Joanne Rowling - Harry Potter e la pietra filosofale

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Harry Potter e la pietra filosofale: краткое содержание, описание и аннотация

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Un orfanello dotato di misteriosi poteri, due zii molto antipatici e… si entra nell’eccitante universo del Meraviglioso!
Un ragazzino con gli occhiali grossi ha conquistato la copertina del Time: si chiama Harry Potter. Nel giorno del suo undicesimo compleanno Harry si rende conto di essere dotato di straordinari poteri magici. E di potersi finalmente vendicare di tutte le angherie subite dagli odiosi zii che l’hanno allevato malvolentieri al posto dei genitori spariti nel nulla. Dovrà però frequentare la scuola di magia e stregoneria di Hogwarts, la migliore d’Inghilterra, in un castello dove è custodita la prodigiosa Pietra Filosofale che può sconfiggere le forze del male…

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«No, no» fece Hermione. «Macché uscendo. Senti, Neville, perché non te ne vai a letto?»

Harry lanciò un’occhiata alla pendola, accanto alla porta. Non potevano permettersi di perdere altro tempo: forse, proprio in quel momento, Piton stava suonando la ninnananna a Fuffi.

«Non potete uscire» insisté Neville. «Vi pescheranno un’altra volta, e Grifondoro sarà nei guai più di prima».

«Non capisci» disse Harry, «è importante».

Ma Neville stava chiaramente raccogliendo le forze in vista di un gesto disperato.

«Non vi permetterò di farlo!» esclamò mettendosi in piedi davanti al buco dietro il ritratto. «Sono disposto anche a fare a pugni!»

« Neville! » sbottò Ron. «Togliti da là e non fare il cretino…»

«Non darmi del cretino!» ribatté Neville. «Credo proprio che non dovresti violare le regole un’altra volta. Guarda che sei stato proprio tu a insegnarmi a tener testa agli altri!»

«Sì, ma non a noi» disse Ron esasperato. «Neville, non sai quel che fai».

Fece un passo avanti e Neville lasciò cadere il rospo Oscar, che si allontanò a grandi balzi.

«E allora dài, prova a picchiarmi!» esclamò Neville alzando i pugni. «Sono pronto!»

Harry si volse verso Hermione.

«Fa’ qualcosa» le disse in tono disperato.

Hermione si fece avanti.

«Neville, scusami, scusami tanto».

Poi alzò la sua bacchetta magica.

« Petrificus Totalus! » gridò puntandola contro Neville.

Le braccia del ragazzo si bloccarono con uno scatto lungo i fianchi; le gambe si strinsero insieme. Il suo corpo s’irrigidì come uno stoccafisso, e il povero ragazzo ondeggiò paurosamente per poi cadere in avanti, lungo disteso e tutto d’un pezzo.

Hermione corse verso di lui e lo girò. Le mascelle di Neville erano talmente serrate insieme che non riusciva a parlare. Solo gli occhi si muovevano, volgendo sui due compagni uno sguardo inorridito.

«Ma che cosa gli hai fatto?» bisbigliò Harry.

«È l’Incantesimo della Pastoia Total-Body» rispose Hermione in tono sconsolato. «Oh, Neville, mi dispiace tanto».

«Abbiamo dovuto farlo, Neville, non c’è tempo di spiegare» disse Harry.

«Capirai dopo, Neville» disse Ron mentre lo scavalcavano e si coprivano con il mantello che rende invisibili.

Ma lasciare il compagno steso immobile per terra non sembrava molto di buon auspicio. Nervosi com’erano, vedevano Gazza nell’ombra di ogni statua, e in ogni alito di vento che soffiava a distanza credevano di sentire Pix che piombava su di loro.

Giunti ai piedi della prima scalinata, avvistarono Mrs Purr appiattata sull’ultimo gradino.

«Oh senti, diamole un bel calcio, per una volta» soffiò Ron all’orecchio di Harry, ma questi scosse la testa. Mentre l’aggiravano con circospezione, Mrs Purr puntò su di loro i suoi occhi simili a fari, ma non fece niente.

Non incontrarono nessun altro fino a quando non furono saliti al terzo piano. A metà della rampa c’era Pix che, ballonzolando a mezz’aria, scostava il tappeto nella speranza che qualcuno ci inciampasse.

«Chi è là?» chiese a un tratto mentre salivano. Poi socchiuse i maligni occhi scuri. «Anche se non vi vedo, lo so che siete lì. Siete mostricini, fantasmini o insulsi studentini?»

Si sollevò in aria e rimase lì a galleggiare, sempre fissandoli con gli occhi socchiusi.

«Qua c’è in giro qualcosa che non si vede. Dovrei chiamare Gazza. Già, proprio così».

Improvvisamente, Harry ebbe un’idea.

«Pix» disse piano, con voce roca e contraffatta, «il Barone Sanguinario ha le sue buone ragioni per rendersi invisibile».

Pix rimase tanto scioccato che stava per cadere giù dall’aria. Ma si riprese in tempo e rimase a galleggiare a trenta centimetri dai gradini.

«Oh, mi scusi tanto, Eccellenza Sanguinaria!» disse con voce untuosa. «È stato un deplorevole errore… non l’avevo vista… E per forza non l’avevo vista: lei è invisibile… Signore, perdoni l’innocente scherzetto di un povero vecchietto…!»

«Ho da fare qui, Pix» fece Harry sempre gracchiando. «Per questa notte, veda di starsene alla larga».

«Ma certo, signore, ci conti, signore» rispose Pix levandosi in alto. «Spero che passi una buona nottata, barone: io non la disturberò».

E se la filò senza guardarsi indietro.

« Geniale, Harry!» bisbigliò Ron.

Così, qualche istante dopo, giunsero appena fuori del corridoio del terzo piano… e la porta era già aperta.

«Ecco fatto: ci siamo» disse Harry a bassa voce. «Piton è già riuscito a entrare evitando Fuffi».

Alla vista della porta aperta, tutti e tre si immaginarono quello che stavano per vedere. Sotto il mantello, Harry si rivolse ai due compagni.

«Se volete tornare indietro, non vi darò torto» disse. «Potete anche prendervi il mantello, tanto io non ne ho più bisogno».

«Non fare lo scemo» disse Ron.

«Veniamo con te» rincarò Hermione.

Harry spinse la porta.

Mentre questa scricchiolava, giunse alle loro orecchie un brontolio sordo. L’enorme cane si mise a fiutare nella loro direzione con tutti e tre i nasi, anche senza vedere di chi si trattava.

«Che cos’è quella cosa ai suoi piedi?» bisbigliò Hermione.

«Sembra un’arpa» fece Ron. «Deve averla lasciata qui Piton».

«Probabilmente, quella bestia si sveglia quando uno smette di suonare» commentò Harry. «Be’, cominciamo…»

Si portò alle labbra il flauto di Hagrid e cominciò a soffiarci dentro. Non era un vero e proprio motivo, eppure fin dalla prima nota le palpebre del cagnone cominciarono a socchiudersi. Harry suonava quasi senza riprendere fiato. Lentamente il brontolio cessò: il cane oscillò un poco sulle zampone e poi cadde in ginocchio. Alla fine scivolò a terra, profondamente addormentato.

«Continua a suonare» consigliò Ron a Harry mentre sgusciavano fuori da sotto il mantello e strisciavano verso la botola. Passando accanto alle tre teste gigantesche del cane, sentirono il suo fiato caldo e puzzolente.

«Credo che in tre riusciremo ad aprirla» disse Ron sbirciando oltre il dorso dell’animale. «Vuoi andare tu per prima, Hermione?»

«Manco per sogno!»

«E va bene». Ron strinse i denti e scavalcò con circospezione le zampe del cane. Poi, chinatosi, tirò forte l’anello della botola, che si spalancò all’istante.

«Che cosa vedi?» chiese Hermione ansiosa.

«Niente, solo buio… non c’è modo di scendere, dovremo saltare giù».

Harry, che stava sempre suonando il flauto, fece un cenno a Ron per attirare la sua attenzione e indicò se stesso.

«Vuoi andare tu? Ma sei proprio sicuro?» disse Ron. «Non so neanche quant’è profonda la buca. Da’ il flauto a Hermione, così evitiamo che si svegli».

Harry le passò lo strumento. Nei pochi secondi di silenzio che trascorsero, il cane si agitò ed emise una specie di grugnito, ma non appena la ragazza prese a suonare, tornò a dormire profondamente.

Harry lo scavalcò e guardò giù nella botola. Il fondo non si scorgeva neanche.

Allora si calò attraverso l’imboccatura, fino a quando non rimase appeso solo per le punte delle dita. Poi, rivolgendosi a Ron che era rimasto di sopra, disse: «Se mi succede qualcosa, non venitemi dietro. Andate dritti filati alla voliera dei gufi e mandate Edvige da Silente. Siamo intesi?»

«D’accordo» fece Ron.

«Ci vediamo tra un attimo, o almeno spero…»

E Harry mollò la presa. Con il volto sferzato da un’aria fredda e umida, precipitò in basso, sempre più in basso, finché…

FLOMP. Era atterrato su qualcosa di soffice, che produsse uno strano tonfo attutito. Si tirò su a sedere e si tastò intorno alla cieca: i suoi occhi non si erano ancora abituati a tutto quel buio. Aveva l’impressione di stare seduto su una specie di pianta.

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