Robert Jordan - Il Drago Rinato
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«Dovere» borbottò Rand. «La morte è più leggera d’una piuma, il dovere è più pesante d’una montagna. Così dicono nello Shienar. Il Tenebroso si muove. L’Ultima Battaglia s’approssima. E il Drago Rinato deve affrontare il Tenebroso nell’Ultima Battaglia, altrimenti l’Ombra ricoprirà ogni cosa. La Ruota del Tempo sarà spezzata. Ogni Epoca sarà rifatta a immagine del Tenebroso. Ci sono solo io.» Si mise a ridere senza allegria, scuotendo le spalle. «Ho il dovere, perché non c’è nessun altro, no?»
Perrin cambiò posizione, a disagio: la risata aveva una crudezza che gli faceva accapponare la pelle. «Hai avuto un’altra discussione con Moiraine, ho saputo. Sempre sullo stesso argomento?»
Rand trasse un respiro profondo, irregolare. «Non discutiamo sempre sulla stessa cosa? Sono laggiù, nella Piana di Almoth, e solo la Luce sa in quale altro posto. Centinaia. Migliaia. Si sono proclamati a favore del Drago Rinato soltanto perché ho sollevato lo stendardo. Perché mi sono dichiarato il Drago. Perché non vedevo altra scelta. E muoiono. Combattono, cercano, pregano per l’uomo che in teoria dovrebbe guidarli. Muoiono. Mentre io me ne sto qui al sicuro per tutto l’inverno. Devo... devo loro... qualcosa.»
«Pensi che a me piaccia?» replicò Perrin, scuotendo la testa, irritato.
«Tu accetti qualsiasi cosa lei ti dica» ribatté Rand. «Non la contraddici mai.»
«Per ciò che ne hai ricavato tu, a contraddirla! Hai discusso per tutto l’inverno e per tutto l’inverno siamo rimasti qui come salami.»
«Perché lei ha ragione» dichiarò Rand, con quella risata che gelava il sangue. «La Luce mi bruci, ha ragione. Sono suddivisi in piccoli gruppi per tutta la piana, per il Tarabon e per l’Arad Doman. Se mi unisco a un qualsiasi gruppo, i Manti Bianchi e gli eserciti tarabonesi e domanesi gli piomberanno addosso come passeri sulle briciole.»
Perrin rimase confuso. «Se la pensi come lei, perché sei sempre lì a discutere?»
«Perché devo fare qualcosa. Altrimenti... altrimenti scoppio come un melone marcio.»
«Fare cosa? Se ascolti le sue parole...»
Rand non gli diede l’opportunità di dire che sarebbero rimasti lì per sempre. «Le parole di Moiraine!» sbottò. «Moiraine dice, Moiraine dice!» Si raddrizzò di scatto e si strinse la testa. «Moiraine ha qualcosa da dire su ogni questione! Moiraine dice che non devo andare dalla gente che muore nel mio nome. Moiraine dice che saprò cosa fare perché il Disegno mi obbligherà a farlo. Ma non dice mai come farò a saperlo! Oh, no, questo lei non lo sa!» Lasciò cadere lungo i fianchi le mani e si girò verso Perrin, a testa inclinata e a occhi socchiusi. «A volte ho la sensazione che Moiraine mi metta alla prova come se fossi uno di quei cavalli tairenesi addestrati a fare passi di danza. A te non accade mai?»
Perrin si grattò i capelli arruffati. «Io... Chiunque ci spinga o ci tiri, Rand, io so chi è il nemico.»
«Ba’alzamon» disse Rand a bassa voce. L’antico nome per indicare il Tenebroso. Cuore delle Tenebre, nella lingua dei Trolloc. «E io devo affrontarlo, Perrin.» Chiuse gli occhi, in una smorfia per metà sorriso e per metà sofferenza. «La Luce m’aiuti, da una parte vorrei che accadesse subito, che tutto si concludesse e si risolvesse per sempre; dall’altra... Quante volte posso riuscire a... Luce santa, come mi attira... E se non potessi... E se...» Il terreno tremò.
«Rand?» disse Perrin, preoccupato.
Rand rabbrividì; malgrado il freddo, era sudato in viso. Teneva sempre gli occhi serrati. «Oh, Luce santa» gemette «come mi attira.»
All’improvviso il terreno si sollevò; un forte rombo riempì d’echi la valle. Perrin ebbe l’impressione che gli tirassero via la terra da sotto i piedi. Cadde... o il terreno si sollevò a incontrarlo. La valle tremò come se una mano gigantesca si fosse protesa dal cielo a sradicarla. Perrin rimase incollato al terreno che cercava di scuoterlo via. Davanti a lui, i ciottoli schizzavano e ruzzolavano, la polvere si alzava a ondate.
«Rand!» Il grido di Perrin si perdette nel fragore.
Rand era in piedi, con la testa gettata all’indietro, gli occhi serrati. Pareva non sentire i sobbalzi del terreno, che lo facevano pendere ora da una parte, ora dall’altra. Non perdette mai l’equilibrio, per quanto venisse sbatacchiato. Perrin non poteva esserne sicuro, scosso com’era, ma credette di scorgere sul viso di Rand un sorriso triste. Gli alberi erano squassati; all’improvviso l’ericacea si spezzò in due e la parte maggiore del tronco si schiantò per terra a neppure tre passi da Rand. Lui non se ne accorse, come non si accorgeva del resto.
Perrin lottò per riempirsi i polmoni. «Rand!» gridò. «Per amore dalla Luce, Rand! Smettila!»
Con la repentinità con cui era iniziato, tutto finì. Da una quercia stenta si staccò con un forte schiocco un ramo indebolito. Lentamente Perrin si alzò, tossendo. La polvere aleggiava a mezz’aria, corpuscoli che brillavano sotto i raggi del sole al tramonto.
Ora Rand fissava il nulla e ansimava come se avesse appena fatto di corsa dieci miglia. Una cosa del genere non gli era mai accaduta... e nemmeno qualcosa di lontanamente simile.
«Rand» disse Perrin, cauto «cosa...»
Rand aveva ancora lo sguardo perduto nel vuoto. «È sempre presente» disse. «Mi chiama. Mi attira. Saidin. La metà maschile della Vera Fonte. A volte non riesco a trattenermi e cerco d’afferrarlo.» Fece il gesto di strappare qualcosa e si fissò il pugno. «Riesco a sentire la contaminazione, ancora prima di toccarlo. La contaminazione del Tenebroso, simile a una pellicola di sporcizia che cerca di nascondere la Luce. Mi rivolta lo stomaco, ma non posso farci niente. Non posso! Solo, a volte, mi protendo e ho l’impressione d’afferrare aria.» Aprì di scatto la mano vuota e rise con amarezza. «E se mi accade durante l’Ultima Battaglia? Se protendo la mano e non afferro niente?»
«Be’, quella volta qualcosa hai preso» replicò Perrin, rauco. «Cosa facevi?»
Rand si guardò intorno, come se vedesse per la prima volta ciò che lo circondava. L’ericacea schiantata e i rami rotti. C’erano, si sorprese Perrin, ben pochi danni. Si era aspettato voragini nel terreno. La muraglia d’alberi pareva quasi intatta.
«Non volevo fare danno. È stato come se avessi voluto girare uno zipolo e avessi invece strappato dalla botte tutto il pezzo. Mi... mi ha riempito. Dovevo scaricarlo da qualche parte, prima che mi consumasse, ma... ma non volevo fare danno.»
Perrin scosse la testa. A che cosa serviva, dirgli di non rifarlo? Neppure lui sapeva bene che cosa faceva. «C’è già abbastanza gente che ti vuole morto... e noi con te... senza che tu gli risparmi il lavoro» si accontentò di dire. Gli parve che Rand non lo ascoltasse. «Meglio tornare al campo. Presto sarà buio. Non so tu, ma io ho fame.»
«Cosa? Oh. Vai avanti, Perrin. Fra poco ti raggiungo. Voglio stare da solo ancora per un poco.»
Perrin esitò; poi si diresse con riluttanza alla fenditura nella parete rocciosa. Si fermò nell’udire di nuovo la voce di Rand.
«Quando dormi, fai mai dei sogni? Sogni belli?»
«A volte» rispose Perrin, cauto. «Ma non li ricordo quasi mai.» Aveva imparato a proteggersi dai sogni.
«Ci sono sempre, i sogni» disse Rand, a voce così bassa che Perrin udì a malapena. «Forse ci dicono delle cose. Cose vere.» Rimase in silenzio, a rimuginare.
«La cena ti aspetta» disse Perrin; ma Rand era sprofondato nei pensieri. Alla fine Perrin si decise, gli girò le spalle e lo lasciò lì.
3
Notizie dalla Piana
Il buio velava un tratto della fenditura, perché in un punto, su in alto, il terremoto aveva fatto crollare una parte della parete contro quella opposta. Perrin guardò con diffidenza la zona buia, prima di passare in fretta sotto la lastra di pietra, che pareva però incuneata solidamente. In fondo alla mente gli era tornato il prurito, più forte di prima. No, maledizione, no! Il prurito scomparve.
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