Robert Jordan - Il Drago Rinato

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«Come se avessi la possibilità di fare diversamente» brontolò Min.

«Hai avuto la fortuna... o la sfortuna, se la vedi a questo modo... d’imbatterti non in uno solo, ma in tre ta’veren. Rand, Mat e Perrin. Per quanto mi riguarda, la ritengo una grande fortuna, anche se non li considerassi amici. Potrei persino...» Guardò i due, a un tratto intimidito, muovendo a scatti le orecchie. «Promettete di non ridere? Penso di scrivere un libro, su questo. Da un po’ di tempo prendo appunti.»

Min gli rivolse un sorriso amichevole e Loial tornò a raddrizzare le orecchie.

«Un’idea magnifica» disse la ragazza. «Ma alcuni di noi si sentono come marionette appese ai fili di questi ta’veren. »

«Non l’ho voluto io» sbottò Perrin.

Min non gli badò. «È questo che ti è accaduto, Loial? Per questo viaggi con Moiraine? Voi Ogier lasciate raramente gli stedding. Uno di questi ta’veren ti trascina?»

Loial esaminò con attenzione la pipa. «Volevo soltanto vedere i boschetti piantati dagli Ogier» borbottò. «Soltanto vedere i boschetti.» Lanciò un’occhiata a Perrin, quasi a chiedere aiuto.

Ma Perrin si limitò a sogghignare. “Vediamo come il ferro ti si adatta allo zoccolo” pensò. Non sapeva tutta la storia, ma sapeva che Loial era scappato di casa; aveva novant’anni, ma per i criteri degli Ogier non era ancora tanto adulto da lasciare lo stedding (andare all’Esterno, dicevano loro) senza il permesso degli Anziani. Gli Ogier avevano vita lunghissima rispetto agli esseri umani. Loial aveva detto che gli Anziani non sarebbero stati molto contenti, quando l’avessero riavuto fra le mani. E pareva deciso a rinviare il più possibile quel momento.

Fra gli shienaresi ci fu un po’ d’agitazione e parecchi si alzarono. Rand usciva dalla baracca di Moiraine.

Anche da quella distanza, Perrin lo distingueva chiaramente: un giovanotto dai capelli rossicci e dagli occhi grigi. Rand aveva l’età di Perrin, in altezza lo superava di mezza testa, ma era più snello, anche se dotato di spalle larghe. Indossava una giubba rossa dal collo alto, con ricami a forma di tralci spinosi lungo le maniche; sul petto del mantello scuro risaltava la stessa figura dello stendardo, il serpente a quattro zampe, con la criniera dorata. Lui e Rand erano amici fin da ragazzini. Ma lo erano ancora? Potevano essere amici, adesso?

Gli shienaresi s’inchinarono tutti insieme, a testa alta, ma con le mani sulle ginocchia. «Lord Drago» disse Huno «siamo pronti. Onorato di servire.»

Proprio Huno, che non riusciva mai a dire una frase senza condirla d’imprecazioni, parlava ora col massimo rispetto. Gli altri gli fecero eco: «Onorato di servire.» Anche Masema, che vedeva di ogni cosa il lato negativo e che ora aveva negli occhi una luce di devozione; e Ragan; e tutti gli altri, in attesa solo di un ordine, come se per Rand fosse un piacere dare ordini.

Rand, più in alto sul pendio, li fissò per un momento; poi si girò e sparì fra gli alberi.

«Ha avuto di nuovo una discussione con Moiraine» disse piano Min. «Per tutta la giornata, stavolta.»

Perrin ebbe ugualmente un piccolo moto di sorpresa. Discutere con una Aes Sedai! Gli tornarono in mente tutte le storie dell’infanzia. Le Aes Sedai, che muovevano in segreto i fili di troni e di nazioni. Le Aes Sedai, i cui doni nascondevano sempre un inghippo e avevano un prezzo sempre inferiore di quanto non si pensasse, eppure sempre maggiore di quanto non si riuscisse a immaginare. Le Aes Sedai, la cui collera frantumava il terreno e chiamava i fulmini. Alcune di quelle storie non erano vere, ora lo sapeva; tuttavia le verità in esse contenute non erano neppure la metà del totale.

«Meglio che vada da lui» disse. «Dopo una discussione con Moiraine ha sempre bisogno di parlare con qualcuno.»

E, a parte Moiraine e Lan, soltanto loro tre — Min, Loial e Perrin — non guardavano Rand come se stesse al di sopra dei monarchi. Dei tre, solo lui conosceva Rand da quand’erano ragazzi.

Risalì il pendio, soffermandosi a dare un’occhiata alla porta chiusa della baracca di Moiraine. Dentro c’era di sicuro Leya; e anche Lan: ben di rado il Custode si allontanava dall’Aes Sedai.

La baracca di Rand, molto più piccola, si trovava un po’ più in basso, ben nascosta fra gli alberi, distanziata dalle altre. Rand aveva provato a stare fra gli shienaresi, ma era stato costretto ad allontanarsi dal loro costante stupore reverenziale e ora se ne stava da solo. Fin troppo, secondo Perrin. Ma in quel momento Rand non era diretto alla propria baracca.

Perrin proseguì fin dove una parete della valle diventava all’improvviso uno strapiombo alto cento passi e privo d’appigli, a parte qualche arbusto tenacemente abbarbicato qua e là. Nella grigia parete di roccia si apriva una fenditura, larga appena quanto bastava a consentire il passaggio; in alto c’era un nastro di luce del giorno al tramonto. Pareva di camminare in un cunicolo.

La fenditura correva per mezzo miglio e all’improvviso sbucava in una stretta valle, lunga meno d’un miglio, col fondo sassoso e le ripide pareti fittamente rivestite di alte ericacee, di pini e di abeti. Il sole al tramonto fra le cime montuose vi gettava lunghe ombre. Le pareti della valle, interrotte solo da quell’unica fenditura, erano ripide come se un’ascia gigantesca si fosse conficcata nelle montagne. La valle era più facilmente difendibile della conca, ma non aveva una sorgente né un ruscello. Non ci andava nessuno, a parte Rand, dopo una discussione con Moiraine.

Rand si era fermato poco lontano dall’ingresso; appoggiato contro il tronco scabro di una ericacea, si fissava il palmo delle mani. Perrin sapeva che su ciascuno aveva un marchio a fuoco a forma d’airone. Rand non si mosse, neanche quando gli stivali di Perrin scricchiolarono sui sassi.

A un tratto sì mise a declamare a bassa voce, senza staccare lo sguardo dalle proprie mani:

Due volte e due egli sarà segnato,
Due per la vita e sì due volte per la morte.
Prima l’airone per marcar la strada
Quindi l’airone per nomarlo vero.
Prima col Drago, per chiamar memoria.
Quindi col Drago, per pagare il prezzo.

Con un brivido, nascose le mani sotto le braccia. «Aironi, ma niente Draghi, ancora» ridacchiò, agro. «Non ancora.»

Per un istante Perrin si limitò a guardarlo: un uomo in grado d’incanalare l’Unico Potere. Un uomo destinato a impazzire per la contaminazione di Saidin , la metà maschile della Vera Fonte, e sicuro di distruggere nella propria pazzia tutto ciò che aveva intorno. Un uomo... un essere!... che tutti imparavano fin dall’infanzia a odiare e a temere. Però... era impossibile non vedere in lui il ragazzo con cui era cresciuto. Come si fa a troncare di colpo l’amicizia? Scelse un macigno piatto e vi si sedette, ad aspettare.

Dopo un poco Rand girò la testa e guardò l’amico. «Pensi che Mat stia bene?» domandò. «Pareva molto malato, l’ultima volta.»

«A quest’ora starà bene» rispose Perrin. Ormai Mat era giunto di sicuro a Tar Valon. Lì l’avrebbero Guarito. Nynaeve e Egwene gli avrebbero impedito di cacciarsi nei guai. Egwene e Nynaeve, Rand e Mat e Perrin: tutti e cinque di Emond’s Field, nei Fiumi Gemelli. Pochi erano entrati nei Fiumi Gemelli, a parte occasionali venditori ambulanti e qualche mercante che giungeva una volta all’anno per comprare lana e tabacco. Quasi nessuno del luogo era mai andato via. Finché la Ruota non aveva scelto i suoi ta’veren , e cinque semplici campagnoli non erano più potuti restare dove si trovavano.

Rand annuì e rimase in silenzio.

«Ultimamente» disse Perrin «mi scopro a desiderare d’essere ancora un fabbro. Tu... tu rimpiangi di non essere più un pastore?»

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