Dursley con il cuore che gli si faceva pesante come il piombo. «Sono proprio d’accordo».

Salirono in camera per andare a dormire senza più dire una parola sull’argomento. Mentre la moglie era in bagno, il signor Dursley si avvicinò guardingo alla finestra della camera da letto e sbirciò fuori, nel giardino. Il gatto era ancora lì. Stava scrutando Privet Drive, come se aspettasse qualcosa.

La sua fantasia galoppava troppo? Tutto questo poteva avere qualcosa a che fare con i Potter? Se sì… cioè, se veniva fuori che loro erano parenti di una coppia di… be’, non credeva proprio di poterlo sopportare.

Si misero a letto. Lei si addormentò subito, ma lui rimase li steso, con gli occhi sbarrati, a rigirarsi tutto quanto nella mente. L’ultimo, confortante pensiero che ebbe prima di addormentarsi fu che, se anche i Potter avevano veramente qualcosa a che vedere con quella faccenda, non era affatto detto che dovessero farsi vivi con lui e sua moglie. I Potter sapevano molto bene quel che lui e Petunia pensavano di loro e di quelli della loro risma… Non vedeva proprio come potessero venire coinvolti, di qualsiasi cosa si trattasse — e qui sbadigliò e si girò dall’altra parte — la cosa non poteva riguardarli…

Ma si sbagliava di grosso.

Se il signor Dursley era scivolato in un sonno agitato, il gatto, seduto sul muretto di fuori, non dava alcun segno di aver sonno. Sedeva immobile come una statua, con gli occhi fissi e senza batter ciglio sull’angolo opposto di Privet Drive. E non ebbe il minimo soprassalto neanche quando, nella strada accanto, la portiera di una macchina sbatté forte, né quando due gufi gli sfrecciarono sopra la testa. Dovette farsi quasi mezzanotte prima che il gatto facesse il minimo movimento.

Un uomo apparve all’angolo della strada che il gatto aveva tenuto d’occhio; ma apparve così all’improvviso e silenziosamente che si sarebbe detto fosse spuntato da sotto terra. La coda del gatto ebbe un guizzo e gli occhi divennero due fessure.

In Privet Drive non s’era mai visto niente di simile. Era alto, magro e molto vecchio, a giudicare dall’argento dei capelli e della barba, talmente lunghi che li teneva infilati nella cintura. Indossava abiti lunghi, un mantello color porpora che strusciava per terra e stivali dai tacchi alti con le fibbie. Dietro gli occhiali a mezzaluna aveva due occhi di un azzurro chiaro, luminosi e scintillanti, e il naso era molto lungo e ricurvo, come se fosse stato rotto almeno due volte. L’uomo si chiamava Albus Silente.

Albus Silente non sembrava rendersi conto di essere appena arrivato in una strada dove tutto, dal suo nome ai suoi stivali, risultava sgradito. Si dava un gran da fare a rovistare sotto il mantello, in cerca di qualcosa. Sembrò invece rendersi conto di essere osservato, perché all’improvviso guardò il gatto, che lo stava ancora fissando dall’estremità opposta della strada. Per qualche ignota ragione, la vista del gatto sembrò divertirlo. Ridacchiò tra sé borbottando: «Avrei dovuto immaginarlo».

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