Joanne Rowling - Harry Potter e la pietra filosofale

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Harry Potter e la pietra filosofale: краткое содержание, описание и аннотация

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Un orfanello dotato di misteriosi poteri, due zii molto antipatici e… si entra nell’eccitante universo del Meraviglioso!
Un ragazzino con gli occhiali grossi ha conquistato la copertina del Time: si chiama Harry Potter. Nel giorno del suo undicesimo compleanno Harry si rende conto di essere dotato di straordinari poteri magici. E di potersi finalmente vendicare di tutte le angherie subite dagli odiosi zii che l’hanno allevato malvolentieri al posto dei genitori spariti nel nulla. Dovrà però frequentare la scuola di magia e stregoneria di Hogwarts, la migliore d’Inghilterra, in un castello dove è custodita la prodigiosa Pietra Filosofale che può sconfiggere le forze del male…

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Signor H. Potter

Stanza 117

Railview Hotel

Cokeworth

Harry fece per prendere la lettera, ma zio Vernon lo colpì scansandogli la mano. La donna osservava stupita.

«Le prenderò io» disse zio Vernon alzandosi in fretta e seguendola fuori della sala da pranzo.

«Non sarebbe meglio andarsene a casa, caro?» suggerì timidamente zia Petunia ore dopo, ma zio Vernon sembrò non sentirla. Nessuno di loro sapeva esattamente che cosa stesse cercando. Li condusse nel bel mezzo di una foresta, scese dall’auto, si guardò intorno, scosse il capo, risali a bordo e ripartirono. La stessa cosa accadde nel centro esatto di un campo arato, a metà di un ponte sospeso e in cima a un parcheggio a più piani.

«Papà è ammattito, vero?» chiese Dudley con voce piatta a zia Petunia verso sera. Zio Vernon aveva parcheggiato l’auto in riva al mare, li aveva chiusi tutti dentro ed era scomparso.

Cominciò a piovere. Grossi goccioloni tambureggiavano sul tettuccio dell’auto. Dudley tirò su col naso.

«È lunedì» disse alla madre. «Stasera ci sono i cartoni. Voglio andare da qualche parte dove hanno il televisore » .

Lunedì. Questo ricordò qualcosa a Harry. Se era lunedì — e in genere si poteva star certi che Dudley sapesse i giorni della settimana per via della televisione — allora l’indomani, martedì, era l’undicesimo compleanno di Harry. Naturalmente, i suoi compleanni non erano mai quel che si dice divertenti: l’anno prima i Dursley gli avevano regalato una gruccia appendiabiti e un paio di calzini smessi di zio Vernon. Tuttavia, undici anni non si compiono mica tutti i giorni.

Zio Vernon era tornato e sorrideva. Portava un involto lungo e sottile e non rispose a zia Petunia quando gli chiese che cosa avesse comperato.

«Ho trovato il posto ideale!» disse. «Venite! Tutti fuori!»

Fuori dall’auto faceva molto freddo. Zio Vernon stava indicando qualche cosa al largo che rassomigliava a un grosso scoglio. Appollaiata in cima allo scoglio c’era la catapecchia più miserabile che si possa immaginare. Una cosa era certa: là dentro di televisori non ce n’erano.

«Le previsioni per stasera annunciano tempesta!» disse zio Vernon in tono gaio, battendo le mani. «Questo signore ha gentilmente acconsentito a prestarci la sua barca!»

Un vecchio sdentato venne verso di loro a passo lento, additando, con un ghigno alquanto malvagio sulla faccia, una vecchia barca a remi che ballonzolava sulle acque grigio ferro proprio sotto di loro.

«Ho già comprato un po’ di provviste» disse zio Vernon, «perciò tutti a bordo!»

Sulla barca faceva un freddo cane. Spruzzi d’acqua gelida e gocce di pioggia gli scendevano giù per il collo e un vento glaciale gli frustava la faccia. Dopo quelle che sembrarono ore raggiunsero lo scoglio dove zio Vernon, fra uno scivolone e una sdrucciolata, li guidò alla casetta diroccata.

L’interno era orribile; c’era un forte odore di alghe, attraverso le fessure delle pareti di legno fischiava il vento e il caminetto era umido e vuoto. C’erano solo due stanze.

Le provviste di zio Vernon si rivelarono essere un pacchetto di patatine a testa e quattro banane. Cercò di fare un fuoco, ma i pacchetti di patatine vuoti si limitarono a fare un gran fumo e ad accartocciarsi.

«Adesso tornerebbe proprio utile qualcuna di quelle lettere, eh?» fece tutto allegro.

Era di ottimo umore. Era chiaro che pensava che nessuno aveva la minima probabilità di raggiungerli per consegnare la posta, con la burrasca che c’era. In cuor suo, Harry fu d’accordo, anche se quel pensiero non lo rendeva affatto allegro.

Al calar della notte, la tempesta annunciata esplose attorno a loro. La schiuma delle onde altissime schizzava sulle pareti della catapecchia e un vento feroce faceva sbattere le luride finestre. Zia Petunia trovò alcune coperte tutte ammuffite nella seconda stanza e arrangiò un letto per Dudley sul divano tutto roso dalle tarme. Lei e zio Vernon si sistemarono sul materasso bitorzoluto della stanza accanto e Harry dovette trovarsi il punto più morbido del pavimento e rannicchiarsi sotto una coperta sottile e sbrindellata.

La notte avanzava e la tempesta infuriava sempre più feroce. Harry non riusciva a dormire. Scosso da brividi, si rigirava alla ricerca di una posizione comoda, con lo stomaco che gli gorgogliava per la fame. Il russare di Dudley era soffocato dal cupo rumore del tuono che iniziò attorno a mezzanotte. Il quadrante luminoso dell’orologio di Dudley. che pendeva oltre il bordo del divano al suo polso grassoccio, informò Harry che avrebbe compiuto undici anni di lì a dieci minuti. Restò sdraiato a guardare il suo compleanno avvicinarsi a ogni ticchettio, a chiedersi se i Dursley se ne sarebbero ricordati, a domandarsi dove fosse adesso l’autore delle lettere.

Ancora cinque minuti. Harry udì qualcosa che scricchiolava all’interno della capanna. Sperò che il tetto non crollasse. Ancora quattro minuti. Forse, al loro ritorno, la casa di Privet Drive sarebbe stata talmente piena di lettere che in qualche modo sarebbe riuscito a rubarne una.

Ancora tre minuti. Era il mare a produrre quei forti schiocchi sullo scoglio? E (ancora due minuti) che cosa era mai quello strano scricchiolio? Era forse lo scoglio che si sgretolava nel mare?

Ancora un minuto e avrebbe compiuto undici anni. Trenta secondi… venti… dieci… nove… forse avrebbe svegliato Dudley soltanto per dargli fastidio… tre… due… uno.

BUM!

Tutta la catapecchia fu scossa da un brivido e Harry saltò su a sedere di scatto fissando la porta. Fuori c’era qualcuno, che bussava chiedendo di entrare.

Capitolo 4

Il custode delle chiavi

BUM! Bussarono di nuovo. Dudley si svegliò di soprassalto.

«Dov’è il cannone?» chiese stupidamente.

Alle loro spalle si udì uno schianto e zio Vernon piombò slittando nella stanza. In mano brandiva un fucile… ora sapevano che cosa conteneva l’involto lungo e sottile che si erano portati dietro.

«Chi va là?» gridò. «Vi avverto… sono armato!»

Ci fu una pausa. Poi…

SMASH!

La porta venne colpita con una tale forza che uscì di netto dai cardini e atterrò con uno schianto assordante sul pavimento.

Sulla soglia si stagliò un uomo gigantesco. Aveva il volto quasi nascosto da una criniera lunga e scomposta e da una barba incolta e aggrovigliata, ma si distinguevano gli occhi che scintillavano come neri scarafaggi sotto tutto quel pelame.

Il gigante sembrò farsi piccolo piccolo per entrare nella catapecchia, piegandosi in modo da sfiorare appena il soffitto con la testa. Poi si chinò a terra, raccolse la porta e la rinfilò nei cardini con la massima disinvoltura. Di fuori, il fragore della tempesta si attuti un poco. Il gigante si voltò per guardarli a uno a uno.

«Che, si potrebbe avere una tazza di tè? Non è stato un viaggio per niente facile…»

A gran passi, si avvicinò al divano dove Dudley giaceva pietrificato dal terrore.

«Muoviti, ciccione!» gli intimò lo straniero.

Con uno squittio, Dudley corse a nascondersi dietro la madre, che per il terrore si era accucciata dietro zio Vernon.

«Oh, ecco Harry!» disse il gigante.

Harry alzò lo sguardo su quella faccia feroce, tutta coperta di pelo incolto e vide gli occhi lucidi come neri scarafaggi socchiudersi in un sorriso.

«L’ultima volta che ti ho visto, eri ancora un soldo di cacio» disse il gigante. «Hai preso dal tuo papà, ma gli occhi sono della mamma».

Zio Vernon emise uno strano rumore stridulo.

«Le ingiungo di uscire immediatamente, signore!» disse. «Questa è un’effrazione bella e buona!»

«Ma chiudi il becco, scimunito d’un Dursley!» esclamò il gigante; allungò la mano oltre lo schienale del divano, strappò il fucile dalle mani di zio Vernon, ci fece un nodo con la massima facilità come fosse stato di gomma, e lo scaraventò in un angolo.

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