Leigh Brackett - La città proibita

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La città proibita: краткое содержание, описание и аннотация

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La storia di Len Colter e di suo cugino Esaù, può essere la storia dei nostri nipoti. Len Colter viveva in un piccolo paese rurale degli Stati Uniti, dove per legge, dopo la distruzione, era stata proibita la costruzione di città e la diffusione del sapere nelle sue forme piú avanzate. Due generazíoní prima era caduta sulle loro città la grande Distruzione, provocata dalla conoscenza scientifica dei segreti della natura. Lo spaventoso flagello era stato interpretato dalle coscienze terrorizzate come il castigo di Dio per l’orgoglio e i peccati dell’uomo. I due giovani, spinti dal desiderio delle «cose vecchie», delle quali sentivano parlare con nostalgia dai nonni: le automobili, gli aeroplani, le case con ogni comfort, le città in una fantasmagoria di luci, e ossessionati dai discorsi sentiti di nascosto sulla esistenza di una città sopravvissuta, si mettono su di un sentiero aspro e difficile. Incontreranno l’amicizia, e la delusione, l’amore e la morte, la fame e la sete, la lotta contro le intemperie e contro la propria coscienza: ma andranno alla ricerca della città del loro sogno. Len, dal carattere piú complesso, sostiene la lotta píú aspra ed è salvato piú volte, non solo materialmente dall’amicizia di Hostetter, il mercante, che rappresenta il legame ideale tra il mondo lasciato da Len e il mondo nuovo. E sarà Hostetter che ricondurrà Len di fronte alla realtà e lo costringerà a una decisione.

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E il momento passò, e la voragine si spalancò, nera e vasta come la perdizione, e Len mandò un grido, forse, ma il grido fu risucchiato dalla vibrazione e dal silenzio, fino a quando non giunse alle sue orecchie come un bisbiglio, il fantasma di un bisbiglio:

«Uranio. Ma era… era…»

La mano di Sherman si alzò, e indicò il punto dove la massa di cemento si alzava e si congiungeva a un grande muro spesso.

«Sì,» disse. «L’energia atomica. Quella parete di cemento è il rivestimento esterno dello scudo. Dietro c’è il reattore.»

Ancora silenzio, eccettuata la vibrazione pulsante di quella grande voce che non si quietava mai. La parete di cemento pareva torreggiare come le porte dell’inferno, e il cuore di Len rallentò i battiti, e il sangue in tutto il suo corpo si fece freddo come acqua di neve.

Dietro c’è il reattore.

Dietro c’è il male, e la notte, e il terrore, e la morte.

Una voce gridava nelle orecchie di Len, la voce del predicatore, ritto sull’orlo del carro, con le scintille che volavano dietro le sue spalle nel vento della notte… Essi hanno liberato il sacro fuoco che Io soltanto, il Signore Geova, posso toccare… e Dìo disse… Che essi si purifichino dei loro peccati…

La voce di Esaù parlò, stridula, in tono di diniego:

«No. Non rimane più niente del genere nel mondo.»

Che si purifichino, disse il Signore, ed essi furono mondati. Vennero arsi col fuoco che essi avevano creato, sì, e le loro torri superbe svanirono nel grande fuoco della collera di Dio, e i luoghi d’iniquità vennero distrutti…

«È una menzogna,» disse Esaù. «Non esiste più niente del genere, dal tempo della Distruzione.»

Essi erano stati mondati. Ma non completamente…

«Non è una menzogna,» disse Len. Indietreggiò, lentamente, dall’immota parete di cemento. «L’hanno salvato, ed è qui.»

Esaù gemette. Emise un suono strano, come il pianto strozzato di un bambino, voltò le spalle al cemento, e si mise a correre.

Hostetter lo afferrò, muovendosi velocemente. Lo costrinse a voltarsi, e Sherman gli afferrò l’altro braccio, e lo tennero stretto, e Hostetter disse, in tono rude e severo:

«Non muoverti, Esaù.»

«Ma mi brucerà!» pianse Esaù, pallido, con gli occhi sbarrati. «Mi brucerà dentro, e il mio sangue diventerà bianco, e le mie ossa marciranno, e io morrò!»

«Non fare lo stupido,» ringhiò Hostetter. «Vedi bene che non ha fatto del male a nessuno di noi.»

«Ha diritto di avere paura, Ed,» disse Sherman, in tono più gentile. «Tu dovresti conoscere i loro insegnamenti, molto meglio di me. Concedi loro un’opportunità. Ascoltate, Esaù. Voi pensate alla bomba. Questa non è una bomba. Non fa del male. Abbiamo vissuto con il reattore per quasi cento anni. Cento anni, un secolo: non può esplodere, e non può bruciare. Il cemento elimina il pericolo, lo rende sicuro. Guardate!»

Lasciò andare Esaù, e si avvicinò al cemento, e appoggiò le mani su di esso.

«Vedete? Non c’è niente da temere, qui.»

E il diavolo parla con la lingua degli stolti e dei pazzi, e opera con le mani degli audaci. Padre, perdonami, non sapevo!

Esaù si passò la lingua sulle labbra. Respirava affannosamente.

«Andate a farlo anche voi,» disse a Hostetter, come se Hostetter fosse stato di carne diversa da quella di Sherman, essendo stato parte del mondo che Esaù aveva conosciuto, e non solo delle anime dannate di Bartorstown.

Hostetter scrollò le spalle. Si avvicinò alla parete di cemento, e appoggiò le mani sullo scudo.

E voi, pensò Len. Ecco che cosa non volevate dirmi, quale segreto non volevate rivelarmi, perché non avevate fiducia in me.

«Be’,» disse Esaù, rosso in viso, esitante, sudato, con il corpo tremante come quello di un cavallo spaurito, ma ormai al di là del primo impeto di fuga. Ora non voleva più fuggire, restava dov’era, ricominciava a pensare. «Be’…»

Len strinse i pugni di ghiaccio, e guardò Sherman, in piedi davanti allo scudo.

«Non c’è da meravigliarsi che abbiate tanta paura,» disse, con una voce che non pareva più la sua. «Non c’è da meravigliarsi che fuciliate coloro che vogliono andarsene. Se qualcuno uscisse da qui, e dicesse quello che avete in questo luogo, le masse si solleverebbero e verrebbero a cercarvi, a stanarvi e a farvi a pezzi, e non ci sarebbe al mondo una montagna abbastanza grande da nascondervi.»

Sherman annuì.

«Sì. È così.»

Len si volse a fissare Hostetter.

«Perché non ci avete parlato di questo, prima che venissimo qui?»

«Len, Len,» disse Hostetter, scuotendo la testa. «Non volevo che voi veniste, e lo sai bene. E ho cercato di avvertirvi entrambi, in ogni modo che mi è stato possibile.»

Sherman lo stava osservando, con occhi socchiusi, e non perdeva nessun gesto, nessuna espressione, in attesa di vedere cosa avrebbe fatto. Tutti stavano guardando, Gutierrez con una mescolanza di stanchezza e commiserazione, Erdmann con visibile imbarazzo, ed Esaù era in mezzo a loro, come un grosso bambino spaurito. Lui si accorse, confusamente, che tutto questo obbediva a un piano, e che essi volevano sapere quali parole avrebbe pronunciato, quali sensazioni avrebbe provato, nel momento della rivelazione. E in un improvviso, impetuoso rigetto di tutte le speranze e dei sogni e dei desideri dell’infanzia, della ricerca e della fede, egli gridò a tutti loro:

«Bruciare il mondo una volta non è stato sufficiente? Perché volete tenere in vita questo orrore?»

«Perché,» disse Sherman, con calma, «Non spettava a noi distruggere quello che abbiamo. E perché distruggere queste cose è la reazione dei bambini, la reazione degli uomini che hanno bruciato Refuge, la reazione di coloro che hanno approvato il Trentesimo Emendamento. Si tratta solo di un’evasione della realtà, di una fuga dalle responsabilità. Nessuno può distruggere la conoscenza. La si può calpestare, e bruciare, e proibire, ma in qualche modo, in qualche luogo, essa sopravviverà sempre.»

«Sì,» ribatté Len, amaramente, «Fino a quando ci saranno degli uomini abbastanza pazzi da mantenerla in vita. Io volevo che ritornassero le città, è vero. Volevo le cose che possedevamo un tempo, e pensavo che fosse stupido avere paura di qualcosa che era scomparso da molti, molti anni. Ma non avrei mai sognato che l’orrore fosse ancora vivo, che non se ne fosse andato completamente dal mondo…»

«Così ora voi pensate che gli uomini che hanno ucciso Soames avessero ragione, e che coloro che hanno ucciso il vostro amico Dulinsky e bruciato un paese abbiano agito bene?»

«Io…» Le parole si fermarono, nella gola di Len, e poi egli gridò, «Non è giusto chiedermi questo! Non c’era l’energia atomica a Refuge!»

«Va bene, allora,» disse in tono conciliante Sherman. «Cerchiamo di esporre la cosa in un modo diverso. Supponiamo che Bartorstown venga distrutta, con tutti i suoi abitanti. Come potreste essere sicuro che in qualche parte del mondo, nascosta sotto qualche altra montagna, non esista un’altra Bartorstown? E come potreste essere sicuro che qualche dimenticato professore di fisica nucleare non abbia nascosto i suoi libri di studio… mi avete detto che ne esisteva uno anche a Piper’s Run. Moltiplicate questa possibilità per il numero dei libri che devono essere rimasti nel mondo. Vi sembra possibile distruggerli tutti?»

Esaù disse, lentamente:

«Len, ha ragione.»

«Un libro,» disse Len, provando il senso del cieco terrore, avvertendo la presenza oscura della Bestia in agguato dietro la parete di cemento. «Un libro, sì, ne avevamo uno, ma non ne conoscevamo il significato. Nessuno poteva comprendere.»

«Qualcuno, in qualche parte del mondo, sarebbe riuscito a capirne il significato, prima o poi. E ricordate un’altra cosa: i primi uomini che scoprirono il segreto dell’energia atomica non erano guidati da nessun libro. Non sapevano neppure che la cosa fosse possibile, non avevano nessuna luce a guidarli. Avevano soltanto la loro intelligenza, e la loro volontà, e la loro curiosità. Non potete distruggere neppure tutti i cervelli del mondo.»

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