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Marion Bradley: La torre proibita

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Marion Bradley La torre proibita

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Darkover è un pianeta gelido e ostile, illuminato da un fioco sole rosso-sangue, su cui hanno fatto naufragio, agli inizi del volo interstellare, alcuni coloni terrestri. Col passare degli anni gli abitanti di Darkover hanno imparato a usare le “pietre matrici” per sviluppare i loro poteri psi, e sul pianeta si è formata una cultura di tipo feudale basata sull’uso delle matrici. Queste pietre, tenute in torri austere e isolate, sono oggetto di un rituale mistico: solo le Custodi, donne che hanno fatto voto di castità, hanno il diritto di adoperarle. Contrapposta alla cultura dei “clan” di Darkover, si trova la civiltà dei terrestri, i quali, dopo vari millenni, hanno riscoperto il pianeta, e vorrebbero portare ai suoi abitanti risorse tecnologiche e armi più moderne. Ma i fanatici guardiani che proteggono la verginità delle Custodi vigilano affinché il pianeta del sole rosso non cada sotto l’influenza dei materialistici terrestri. La torre proibita è la storia di due uomini e due donne che hanno osato sfidare il potere dei guardiani e la tradizione delle Torri. Nominato per il premio Hugo per il miglior romanzo in 1978.

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Marion Zimmer Bradley

La torre proibita

CAPITOLO PRIMO

Damon Ridenow cavalcava attraverso un territorio purificato.

Per gran parte dell’anno, il grande altopiano delle Colline di Kilghard era rimasto sotto l’influenza malefica degli uomini-felini. Le messi intristivano nei campi, sotto l’oscurità innaturale che cancellava la luce del sole; la povera gente della zona stava rintanata nelle case, senza osare avventurarsi nella campagna devastata.

Ma adesso gli uomini avevano ripreso a lavorare nella luce del grande sole rosso di Darkover, e provvedevano al raccolto prima che incominciassero le nevicate. Era l’inizio dell’autunno, e quasi tutti i raccolti erano già stati immagazzinati.

Il Grande Felino era stato ucciso nelle grotte di Corresanti, e la gigantesca matrice illegale che aveva trovato e usato in modo tanto spaventoso era stata distrutta con la sua morte. Gli uomini-felini sopravvissuti erano fuggiti nelle lontane foreste pluviali al di là delle montagne, oppure erano caduti, trafitti dalle spade delle Guardie che Damon aveva guidato contro di loro.

Il territorio era purificato e libero dal terrore, e Damon, dopo aver congedato e rinviato alle loro case quasi tutti i suoi soldati, stava facendo ritorno. Non alle sue tenute avite di Serrais: Damon era un figlio cadetto, tenuto in scarsa considerazione, e non aveva mai sentito Serrais come casa sua. Adesso stava andando ad Armida, per sposarsi.

Fermò il cavallo sul ciglio della via, guardando gli ultimi uomini che si dividevano per andare ciascuno per la propria strada. C’erano Guardie dalle uniformi verdi e nere, dirette a Thendara; c’erano alcuni uomini che si avviavano verso nord, fino agli Heller, dai dominii di Ardais e di Hastur; e alcuni che si sarebbero spinti a sud, verso le pianure di Valeron.

— Dovresti parlare agli uomini, nobile Damon — disse un uomo basso e nodoso che gli stava al fianco.

— Non sono molto abile, a far discorsi. — Damon era snello, e aveva un volto da studioso. Prima di quella campagna non si era mai considerato un militare; e si stupiva ancora di se stesso, perché aveva guidato con successo quegli uomini contro gli ultimi uomini-felini.

— Loro se l’aspettavano, mio signore — insistette Eduin, e Damon sospirò, sapendo che l’altro diceva la verità. Damon era un Comyn dei Dominii; non signore di un dominio, e neppure un erede Comyn, ma tuttavia era un Comyn, e apparteneva alla vecchia casta telepatica, dotata di facoltà psi, che governava i Sette Dominii da tempo immemorabile. Erano passati i giorni in cui i Comyn venivano trattati come dèi viventi, ma c’era ancora un rispetto sfumato di timore reverenziale. E Damon era stato abituato alle responsabilità di un figlio dei Comyn. Sospirando, spinse il cavallo verso un punto dove gli uomini in attesa potessero vederlo.

— La nostra opera è compiuta. Grazie a voi che avete risposto alla mia chiamata, ora c’è pace nelle Colline di Kilghard e nelle nostre case. Non mi resta altro che porgervi il mio ringraziamento e il mio addio.

Il giovane ufficiale che aveva condotto le Guardie da Thendara si avvicinò a Damon, mentre gli altri uomini partivano. — Il nobile Alton verrà a Thendara con noi? Dobbiamo aspettarlo?

— Dovresti attendere a lungo — disse Damon. — È stato ferito nella prima battaglia con gli uomini-felini: una piccola ferita, ma la lesione alla spina dorsale è inguaribile. È paralizzato dalla cintola in giù. Credo che non potrà più cavalcare.

Il giovane ufficiale aveva l’aria turbata. — E chi comanderà le Guardie, nobile Damon?

Era una domanda logica. Da generazioni, il comando delle Guardie spettava al dominio di Alton: Esteban Lanart di Armida, nobile Alton, le comandava da molti anni. Ma il maggiore dei figli superstiti di Dom Esteban, il nobile Domenic, era un ragazzo di diciassette anni. Sebbene fosse considerato uomo secondo le leggi dei dominii, non aveva l’età né l’autorità per comandare. L’altro figlio di Alton, il giovane Valdir, aveva solo undici anni, ed era novizio al monastero di Nevarsin, dove veniva istruito dai frati di San Valentino delle Nevi.

Chi avrebbe comandato le Guardie, dunque? Era una domanda veramente logica, pensò Damon: ma lui non conosceva la risposta. Lo disse, e aggiunse: — Spetterà al Consiglio dei Comyn deciderlo l’estate prossima, quando si riunirà a Thendara. — Non c’era mai stata guerra durante l’inverno, su Darkover: non ci sarebbe mai stata. D’inverno c’era un nemico più feroce: il freddo crudele, le tormente che spazzavano i dominii scendendo dagli Heller. Nessun esercito avrebbe potuto muovere contro i dominii, d’inverno. Perfino i banditi non si allontanavano troppo dalle loro tane. Potevano attendere che il prossimo Consiglio nominasse un nuovo comandante. Damon cambiò argomento.

— Raggiungerete Thendara prima che faccia buio?

— Sì, a meno che qualcosa, lungo la strada, ci faccia ritardare.

— E allora non vi tratterrò più — disse Damon, e s’inchinò. — Il comando di questi uomini è tuo, parente.

Il giovane ufficiale non riuscì a dissimulare un sorriso. Era molto giovane, e quello era il suo primo comando, anche se era breve e temporaneo. Damon restò a guardare con un sorriso pensieroso, mentre il ragazzo radunava i suoi uomini e partiva. Era un ufficiale nato, e adesso che Dom Esteban era invalido gli ufficiali capaci potevano aspettarsi di venire promossi.

Damon, sebbene avesse avuto il comando di quella missione, non si era mai considerato un soldato. Come tutti i figli dei Comyn, aveva prestato servizio nel corpo dei Cadetti e aveva fatto il suo turno come ufficiale: ma le sue doti e le sue ambizioni erano molto diverse. A diciassette anni era stato ammesso nella Torre di Arilinn come telepate, per apprendere le antiche scienze delle matrici di Darkover. Per molti anni aveva lavorato là, acquisendo forza e abilità e raggiungendo il grado di tecnico psi.

Poi era stato allontanato dalla Torre. Non era colpa sua, gli aveva assicurato la Custode: ma era troppo sensibile, e la sua salute, perfino la sua ragione, avrebbero potuto cedere sotto le tremende tensioni del lavoro con le matrici.

Addolorato ma ubbidiente, Damon se n’era andato. La parola di una Custode era legge, e non veniva mai discussa o contrastata. Con la vita distrutta e le ambizioni in rovina, aveva cercato di costruirsi un’esistenza nuova nelle Guardie, sebbene non fosse un soldato e lo sapesse. Era stato maestro dei Cadetti, per qualche tempo, e poi ufficiale ospitaliero e ufficiale addetto ai rifornimenti. E durante l’ultima campagna contro gli uomini-felini aveva imparato a comportarsi con sicurezza. Ma non aveva nessun desiderio di comandare, ed era lieto di rinunciarvi.

Seguì con lo sguardo gli uomini fino a quando le loro figure si persero nella polvere della strada. Adesso doveva dirigersi verso Armida, verso casa…

— Nobile Damon — disse Eduin, che gli stava al fianco, — ci sono cavalieri sulla strada.

— Viaggiatori? In questa stagione? — Sembrava impossibile. Le nevicate non erano ancora cominciate, ma da un giorno all’altro la prima tempesta invernale sarebbe piombata dagli Heller, bloccando le strade per giorni e giorni. Un vecchio detto affermava: «Solo i pazzi e i disperati viaggiano d’inverno». Damon aguzzò gli occhi per scorgere i lontani cavalieri: ma era sempre stato un po’ miope, fin dall’infanzia, e riuscì a scorgere solo immagini confuse.

— I tuoi occhi sono migliori dei miei. Ti sembrano uomini armati?

— Non credo, nobile Damon: con loro c’è una signora.

— In questa stagione? Mi sembra improbabile — disse Damon. Cosa poteva indurre una donna ad avventurarsi in un viaggio incerto e pericoloso, nell’imminenza dell’inverno?

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