Joanne Rowling - Harry Potter e la pietra filosofale

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Harry Potter e la pietra filosofale: краткое содержание, описание и аннотация

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Un orfanello dotato di misteriosi poteri, due zii molto antipatici e… si entra nell’eccitante universo del Meraviglioso!
Un ragazzino con gli occhiali grossi ha conquistato la copertina del Time: si chiama Harry Potter. Nel giorno del suo undicesimo compleanno Harry si rende conto di essere dotato di straordinari poteri magici. E di potersi finalmente vendicare di tutte le angherie subite dagli odiosi zii che l’hanno allevato malvolentieri al posto dei genitori spariti nel nulla. Dovrà però frequentare la scuola di magia e stregoneria di Hogwarts, la migliore d’Inghilterra, in un castello dove è custodita la prodigiosa Pietra Filosofale che può sconfiggere le forze del male…

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Guardando Dudley nei nuovi pantaloni alla zuava, zio Vernon disse con tono burbero che non si era mai sentito tanto orgoglioso in vita sua. Zia Petunia scoppiò in lacrime e disse che non le sembrava vero che quello fosse il suo piccolino, da quanto era bello e cresciuto. Harry non si arrischiò a parlare. Aveva l’impressione di essersi rotto un paio di costole nel tentativo di non ridere.

La mattina dopo, quando Harry entrò in cucina, c’era un odore orribile che sembrava provenire da una grossa bacinella di metallo che era dentro il lavandino. Si avvicinò per dare un’occhiata. La bacinella era piena di quelli che sembravano stracci sporchi a mollo in un’acqua grigia.

«E questo cos’è?» chiese a zia Petunia. Lei strinse le labbra come faceva sempre quando Harry azzardava una domanda.

«La tua nuova uniforme scolastica» rispose.

Harry guardò di nuovo dentro la bacinella.

«Oh!» disse. «Non avevo capito che dovesse essere tanto bagnata».

«Non fare lo sciocco!» lo apostrofò aspramente zia Petunia. «Ti sto tingendo di grigio alcuni vestiti smessi di Dudley. Quando avrò finito sembreranno uguali a quelli di tutti gli altri».

Di questo Harry dubitava seriamente, ma pensò fosse meglio non discutere. Si sedette a tavola e cercò di non immaginare che aspetto avrebbe avuto il primo giorno di scuola a Stonewall High. Probabilmente, come se avesse addosso pezzi di pelle di un vecchio elefante.

Dudley e zio Vernon entrarono in cucina ed entrambi arricciarono il naso per via dell’odore che emanava la nuova uniforme di Harry. Zio Vernon apri come al solito il giornale e Dudley picchiò il tavolo con il bastone di Snobkin, che ormai portava dappertutto.

In quel momento, udirono lo scatto della cassetta delle lettere e il lieve tonfo della posta che cadeva sullo zerbino.

«Vai a prendere la posta, Dudley» disse zio Vernon da dietro il giornale.

«Mandaci Harry».

«Vai a prendere la posta, Harry».

«Mandaci Dudley».

«Punzecchialo con il bastone di Snobkin, Dudley».

Harry schivò il bastone e andò a prendere la posta. Sullo zerbino c’erano tre cose: una cartolina della sorella di zio Vernon, Marge, che era in vacanza nell’isola di Wight, una busta marrone che sembrava una fattura e… una lettera per Harry.

Harry la raccolse e la fissò con il cuore che gli vibrava come un gigantesco elastico. Nessuno in vita sua gli aveva mai scritto. E chi avrebbe dovuto farlo? Non aveva amici, non aveva altri parenti; non era neanche socio della biblioteca e quindi non aveva mai ricevuto perentori avvisi di restituire i libri presi in prestito. Eppure, eccola li, una lettera dall’indirizzo così inequivocabile da non poter essere frainteso:

Signor H. Potter

Ripostiglio del sottoscala

4, Privet Drive

Little Whinging

Surrey

La busta era spessa e pesante, di pergamena giallastra, e l’indirizzo era scritto con inchiostro verde smeraldo. Non c’era francobollo. Girando la busta con mano tremante, Harry vide un sigillo di ceralacca color porpora con uno stemma araldico: un leone, un corvo, un tasso e un serpente intorno a una grossa ‘H’.

«Allora, sbrigati un po’!» gridò lo zio Vernon dalla cucina. «Che cosa stai facendo, controlli se c’è una bomba nella posta?» E ridacchiò della propria battuta.

Harry tornò in cucina continuando a fissare la lettera. Consegnò a zio Vernon la fattura e la cartolina, si sedette lentamente e cominciò ad aprire la busta gialla.

Zio Vernon strappò la busta della fattura, sbuffò disgustato e voltò la cartolina.

«Marge sta male» informò zia Petunia. «Ha mangiato uno strano frutto di mare…»

«Papà» disse Dudley d’un tratto, «papà, Harry ha ricevuto qualcosa!»

Harry stava per aprire la lettera che era scritta sulla stessa pesante pergamena della busta, quando questa gli venne strappata di mano da zio Vernon.

«È mia !» disse Harry cercando di riprendersela.

«E chi mai ti scriverebbe?» sibilò zio Vernon scuotendo la lettera con una mano per aprirla e gettandovi un’occhiata. In men che non si dica, la faccia gli passò dal rosso al verde più rapida di un semaforo. Ma non finì lì. Nel giro di pochi secondi, divenne di un colore bianco grigiastro, come semolino rancido.

«P…P…Petunia!» ansimò.

Dudley cercò di carpirgli la lettera per leggerla, ma zio Vernon la teneva in alto fuori della sua portata. Zia Petunia, incuriosita, la prese e lesse la prima riga. Per un attimo sembrò che stesse per svenire. Si portò le mani alla gola ed emise un suono soffocato.

«Vernon, oh, mio Dio, Vernon!…»

Si fissarono l’un l’altra, e parevano aver dimenticato che Harry e Dudley erano ancora lì. Dudley non era abituato a essere ignorato. Assestò al padre un colpo secco sulla testa con il bastone di Snobkin.

«Voglio leggere quella lettera» disse forte.

« Io voglio leggerla» disse Harry furioso, «è mia » .

«Fuori, tutti e due!» gridò zio Vernon con voce rauca ricacciando la lettera nella busta.

Harry non si mosse.

«VOGLIO LA MIA LETTERA!» gridò.

«Falla vedere a me !» fece Dudley.

«FUORI!» tuonò zio Vernon prendendoli entrambi per la collottola e scaraventandoli nell’ingresso; poi sbatté loro la porta di cucina in faccia. Immediatamente, i due ragazzi ingaggiarono una lotta furibonda ma silenziosa per decidere chi dovesse guardare dal buco della serratura. Vinse Dudley, per cui Harry, con gli occhiali che gli pendevano da un orecchio, si stese a pancia in sotto sul pavimento per ascoltare attraverso la fessura della porta.

«Vernon» stava dicendo zia Petunia con voce stridula, «guarda l’indirizzo… Ma come fanno a sapere dove dorme? Pensi che stiano sorvegliando la casa?»

«Sorvegliando… spiando… forse ci pedinano» borbottò zio Vernon fuori di sé.

«Ma cosa dobbiamo fare? Rispondergli? Dirgli che non vogliamo…»

Harry vedeva le scarpe nere e tirate a lucido di zio Vernon misurare a grandi passi la cucina.

«No» disse infine. «No, ignoreremo la faccenda. Se non ricevono risposta… Sì, è la cosa migliore… non faremo niente…»

«Ma…»

«Non intendo averne uno per casa. Petunia! Non avevamo giurato, quando lo abbiamo preso, che avremmo messo fine a quella pericolosa insensatezza?»

Quella sera, tornato dal lavoro, zio Vernon fece una cosa che non aveva mai fatto prima: andò a trovare Harry nel suo ripostiglio.

«Dov’è la mia lettera?» chiese il ragazzo non appena zio Vernon fu riuscito a passare dallo sportello. «Chi mi scrive?»

«Nessuno. Era indirizzata a te per sbaglio» disse zio Vernon tagliando corto. «L’ho bruciata».

« Non è stato uno sbaglio» disse Harry arrabbiato. «Sopra c’era l’indirizzo del mio ripostiglio».

«SILENZIO!» urlò zio Vernon, e due ragni caddero dal soffitto. Fece un paio di respiri profondi e poi si costrinse a un sorriso che parve costargli molto sforzo.

«Ehm… già, Harry… a proposito del ripostiglio. Con tua zia stavamo pensando… sei davvero cresciuto troppo per starci dentro… pensavamo che sarebbe carino se ti trasferissi nella seconda camera da letto di Dudley».

«E perché?» chiese Harry.

«Non fare domande» rimbeccò suo zio. «E ora, porta tutta questa roba di sopra».

La casa dei Dursley aveva quattro camere da letto: una per zio Vernon e zia Petunia, una per gli ospiti (in genere, la sorella di zio Vernon, Marge), una dove Dudley dormiva e un’altra dove Dudley teneva tutti i giocattoli e le cose che non entravano nella sua prima camera. A Harry bastò un solo viaggio per trasferire dal ripostiglio tutti i suoi averi. Si sedette sul letto e si guardò intorno. Non c’era una cosa che fosse sana. La cinepresa vecchia di appena un mese era buttata sopra una specie di camionetta con cui una volta Dudley aveva investito il cane dei vicini; in un angolo c’era il primo televisore di Dudley, che il ragazzo aveva sfondato con un calcio quando avevano soppresso il suo programma preferito; c’era una grossa gabbia per uccelli, che un tempo era servita per un pappagallo che Dudley aveva barattato a scuola con un fucile vero ad aria compressa, ora poggiato su una mensola con un’estremità tutta contorta perché lui ci si era seduto sopra. Gli altri scaffali erano pieni di libri. Quelli erano l’unica cosa nella stanza che sembrava non essere mai stata toccata.

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