«Se non vi dispiace, vorrei che rimaneste un poco. Tutti voi».
Si trovavano in una stanza piccola. Sherman la attraversò, e aprì una porta che dava nel soggiorno, e Len vide che c’erano sette od otto uomini, in attesa.
«Non vi è niente di cui preoccuparsi,» disse Sherman, indicando loro di passare nell’altra stanza. «Quelle tre sedie, là, alla tavola… bene. Sedetevi. Desidero che parliate con queste persone».
Sedettero, l’uno vicino all’altro, allineati. Sherman sedette vicino a loro, e accanto a Sherman si mise Hostetter, e gli altri si affollarono intorno alla tavola. C’erano penne e carta e qualche altra cosa, e al centro un grosso canestro con il coperchio abbassato. Sherman presentò gli uomini, ma Len non riuscì a ricordare i nomi, a parte quelli di Erdmann e Gutierrez, che conosceva già dalla sera prima. Erano tutti di mezza età, e avevano lo sguardo penetrante, e sembravano persone abituate a esercitare una certa autorità. Furono tutti molto cortesi con Amity.
Sherman disse:
«Questa non è una inquisizione, o cose del genere: siamo tutti, semplicemente, molto interessati. Quando avete sentito parlare per la prima volta di Bartorstown? Cosa vi ha deciso a venire qui, con tanta determinazione? Come è cominciata la faccenda, e che cosa vi è accaduto a causa della vostra decisione? Puoi cominciare tu, Ed? Credo che tu abbia vissuto la cosa dall’inizio».
«Ebbene,» disse Hostetter. «Io credo che tutto sia cominciato quella notte, quando Esaù rubò la radio».
Sherman si voltò a fissare Esaù, che parve molto a disagio.
«Probabilmente ho fatto qualcosa di male, ma allora ero soltanto un ragazzo. E avevano ucciso quell’uomo, solo perché dicevano che veniva da Bartorstown… è stata una notte terribile. E io ero curioso».
«Continuate,» disse Sherman, e tutti si protesero verso di lui, visibilmente interessati. Esaù continuò a narrare la storia, e ben presto Len fu chiamato a intervenire, e i due giovani parlarono della predica, e della lapidazione di Soames, e di come la radio fosse diventata per loro una vera e propria fissazione. E con l’aiuto di Hostetter, che si inseriva nei momenti dubbi, o fondamentali, e con Sherman o uno degli altri uomini che rivolgevano a volte delle domande, ben presto essi narrarono l’intera storia, fino al momento in cui Hostetter e i barcaioli li avevano salvati dal fumo e dall’ira di Refuge. Amity aveva qualcosa da aggiungere, a sua volta, e le sue descrizioni furono di indubbia efficacia. Quando ebbero finito, parve a Len che avessero affrontato troppe difficoltà, troppi pericoli e troppe avventure, per quello che avevano infine trovato una volta arrivati alla città dei loro sogni; ma questo non lo disse.
Sherman si alzò, e aprì un’altra porta, che si trovava dalla parte opposta della stanza. C’era una stanza piena di apparecchiature, là, e un uomo che sedeva al centro di quelle apparecchiature, con una cosa dall’aria buffa sulla testa. Tolse lo strano oggetto, e Sherman domandò:
«Tutto bene?»
L’uomo annuì.
«Tutto bene».
Sherman chiuse di nuovo la porta, e si voltò.
«Ora vi posso dire che avete parlato a tutto Fall Creek, e Bartorstown». Sollevò il coperchio del canestro, e mostrò cosa c’era all’interno. «Questi sono dei microfoni. Ogni parola che avete detto è stata raccolta e trasmessa». Lasciò cadere di nuovo il coperchio, e li guardò negli occhi, uno dopo l’altro. «Volevo che tutti ascoltassero la vostra storia, narrata con le vostre parole, e mi è parso questo il modo migliore. Avevo paura che, mettendovi su un palco, con quattrocento persone intente a fissarvi, sareste rimasti muti e paralizzati. Così ho fatto questo».
«Oh, santo cielo,» esclamò Amity, e si coprì la bocca con le mani.
Sherman guardò gli altri uomini.
«Davvero una storia fantastica, no?»
«Sono giovani,» disse Gutierrez. Pareva malato, malatissimo, e la sua voce era debole, ma sempre scontrosa. «Possiedono fede e fiducia».
«Lasciamo che la conservino,» disse Erdmann, in tono stridulo. «Per l’amor di Dio, che almeno qualcuno la conservi!»
Gentile, paziente, Sherman disse:
«Avete entrambi bisogno di riposo. Volete fare un grande favore a tutti? Andate a riposare, adesso».
«Oh, no,» disse Gutierrez. «Non lo farei per niente al mondo. Non posso perdere questo spettacolo. Voglio vedere i loro volti splendere, quando vedranno per la prima volta la città fatata».
Guardando i microfoni, Len disse:
«Avete detto che c’era una ragione per cui avevate deciso di lasciarci venire qui. È questa?»
«In parte,» disse Sherman. «La nostra gente è umana. La maggior parte di noi non ha contatti diretti con il lavoro principale, e così non si sente importante, né direttamente interessata. I nostri vivono un’esistenza da reclusi, qui. Comincia a serpeggiare il malcontento. La vostra storia è un potente strumento per ricordare com’è la vita fuori da qui, e per quale motivo noi dobbiamo portare avanti ciò che stiamo facendo. La vostra storia è anche un grande motivo di speranza, per noi e per tutti».
«In qual modo?»
«Serve a dimostrare che ottant’anni di controllo rigoroso e assoluto non sono riusciti a sradicare dal mondo l’antica arte del libero pensiero».
«Sii sincero, Harry,» disse Gutierrez. «Nella nostra decisione hanno avuto peso soprattutto i motivi sentimentali».
«Può darsi,» ammise Sherman. «Sarebbe stato un tradimento verso ogni cosa nella quale crediamo, verso tutto ciò che desideriamo simboleggiare, se vi avessimo lasciati impiccare perché avevate creduto in noi. Per lo meno, a Fall Creek tutti la pensavano così».
Li guardò, pensieroso.
«Forse è stata una decisione stupida e avventata. Nessuno di voi potrà, molto probabilmente, contribuire al nostro lavoro, e voi costituite un problema sproporzionato alla vostra importanza personale. Siete i primi stranieri che abbiamo accettato tra noi, da più anni di quanti ne possa ricordare. Non possiamo lasciarvi andare. Non vogliamo essere costretti a fare ciò che ho detto ieri sera, come minaccia. Così dovremo fare molta fatica, e avere molta pazienza, e sforzarci, più di quanto ci sia mai capitato di sforzarci per uno dei nostri, affinché voi siate perfettamente integrati nel tessuto della nostra esistenza, dei nostri pensieri, della nostra mèta particolare. Se non vogliamo sorvegliarvi per tutta la vita, se non vogliamo destinare gran parte del nostro tempo a tenervi d’occhio, dobbiamo riuscire a trasformarvi in veri cittadini di Bartorstown, degni della nostra piena fiducia. E questo, praticamente, significa una completa rieducazione».
Diede un’occhiata penetrante e ironica a Hostetter.
«Lui ha giurato che ne valete la pena. Spero che abbia ragione».
Si chinò, allora, e strinse la mano ad Amity.
«Grazie, signora Colter, ci siete stata di grande aiuto. Non credo che trovereste molto interessante la passeggiata che stiamo per fare, così perché non vi fermate a fare colazione con mia moglie? Ne sarebbe felicissima, e potrebbe aiutarvi in molte cose».
Accompagnò Amity alla porta, senza curarsi delle occhiate che la giovane donna lanciava intorno, evidentemente confusa, e l’affidò a Mary Sherman, una donna che pareva avere la virtù di trovarsi sempre dove si aveva bisogno di lei, e di sparire silenziosamente quando la sua utilità era apparentemente cessata.
La porta si chiuse, e Amity, accompagnata da Mary Sherman, scomparve dietro di essa.
Allora Sherman ritornò indietro, avvicinandosi alla tavola, e rivolse un breve cenno a Len e a Esaù.
«Bene,» disse. «Andiamo».
«A Bartorstown?» domandò Len.
E Sherman rispose:
«A Bartorstown».
La spiegazione era semplice, quando la si conosceva. Così semplice, che Len si rese conto che non c’era da meravigliarsi di non averla indovinata. Sherman li guidò, risalendo la gola, oltre il pendio della miniera, fino all’altro lato della piccola diga. Con loro c’erano Gutierrez, Erdmann e Hostetter, e altri due uomini, tra quelli presenti alla riunione. Gli altri se ne erano andati, chiamati dai loro lavori in qualche altro posto. Il sole era caldo, laggiù, sul fondo della valle, e la polvere era secca. L’aria sapeva di polvere e di legno e di aghi di pino e di muli. Len diede un’occhiata a Esaù. Il suo viso era pallido e teso, e i suoi occhi vagavano incerti, come se egli non avesse voluto vedere quello che appariva davanti a lui. Len capiva quello che suo cugino provava. Quella era la fine, la solida, inesorabile verità, la fine del sogno. Avrebbe dovuto provare un senso di eccitazione, e di sgomento, e di apprensione. Avrebbe dovuto sentire qualcosa. Ma non sentiva niente. Aveva già consumato tutti i sentimenti del suo spirito, e adesso era soltanto un uomo, un uomo che camminava.
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