Leigh Brackett - La città proibita

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La città proibita: краткое содержание, описание и аннотация

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La storia di Len Colter e di suo cugino Esaù, può essere la storia dei nostri nipoti. Len Colter viveva in un piccolo paese rurale degli Stati Uniti, dove per legge, dopo la distruzione, era stata proibita la costruzione di città e la diffusione del sapere nelle sue forme piú avanzate. Due generazíoní prima era caduta sulle loro città la grande Distruzione, provocata dalla conoscenza scientifica dei segreti della natura. Lo spaventoso flagello era stato interpretato dalle coscienze terrorizzate come il castigo di Dio per l’orgoglio e i peccati dell’uomo. I due giovani, spinti dal desiderio delle «cose vecchie», delle quali sentivano parlare con nostalgia dai nonni: le automobili, gli aeroplani, le case con ogni comfort, le città in una fantasmagoria di luci, e ossessionati dai discorsi sentiti di nascosto sulla esistenza di una città sopravvissuta, si mettono su di un sentiero aspro e difficile. Incontreranno l’amicizia, e la delusione, l’amore e la morte, la fame e la sete, la lotta contro le intemperie e contro la propria coscienza: ma andranno alla ricerca della città del loro sogno. Len, dal carattere piú complesso, sostiene la lotta píú aspra ed è salvato piú volte, non solo materialmente dall’amicizia di Hostetter, il mercante, che rappresenta il legame ideale tra il mondo lasciato da Len e il mondo nuovo. E sarà Hostetter che ricondurrà Len di fronte alla realtà e lo costringerà a una decisione.

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«Se lo tentaste, sareste fucilati».

20.

Ci fu un’altra pausa. Poi nel silenzio si udì la voce di Esaù, un po’ troppo acuta:

«Abbiamo faticato molto, abbiamo corso grossi rischi, per venire qui. Non è molto probabile che ci venga voglia di andarcene, ora che siamo arrivati».

«Le persone possono cambiare idea. Mi è sembrato onesto dirvi come stanno le cose».

Esaù appoggiò le mani sul tavolo, e disse:

«Posso fare una domanda?»

«Parlate».

«Dove diavolo è Bartorstown?»

Sherman si appoggiò allo schienale della sedia, e fissò duramente Esaù, accigliandosi.

«Sapete una cosa, Colter? Non risponderei a questa domanda, né ora né mai, se ci fosse un modo per impedirvi di conoscere la risposta. Voi due ci avete dato un sacco di problemi. Quando degli stranieri vengono qui, noi teniamo la bocca chiusa e siamo prudenti, e non ci sono molte preoccupazioni, perché gli stranieri vengono raramente, e si trattengono per breve tempo. Ma voi due vivrete qui. Presto o tardi, inevitabilmente, scoprirete tutto su di noi. Eppure voi non siete di qui. Non appartenete a questo posto. Tutta la vostra vita, la vostra educazione, il vostro ambiente, il vostro condizonamento, sono in totale conflitto con tutto ciò in cui noi crediamo, qui. È un conflitto apparentemente insanabile».

Guardò Len, con un’espressione di freddo divertimento.

«Non c’è bisogno di arrossire così, giovanotto, perché so benissimo che voi siete sincero. So che avete attraversato l’inferno, per venire qui, e che quanto avete fatto è molto di più di quanto noi abbiamo passato, o saremmo disposti a passare. Ma… domani è un altro giorno. Come vi sentirete, allora, cosa penserete? E se non sarà domani, il giorno successivo?»

«Io penserei che siete al sicuro,» disse Len. «Fino a quando avrete una buona scorta di pallottole».

«Oh,» disse Sherman. «Quello. Sì, credo di sì. In ogni modo, abbiamo deciso di correre un rischio, nel vostro caso, e così non abbiamo scelta. Vi diremo tutto su Bartorstown. Ma non questa notte». Si alzò in piedi, e inaspettatamente porse la mano a Len. «Abbiate pazienza».

Len gli strinse la mano, con un certo calore, e sorrise.

Hostetter disse:

«A presto, Harry». Rivolse un cenno a Len e a Esaù, ed essi uscirono nuovamente, nell’oscurità della notte, nell’aria tagliente, in un mondo pieno di odori sconosciuti. Attraversarono di nuovo il paese. Le lampade erano accese in tutte le case, la gente parlava forte e rideva, e diversi gruppetti di persone si muovevano di casa in casa. «C’è sempre una festa,» spiegò Hostetter, «Alcuni uomini sono lontani da casa da molto, molto tempo».

Arrivarono a una casa costruita solidamente con tronchi d’albero, che apparteneva agli Wepplo. Vi abitavano il vecchio, suo figlio, sua nuora, e la ragazza, Joan. Andarono a tavola, per la cena, e molte persone andavano e venivano, entravano a salutare Hostetter e a bere da una grossa brocca che passava di mano in mano. La ragazza, Joan, continuò a fissare Len per tutta la serata, ma non parlò molto. Molto più tardi, anche Gutierrez entrò nella casa. Era ubriaco fradicio, e rimase a fissare Len così solennemente, e così a lungo, che il giovane gli domandò che cosa desiderasse.

Gutierrez disse:

«Volevo solo vedere bene un uomo che ha voluto venire qui senza esserci costretto».

Sospirò profondamente, e se ne andò. Qualche minuto dopo, Hostetter gli batté gentilmente la mano sulla spalla.

«Andiamo, Lennie,» disse. «A meno che tu non voglia dormire sul pavimento della casa di Wepplo».

Sembrava allegro, cordiale, come se il ritorno a casa non fosse stato così brutto come aveva temuto. Len si alzò, e lo seguì, attraverso la notte fredda e oscura. Fall Creek era immersa nella quiete, ora, e le lampade si spegnevano, una dopo l’altra, nelle case. Len riferì a Hostetter quello che gli aveva detto Gutierrez, e il suo bizzarro comportamento.

«Povero Julio,» sospirò Hostetter. «È in condizioni terribili. Ha il morale sotto i tacchi».

«Cosa gli è successo?»

«Ha lavorato per tre anni di seguito su un problema. In realtà, vi ha lavorato per quasi tutta la vita, ma su di un punto particolare ha trascorso gli ultimi tre anni, lavorando giorno e notte. Tre anni! E ha appena scoperto che non era quello il modo di affrontare il problema. Cancellare la lavagna, ricominciare da capo. Solo che Julio comincia a credere che la sua vita non gli sarà sufficiente».

«Sufficiente a che cosa?»

Ma Hostetter si limitò a dire:

«Dovremo alloggiare nel quartiere degli scapoli. Ma non è un brutto posto. C’è molta compagnia».

Il «quartiere degli scapoli» era un lungo edificio a due piani, il cui telaio era stato costruito agli inizi di Fall Creek, mentre altre ali erano state aggiunte in epoche successive. Hostetter lo condusse in una stanza che si trovava sul retro di una di queste aggiunte, e aveva una propria porta, con una finestra vicino alla quale dovevano sorgere dei pini, perché l’aria era vagamente impregnata del loro aroma, e i rami stormivano quando soffiava il vento. Avevano portato le coperte che Wepplo aveva loro imprestato. Hostetter sistemò la propria in uno dei due letti della camera, si mise a sedere, e cominciò a togliersi gli stivali.

«Che ne dici? Ti è piaciuta?»

«Piaciuta chi?» domandò Len, stendendo le coperte sul proprio letto.

«Joan Wepplo».

«Come faccio a dirlo? L’ho appena vista».

Hostetter scoppiò in una fragorosa risata.

«Non le hai staccato gli occhi di dosso per tutta la sera».

«Ho altro da pensare,» protestò Len, irato. «Che alle ragazze!»

Si avvolse nelle coperte. Hostetter spense la candela, e pochi minuti più tardi cominciò a russare rumorosamente. Len rimase sveglio, invece, e tutto il suo essere era un insieme di percezioni, acuite dal senso di trovarsi in un ambiente strano e sconosciuto. La cuccetta aveva una forma nuova. Tutto era strano: gli odori della terra e della polvere e degli aghi dei pini e della resina, delle pareti e del pavimento e della cucina, i suoni sommessi di movimento e di voci nella notte, tutto, tutto. Eppure non era così strano, in fondo. Era soltanto un’altra parte del mondo, un altro paese, e qualunque cosa fosse stata Bartorstown, non sarebbe stata certamente la cosa che aveva sognato. Si sentiva depresso, deluso, irato. Era così brutto, quello che provava, ed era così in collera contro tutto e contro tutti, che batté i pugni sul muro, e un istante più tardi si sentì stupido e infantile, per averlo fatto, e provò il desiderio di mettersi a ridere. E nel bel mezzo di quella risata immaginaria, la faccia di Joan Wepplo apparve, galleggiando nel nulla, e lo fissò con occhi neri, luminosi e pensierosi.

Quando si svegliò era già mattina, e Hostetter doveva già essere stato fuori, perché Len aprì gli occhi e vide che stava rientrando nella stanza.

«Hai una camicia pulita?»

«Penso di sì».

«Be’, allora fa’ presto a mettertela. Esaù vuole che tu gli faccia da testimone».

Len borbottò qualcosa, tra i denti, sull’inutilità di certe cerimonie, soprattutto tardive, ma si affrettò a lavarsi, e a radersi, e a indossare la camicia pulita, e uscì con Hostetter, diretto alla casa di Sherman. Il villaggio pareva calmo e silenzioso, e c’erano poche persone per le strade. Ebbe l’impressione di essere osservato dalle finestre delle case, ma non espresse questa idea ad alta voce.

Il matrimonio fu breve e semplice. Amity indossava un abito che qualcuno doveva averle prestato. Aveva un aspetto compiaciuto. Esaù non aveva un aspetto particolare: era là, e basta. Il ministro era un uomo giovane e piccolo, e aveva l’abitudine fastidiosa di alzarsi sulla punta dei piedi come se stesse cercando di stirarsi per diventare più alto. Sherman, sua moglie e Hostetter rimasero in disparte, a osservare. Quando la cerimonia finì, Mary Sherman abbracciò Amity, e Len strinse piuttosto rigidamente la mano a Esaù, sentendosi molto stupido. Stava per andarsene, ma Sherman disse:

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